Capitolo ottavo.
Il partito nel laboratorio totalitario fascista
Il Partito fascista dominĂČ la politica italiana per un ventennio. Nel 1942, lâanno prima della fine del fascismo, 27.375.696 italiani, il 61 per cento della popolazione, uomini, donne e bambini dallâetĂ di sei anni erano inquadrati nel Pnf e nelle organizzazioni dipendenti. Dal 1922 al 1943 lâItalia fu trasformata in un «vasto campo sperimentale umano»1, dove il Partito fascista cercĂČ di attuare un progetto di societĂ gerarchica militarizzata, per integrare gli individui e le classi in uno Stato nuovo totalitario con fini di potenza e di espansione. Lâesperimento totalitario fascista incontrĂČ ostacoli che non riuscĂŹ a superare e si concluse con un fallimento, ma la sua importanza, per lâanalisi storica dellâautoritarismo moderno e del fenomeno del partito unico, Ăš ancora attuale. La constatazione dei limiti e del fallimenÂto finale non esclude lâutilitĂ di studiare i risultati effettivi che pure furono conseguiti dal partito nellâimporre sulla collettivitĂ una nuova forma di dominio, di mobilitazione e di integrazione delle masse nello Stato, che fu presa a modello da altri movimenti contemporanei. La definizione del ruolo e della funzione del partito nel regime fascista ha suscitato giudizi contrastanti fra gli studiosi. La maggior parte di essi ritiene tuttora che dopo il 1926, divenuto partito unico, con il consolidamento della monocrazia di Mussolini, il Pnf fu politicamente liquidato e non svolse un ruolo attivo e decisivo nella vita del regime2. La tesi di un fallimento che si protrae per lâarco di un ventennio si basa su una lettura a ritroso della storia e falsa la prospettiva entro la quale si collocano i vari aspetti dellâazione del Partito fascista durante gli anni del regime, mentre la riduzione del regime fascista a una monocrazia mussoliniana contrasta con la complessa articolazione delle nuove strutture organizzative, attraverso le quali il fascismo cercĂČ di attuare il suo esperimento totalitario. Questo capitolo si propone di indicare, attraverso lâesame di alcuni aspetti del ruolo del Pnf nel regime fascista, una diversa prospettiva di interpretazione, che consideriamo piĂč adatta a far comprendere il fenomeno concreto nelle sue effettive proporzioni3.
Simbiosi fra partito e Stato
Il Partito fascista divenne partito unico dopo il regio decreto del 6 novembre 1926, n. 1848, che diede ai prefetti la facoltĂ di sciogliere le associazioni ritenute contrarie allâordine nazionale dello Stato â cioĂš, come spiegava la relazione, allâordine instaurato dal Partito fascista â e dopo la legge del 25 novembre 1926, n. 2008, che considerava reato la ricostituzione delle associazioni e dei partiti sciolti. La costruzione del regime fascista fu un lavoro graduale e avvenne attraverso un processo simbiotico di «fascistizzazione dello Stato e statizzazione del partito fascista»4. Generalmente si tende a considerare soltanto il secondo aspetto del processo ma, in questo modo, si separano i due fenomeni, che furono invece fra di loro simultanei e complementari, sottovalutando lâaspetto della «fascistizzazione dello Stato», altrettanto importante per comprendere la reale posizione del partito nello Stato, che non fu affatto risolto con la formale «subordinazione del partito allo Stato». Per avere una corretta prospettiva di giudizio sul rapporto fra il partito e lo Stato, Ăš necessario aver presente che la costruzione del regime fascista avvenne principalmente attraverso «un processo di creazioni e di successive trasfusioni in seno allo Stato di organi, entitĂ collaterali, principi e norme del Partito, che imprimono saldamente allo Stato il carattere fascista»5.
Questo processo iniziĂČ subito dopo la marcia su Roma anche se, in principio, non seguĂŹ un disegno organico come quello elaborato da Alfredo Rocco, lâarchitetto dello Stato fascista, dopo il 19256. Le prime tappe furono, nel 1923, la creazione del Gran Consiglio, organo di partito per il collegamento fra partito e governo, che fu la sede principale dove furono elaborate le leggi per la trasformazione dello Stato, e la istituzione della Milizia Volontaria per la Sicurezza Nazionale, che mise la forza armata del partito alle dirette dipendenze del capo del governo, con lâesplicito compito di «proteggere gli inevitabili ed inesorabili sviluppi della rivoluzione dâottobre»7.
