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Italiani
Questo libro parla di morte e di violenza, di sofferenza e di esilio. Ben pochi di noi, oggi, hanno vissuto direttamente esperienze del genere. La nostra percezione della morte, del dolore, dellâuccisione per ragioni politiche o razziali non può essere paragonata a quella della seconda guerra mondiale, non solo per la distanza temporale. Esiste uno scarto profondo tra ciò che oggi consideriamo come violenza lecita e ciò che lo era allora. Di questo dobbiamo tenere conto quando valutiamo storicamente questi fenomeni, anche se il giudizio morale può e deve operare su un diverso piano valoriale.
Le foibe, la repressione alla fine della guerra, lâesodo dalle regioni di confine sono fenomeni storici distinti, che per essere compresi devono essere visti nel quadro di morte e distruzione che ha segnato gran parte dellâEuropa nella prima metĂ del Novecento. Ma vanno anche inquadrati nel loro specifico contesto geografico. Dove siamo quando parliamo di foibe ed esodo? Da dove vengono i protagonisti?
Câè una massima che mi ha sempre ispirato: per comprendere la storia è necessario conoscere la geografia. Se non capisci dove si svolge una data vicenda storica, chi sono le persone coinvolte, da che contesto provengono, come si riconoscono tra loro, come farai a comprenderla?
I territori di cui si parla in questo libro vengono comunemente chiamati, in Italia, âconfine orientaleâ. Il che ovviamente presuppone un unico punto di vista (il nostro), poichĂŠ per sloveni e croati tale confine è occidentale. Per questa ragione gli storici preferiscono lâuso di unâespressione piĂš neutra e meramente geografica: Alto Adriatico. Per comoditĂ , e perchĂŠ dopotutto scrivo per un pubblico di lettori italiani, io userò la definizione di âconfine orientaleâ o semplicemente âconfineâ. Allo stesso modo userò quasi sempre la sola denominazione italiana per localitĂ che hanno almeno due, se non tre o quattro toponimi in lingue diverse.
Quando parlo di âconfineâ non intendo però una linea, o una barriera, ma unâampia fascia di territorio che va pressappoco da Gorizia a Trieste, fino a Fiume e a Pola. Questâarea, che oggi è divisa fra tre Stati (Italia, Slovenia e Croazia), include regioni diverse da un punto di vista morfologico. Il terreno carsico caratterizza gran parte dellâarea, ma ci sono anche zone boscose e umide (in alcune parti dellâIstria) e i primi rilievi alpini (in Slovenia). La regione è caratterizzata da cittadine a vocazione marinara, come Pola, Rovigno, Capodistria, e grandi empori commerciali, come Trieste e Fiume. Il cuore di questâarea è la penisola istriana con le sue peculiaritĂ : agricola nellâinterno, marittima sulla costa, boscosa e semidisabitata nel Nord. Si tratta dunque di regioni differenti che hanno però condiviso, nella prima metĂ del Novecento, un destino comune, a causa di un ripetuto e violento mutamento di confini statali. Qui si collocano i fenomeni comunemente chiamati âfoibeâ e âesodoâ. Avvenimenti simili, anche se piĂš limitati numericamente, accadono nella stessa epoca in Dalmazia, ovvero lungo la costa orientale dellâAdriatico, da Fiume a Cattaro.
Uno dei presupposti del discorso pubblico intorno alle foibe e allâesodo è lâaffermazione che questi territori siano italiani âda sempreâ. Essi, quindi, sarebbero stati sottratti alla madrepatria alla fine della seconda guerra mondiale in maniera ingiusta e punitiva. Il che viene simbolicamente ribadito dalla scelta di commemorare le vittime nella giornata del 10 febbraio, ovvero la data della sigla del trattato di pace che, nel 1947, sancĂŹ il passaggio della sovranitĂ di gran parte di questâarea alla Jugoslavia. I profughi istriano-dalmati avrebbero, di conseguenza, effettuato un âplebiscito di italianitĂ â, lasciando le proprie terre e trasferendosi nelle regioni che restavano allâItalia. Questa interpretazione, come molta della terminologia usata per parlarne, affonda le sue radici nel linguaggio nazionalista e poi fascista di un secolo fa: i âsacri confini della patriaâ; il âplebiscitoâ come strumento para-democratico per imporre un cambiamento di regime; la pretesa, tipica di tutti i nazionalismi, di essere gli unici e legittimi abitanti di un dato territorio.
I confini altoadriatici oggi
Di solito, in linea con un modello propagandistico utilizzato durante il Ventennio fascista, lâappartenenza di questi territori allâItalia si fa risalire allâImpero romano e poi alla Repubblica di Venezia. Il perfetto sunto di tale origine sarebbe lâespressione âVenezia Giuliaâ, usata comunemente in Italia per identificare questâarea geografica. Anche questo è un termine di chiara matrice nazionalista. Si tratta infatti di una fortunata formula introdotta nel 1863 dal linguista Graziadio Isaia Ascoli per definire quei territori dei quali lâItalia neo-unitaria e liberale dellâepoca rivendicava il possesso.
Al di lĂ dellâuso politico che se nâè fatto per piĂš di 150 anni, non câè dubbio che questa regione sia stata parte, per alcuni secoli, dellâImpero romano e che, in seguito, nellâetĂ medioevale e moderna, abbia subĂŹto una significativa influenza veneziana. Tuttavia identificare queste realtĂ statali come âitalianeâ è storicamente assurdo. Usando la stessa logica dovremmo pretendere la restituzione alla âmadrepatriaâ di buona parte del bacino del Mediterraneo e dichiarare guerra a una quarantina di paesi sorti su territori storicamente sottoposti al dominio di Roma o di Venezia.
