Il Dio personale
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Il Dio personale

La nascita della religiositĂ  secolare

Ulrich Beck, S Franchini

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Il Dio personale

La nascita della religiositĂ  secolare

Ulrich Beck, S Franchini

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Solo quando le religioni dei vari DÚi unici si impegneranno a fondo per incivilire se stesse e cesseranno di evocare la violenza come mezzo di missione, il mondo avrà unopportunità. Ma non si tratta forse di una speranza assolutamente ridicola?Nelle società occidentali ogni persona crea con sempre maggiore indipendenza quelle narrazioni religiose il Dio personale che meglio si adattano alla propria vita personale e al proprio personale orizzonte di esperienza. Al contrario delle Chiese e delle sette, il Dio personale non conosce infedeli, perché non conosce verità assolute, né gerarchie, eretici, pagani o atei. Nel politeismo soggettivo del Dio personale trovano posto molte divinità. In esso viene messo in pratica quello che le religioni e le Chiese, vincolate alla loro pretesa veritativa, ritengono non solo moralmente riprovevole, ma anche logicamente impensabile: nella loro ricerca nomade della trascendenza religiosa, gli individui sono sia credenti sia non credenti.

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L’eresia ovvero l’invenzione del «Dio personale»

1. Il fraintendimento individualistico dell’individualizzazione

CiĂČ che complica fin dall’inizio la discussione sui concetti di «individuo», «individualismo» e «individualizzazione» ha a che vedere con il significato che Ăš connesso, in modo apparentemente necessario, con questi termini, ossia la circostanza che l’individualismo rappresenti il risultato inevitabile di sentimenti e interessi individuali, e quindi egoistici. Non vi Ăš nulla di piĂč sbagliato. Qui risiede quello che ho definito il fraintendimento individualistico dell’individualizzazione, che intendo eliminare e portare ad absurdum grazie ad argomentazioni convincenti. Soltanto quando verrĂ  cancellato questo grave errore – evidente soltanto per un giudizio superficiale – secondo il quale l’individualismo di milioni o miliardi di persone Ăš imputabile alla loro esaltazione egoistica, sarĂ  possibile mettere al centro dell’attenzione l’architettura storico-sociale dell’individualizzazione in quanto forma di soggettivitĂ  nonchĂ© considerarne meglio conseguenze e costi.
L’individualizzazione Ăš stata, per molti secoli, un semplice valore, un’idea, un’ideologia. Nel frattempo, perĂČ, si Ăš condensata e cristallizzata in una morale istituzionalizzata, che crea con forza ed efficacia i fondamenti del mondo moderno, ben oltre a quelle che Eric Hobsbawm chiama le due rivoluzioni del XIX secolo: la rivoluzione che conduce allo Stato nazione moderno e democratico, e quella che ha prodotto il fenomeno chiamato da Max Weber «spirito» del capitalismo, scaturito dall’etica protestante del lavoro. Entrambe – la democrazia dello Stato nazione e il capitalismo imprenditoriale – poggiano sul principio dell’individuo libero, il quale rappresenta i propri personali e spregiudicati interessi, mentre al contempo pretende sia il diritto di levare la propria voce in ambito politico sia, ovviamente, il diritto alla proprietĂ  privata, difendendo questi diritti nelle arene della polis democratica. L’individualizzazione, strettamente connessa all’ethos del cristianesimo e della modernitĂ , significa coltivare la caparbietĂ  di tutti gli uomini senza distinzione.
Alla base del fraintendimento soggettivo dell’individualizzazione vi Ăš la supposizione che l’individuo che orbita intorno a se stesso sia anche l’artefice di tale orbita. In questo modo si ignora quanto l’utopia della propria persona, e dunque l’utopia del Dio personale, siano impresse nella struttura istituzionale profonda del mondo occidentale. Per venire al punto: l’individualizzazione deve essere distinta nettamente dall’egoismo. Mentre l’egoismo, solitamente, viene inteso come un’attitudine o una preferenza personale, l’individualizzazione rappresenta un fenomeno profondo di natura macrostorica e macrosociologica, che puĂČ â€“ ma non necessariamente deve – tradursi in trasformazioni dell’atteggiamento individuale. È la problematica della contingenza che compare tramite l’individualizzazione: bisogna capire come gli individui vi si rapportino.