Lâatto simbolico della nascita del regime fascista, attraverso la fascistizzazione dello Stato, puĂČ essere considerato il regio decreto del 12 dicembre 1926, n. 2061, che dichiarĂČ lâemblema del Partito fasciÂsta, il fascio littorio, emblema dello Stato a tutti gli effetti. Il ruolo del Pnf nel regime fu definito dal Gran Consiglio il 3 gennaio 1926: il Pnf era «lâorganizzazione delle forze politiche ed amministrative del Regime»; i fascisti dovevano essere «soldati pronti in ogni istante, entro le frontiere ed oltre, singolarmente o in massa, a Âconfessare la propria fede col sangue, senza discutere gli ordini che scendono dalle gerarchie necessarie»8. Un nuovo statuto, approvato dal Gran Consiglio lâ8 ottobre 1926, dichiarĂČ che «la funzione del Partito Ăš fondamentalmente indispensabile per la vitalitĂ del Regime». Nello stesso tempo perĂČ, il nuovo statuto abolĂŹ lâelettivitĂ delle cariche e stabilĂŹ che «gli ordinamenti e le gerarchie, senza le quali non puĂČ esservi disciplina di sforzi ed educazione di popolo, ricevono [...] luce e norma dallâalto, dove Ăš la visione completa degli attributi e dei compiti, delle funzioni e dei meriti». Il Pnf nel regime avrebbe svolto la sua azione «sotto la guida suprema del Duce del Fascismo e secondo le direttive stabilite dal Gran Consiglio Fascista»9.
La fine della democrazia interna e la perdita di autonomia non furono una metamorfosi radicale del Partito fascista ma la conclusioÂne di un processo di riforma dallâalto iniziato subito dopo la Ââmarcia su Romaâ e favorito dalla natura stessa del Pnf come partito milizia. Lo statuto del 1921 aveva stabilito che lâorgano dirigente del partito, il Comitato centrale, doveva essere eletto dal congresso nazionale «quale espressione diretta della volontĂ degli organizzati, i quali eleggendolo, delegano ad esso tutti i poteri nellâambito delle direttive e degli scopi determinati dalle deliberazioni del Congresso». In realtĂ , le scelte decisive nella politica del partito furono sempre prese dallâalto senza consultare gli iscritti. Dopo il 1921, il congresso del partito non fu piĂč riunito fino al 1925, e fu per lâultima volta.
Il Pnf era sorto direttamente, senza soluzione di continuitĂ , dallo squadrismo, come un partito armato con orientamento totalitario, basato, come precisava giĂ lo statuto del 1921, sui principi di ordine, disciplina e gerarchia10. Il principio della gerarchia, concepito in termini militareschi, prese subito il sopravvento sulla democrazia interna e definĂŹ i rapporti fra i capi e i gregari. Mussolini, per parte sua, considerĂČ sempre il Pnf un «esercito» che doveva obbedire ed eseguire senza discutere gli ordini dei capi e, prima di tutto, del duce11.
La natura del Partito fascista, piĂč che dallo statuto democratico del 1921, era indicata dal regolamento di disciplina per la milizia fascista, pubblicato dal «Popolo dâItalia» il 3 ottobre 1922. In queste norme, anche se era confermato il criterio elettivo, concepito tuttavia in termini di delega carismatica, erano fissati rigidamente i principi dellâ«etica fascista»: «Il Milite fascista conosce soltanto doveri. Ha il solo diritto di compiere il dovere e di gioirne. Comandante o gregario deve obbedire in umiltĂ e comandare in forza. Lâubbidienza di questa milizia volontaria deve essere cieca, assoluta, rispettosa, fino al culmine delle gerarchie, al Capo Supremo ed alla Direzione del Partito»12. In nome di questi principi, dopo la âmarcia su Romaâ il Pnf fu subito privato di autonomia e sottoposto alle direttive di un nuovo organo, il Gran Consiglio, creato e presieduto da Mussolini che esautorĂČ di fatto il potere sovrano degli iscritti e riformĂČ dallâalto gli ordinamenti del partito, per renderlo un organo esecutivo della volontĂ del duce. Lo statuto del 1926 fu la logica conclusione di queste premesse, e conferĂŹ al Pnf, con il nuovo ordinamento, una funzione del tutto coerente con la sua natura di partito milizia e conforme al tipo di regime che il fascismo aveva cominciato a costruire, sulla base di una progressiva simbiosi fra partito e Stato.
Il primo atto della simbiosi istituzionale fra partito e Stato fu compiuto con la legge del 9 dicembre 1928, n. 2693, sullâordinamenÂto e le attribuzioni del Gran Consiglio, che divenne organo costituzionale dello Stato ma rimase, contemporaneamente, organo supremo del partito. Oltre a deliberare su fondamentali questioni costituzionali â come, per esempio, la successione al trono e le attribuzioni e le prerogative della Corona â il Gran Consiglio deliberava sugli statuti, gli ordinamenti e le direttive politiche del Pnf, sulla nomina e la revoca del segretario, dei vicesegretari, del segretario amministrativo e degli altri membri del direttorio del partito. Un anno dopo, il 14 settembre, nel corso di una grande assemblea del Pnf, Mussolini fissĂČ in termini chiari la posizione e la funzione del partito nello Stato fascista:
il Partito non Ăš che una forza civile e volontaria agli ordini dello Stato, cosĂŹ come la Milizia Volontaria Sicurezza Nazionale Ăš una forza armata agli ordini dello Stato [...] Se nel fascismo tutto Ăš nello Stato, anche il Partito non puĂČ sfuggire a tale inesorabile necess...