Analogamente a quanto affermano Zygmunt Bauman e Anthony Giddens, sottolineo anch’io che l’individualizzazione viene fraintesa se Ăš concepita come un processo che possa essere derivato da una scelta consapevole o dalla preferenza dell’individuo. L’individualizzazione, infatti, viene imposta agli individui come risultato della lunga storia percorsa dalle istituzioni moderne. Nessuno l’ha visto prima e piĂč chiaramente di Émile Durkheim, il quale, un secolo fa, ha illustrato come la sacralitĂ  delle religioni sia stata trasferita alla sacralitĂ  dell’individuo.
«Eccoci dunque ben lontani dall’apoteosi del benessere e dell’interesse privato, dal culto egoista di sé» che oggi viene rimproverato all’individualismo utilitaristico di mercato, altrimenti detto neoliberismo. Per mettere al centro dell’attenzione l’individualizzazione istituzionalizzata, bisogna distogliere lo sguardo da quello che ci riguarda direttamente, da tutto ciĂČ che conferisce valore alla nostra individualitĂ  empirica, «per ricercare unicamente ciĂČ che reclama la nostra condizione di uomo, in quanto elemento comune a tutti i nostri simili. Questo ideale oltrepassa a tal punto il livello dei fini utilitari da apparire, alle coscienze che vi aspirano, come impregnato di religiositĂ . Questa persona umana, la cui definizione Ăš come la pietra di paragone con cui si distingue il bene dal male, Ăš considerata come sacra, nel senso rituale del nome; essa ha qualcosa della trascendente maestĂ  che le Chiese di ogni tempo conferiscono ai loro dĂši; essa Ăš concepita come investita di una proprietĂ  misteriosa che isola le cose sante, le sottrae ai contatti volgari e le ritira dalla circolazione comune. Da qui precisamente deriva il rispetto di cui Ăš oggetto. Chiunque attenti alla vita di un uomo, alla libertĂ  di un uomo, all’onore di un uomo, ci ispira un sentimento di orrore, da ogni punto di vista analogo a quello provato dal credente che vede profanare il proprio idolo». La morale ormai istituzionalizzata della individualizzazione, dunque, non Ăš semplicemente «una saggia economia dell’esistenza: Ăš una religione nella quale l’uomo Ăš al contempo credente e Dio»1.
La forma storica soggettiva dell’individualizzazione, con la quale noi oggi abbiamo a che fare e con cui avremo a che fare anche in futuro2, non Ăš dunque espressione di una libertĂ  decisionale dell’uomo in abstracto, come ha visto Immanuel Kant. Egli ha individuato i moventi individuali quali fonti del male: solamente quando il principio della mia morale Ăš universalizzabile, quando le massime del mio agire non provengono dalla mia condizione sociale, dai miei interessi, dalle mie passioni, si ha il moralmente buono. «Buono» viene dunque considerato quell’agire che Ăš separato dalla soggettivitĂ  dell’agente. Rousseau argomenta in maniera analoga: per lui infatti solamente la volontĂ  depurata dagli interessi particolari e universalizzabile puĂČ fungere da fondamento del contratto sociale. L’individualizzazione invece significa piĂč di questa morale elevata, la quale da un lato si libera dell’elemento individuale, ma dall’altro rimane legata all’individuo universalizzato. Al posto dell’individualismo morale, particolare nonchĂ© universale, subentra l’individualizzazione istituzionalizzata. Essa deve essere interpretata come esito delle battaglie storiche per la tolleranza religiosa, per i diritti fondamentali di natura civile, politica e sociale, e non ultimi, per i diritti umani universali, che devono tutelare le libertĂ  dell’individuo pensato in senso universalistico... un’esigenza che non ha perso vigore vista la permanente violazione cui sono soggetti nella realtĂ . Da questo punto di vista, l’individualizzazione non sfocia affatto in anarchia, ma rappresenta al contrario il sistema di valori e di credenze che, rispetto alla tutela nazionale, puĂČ garantire l’unitĂ  morale ben oltre i confini dello Stato.
«Si sente spesso dire oggi che solamente una religione puĂČ produrre questa armonia: questa proposizione, che moderni profeti credono dover sviluppare in un tono mistico, Ăš, in fondo, un semplice truismo sul quale tutti possono esser d’accordo. [...] Orbene, tutto concorre precisamente a far credere che la sola possibile Ăš questa religione dell’umanitĂ  di cui la morale individualistica Ăš l’espressione razionale. A cosa infatti potrebbe ormai riferirsi la sensibilitĂ  collettiva? [...] Ci si incammina a poco a poco verso uno stato, che Ăš attualmente quasi raggiunto, in cui i membri di un medesimo gruppo sociale non avranno piĂč nulla in comune fra loro eccetto la loro qualitĂ  d’uomo». In proposito, Durkheim anticipa la connessione tra individualizzazione e cosmopoliticizzazione: «Questa idea della persona umana, sfumata diversamente a seconda della diversitĂ  dei temperamenti nazionali, Ăš dunque l’unica che si mantiene, immutabile e impersonale, al di sopra dell’onda mutevole delle opinioni particolari; e i sentimenti che essa suscita sono i soli che si trovano pressochĂ© in tutti i cuori [...] Ecco come l’uomo Ăš divenuto un dio per l’uomo»3.
L’idea della sacralitĂ  dell’individuo, alla base dell’individualizzazione, afferma che l’uomo Ăš diventato un Dio per gli altri uomini. JĂŒrgen Habermas parla, in questo contesto, di una «traduzione salvifica» e di «una appropriazione di contenuti genuinamente cristiani da parte della filosofia [...] Essa ha bensĂŹ trasformato il loro senso originariamente religioso, ma non l’ha deflazionato ed esaurito fino a svuotarlo. La traduzione della somiglianza dell’uomo con Dio nella pari dignitĂ  di tutti gli uomini, da rispettare incondizionatamente, Ăš una siffatta trasposizione salvifica. Al di lĂ  dei confini di una comunitĂ  religiosa, essa rivela il contenuto delle concezioni bibliche all’universale pubblico di fede diversa o non credente»4. E nell’intimitĂ  della religione incentrata sull’individuo creato a immagine e somiglianza di Dio vengono eretti altari al Dio personale.
Nel senso di Durkheim e anche di Habermas, noi «crediamo» ai diritti umani, perchĂ© in essi la somiglianza dell’uomo a Dio ha conservato la sua forma sacra-profana e, in parte, perfino quella giuridicamente istituzionalizzata5. CosĂŹ, per esempio, Amnesty International rappresenta una Chiesa moderna del «Dio personale». Se oggi la giustizia globale si trova in cima all’ordine del giorno dei network radicati nella societĂ  civile internazionale, Ăš perchĂ© questi gruppi sono simili a movimenti sacerdotali secolari al servizio della religione terrena incentrata sulla somiglianza dell’uomo con Dio6.
Sorgono perĂČ delle questioni «ereticali»: se la religione dell’individuo si fonda sulla somiglianza dell’uomo con Dio, allora la dignitĂ  e i diritti umani non spettano all’uomo in quanto uomo. Il riconoscimento della dignitĂ  spettante al membro di altre religioni e culture costituisce una dignitĂ  umana di secondo livello, derivata dalla dignitĂ  di Dio, creatore unico del mondo. Di conseguenza, i diritti umani sono soltanto un riflesso della gloria di Dio. Se Dio Ăš il Dio dei cristiani (o degli ebrei o dei musulmani), che non tollera altro Dio accanto a sĂ©, che fine fanno di volta in volta i diritti degli altri? L’universalitĂ  della dignitĂ  umana e dei diritti umani non sarebbero forse richieste eccessive per il Dio di volta in volta unico, anzi, non lo spingerebbero nelle braccia dell’eresia? Quando si pensa alla «somiglianza con Dio» dell’uomo in modo specificamente religioso (e come si potrebbe altrimenti immaginarsela?), non si dovrebbe forse concludere che, conformemente ai confini etnico-religiosi posti a Dio dalle religioni monoteistiche, i diritti umani verrebbero riconosciuti ad alcuni milioni di uomini e negati ad altri milioni di uomini? Se tutte le religioni riconoscessero i diritti umani solamente ai propri fedeli, negandoli ai non credenti, come potrebbe darsi allora un universalismo dei diritti umani, un suo riconoscimento reciproco e universale da parte di tutti? Forse che le religioni universali dovrebbero prima uscire dal cono d’ombra del monoteismo?
L’individualizzazione, come abbiamo detto, Ăš un’invenzione originariamente cristiana. Il cristianesimo si Ăš rivolto fin dal principio ai singoli, a prescindere da ceto, classe, etnia e nazione di appartenenza, e in questo senso Ăš piĂč moderno di molti suoi avversari. Tuttavia, paradossalmente, questi fondamenti di una teologia politica del Dio personale sono stati imposti alle Chiese cristiane dall’esterno. La proclamazione della concezione cristiana della dignitĂ  e dei diritti umani, come afferma anche Wolfgang Huber, presidente del Consiglio della Chiesa evangelica tedesca, ha dovuto «spesso affermarsi vincendo la resistenza delle Chiese e dei gruppi cristiani». CiĂČ vale in eguale misura per protestanti e per cattolici: «Il magistero pontificio considera le idee relative ai diritti umani come ‘dottrine della libertĂ  sfrenata’ ispirate dalla Riforma (Leone XIII), le quali sono inconciliabili sia con il...

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