La Repubblica di Venezia (come peraltro lâImpero romano) era uno Stato multietnico e il suo dominio sullâAdriatico era culturale ed economico, certamente non nazionale. Inoltre, fin dalla prima etĂ moderna molti di questi territori non erano soggetti a Venezia ma agli Asburgo. Gorizia, ad esempio, o Trieste e Fiume, entrambi porti fondati dalla corona austriaca e sviluppatisi in concorrenza con Venezia e non grazie ad essa. Infine, dopo il trattato di Campoformio (1797) e, con la breve parentesi napoleonica, fino alla prima guerra mondiale, tutta questa regione è stata governata dagli Asburgo, nel contesto di un impero multiculturale dove le appartenenze nazionali erano subordinate alla fedeltĂ alla corona.
In tutto questo periodo, dalla caduta dellâImpero romano fino alla fine della prima guerra mondiale, la regione di cui stiamo parlando è stata unâarea di confine fra tre mondi culturali e linguistici: quello germanico, quello slavo e quello latino. Queste appartenenze (divenute ânazionaliâ solo in tempi molto recenti) sono state fonte di tensioni e conflitti, ma hanno rappresentato anche la ricchezza culturale ed economica di questa regione. La specificitĂ di questa zona di confine ha prodotto anche un orgoglioso sentimento di appartenenza multiculturale e localista. Il dato piĂš caratterizzante di Trieste, per esempio, non è mai stato il suo essere âitalianissimaâ (a dispetto della propaganda nazionalista dellâinizio del XX secolo), ma al contrario la sua identitĂ meticcia. Su tutti andrebbe ricordato il grande scrittore triestino Italo Svevo, che aveva scelto tale pseudonimo proprio per evidenziare la sua appartenenza mista italiana e tedesca. Un discorso analogo si può fare su Fiume, che era il porto della parte ungherese dellâImpero asburgico. Qui, oltre a italiani, slavi, tedeschi (ma anche ebrei, armeni, greci...), era presente una consistente popolazione di lingua e cultura magiara. Pure in Istria lâappartenenza allâitalianità è sempre stata sfumata, subordinata a una forte identificazione col territorio e con le sue peculiaritĂ storiche. Tuttavia in gran parte di queste terre, fino alla seconda guerra mondiale, la lingua dâuso principale era lâitaliano. Spesso â di conseguenza â si sostiene che se le persone parlavano italiano anche quando erano soggette allâAustria, ciò significa che erano italiane.
Il dominio di Venezia sullâAdriatico nel corso dellâetĂ moderna ha sicuramente contribuito alla diffusione in una vasta area della lingua italiana. Veneziana, in veritĂ , tanto che la lingua parlata dagli italiani dellâIstria viene giustamente considerata dai linguisti una variante del veneto (istro-veneto). In ogni caso la nazionalitĂ viene assimilata alla lingua dâuso familiare solo a partire dalla diffusione dellâidea di nazione, nel corso dellâOttocento. Per molti secoli la lingua ha avuto una funzione sociale, culturale, economica. In Istria, ad esempio, lâitaliano era la lingua del ceto colto, del commercio e delle cittĂ , mentre il tedesco (con lâarrivo dellâImpero asburgico) era la lingua dellâamministrazione e della burocrazia. Si imparava lâitaliano andando a vivere in cittĂ ; parlare italiano era uno status symbol, equivaleva ad una crescita sociale e culturale. Anche per questa ragione nei censimenti austriaci la presenza italiana risultava maggioritaria nelle cittĂ e sulla costa, mentre le campagne apparivano prevalentemente abitate da popolazioni slave.
Ma di cosa parliamo quando diciamo âitalianiâ, âtedeschiâ, âslaviâ? Ă necessario sgombrare il campo da un equivoco: gli italiani, cosĂŹ come li intendiamo oggi, non esistevano prima dellâinvenzione dellâidea di nazione. Come per tutte le nazioni, si tratta di una âcomunitĂ immaginataâ, come dicono gli studiosi, frutto di unâidea di organizzazione dello Stato storicamente determinata. Il nazionalismo è infatti unâideologia politica, che ha origine tra la fine del Settecento e lâinizio dellâOttocento e che diventa predominante in Europa nella seconda metĂ del XIX secolo. Gli italiani quindi, in quanto popolo identificato con una data nazionalitĂ , non esistono prima. In parte non esistono nemmeno dopo lâUnitĂ , se pensiamo alla nota frase attribuita a Massimo dâAzeglio: âFatta lâItalia, bisogna fare gli italianiâ. Lo stesso vale per le altre nazionalitĂ presenti in questi territori, in particolare per quelle slave (slovena e croata) che si strutturano politicamente nel corso dellâOttocento, sia in contrasto con vicini culturalmente piĂš forti (italiani e tedeschi in particolare), sia in contrapposizione fra loro.
Le identitĂ nazionali sono fenomeni complessi e mutevoli, che si basano su un insieme di elementi che includono la lingua, la cultura, la religione, una storia o un territorio comune. Possono però essere valutate diversamente, e cosĂŹ accade in questâarea di confine. I leader politici sloveni e croati adottano un modello di identificazione nazionale basato su unâappartenenza etnica. Il nazionalismo italiano ha invece caratteristiche piĂš culturali: si diventa italiani mediante assimilazione culturale e linguistica, secondo il modello giĂ proprio della Serenissima. Il che spiega perchĂŠ la maggior parte dei cognomi italiani locali ha il suffisso in âichâ, italianizzazione dellââiÄâ slavo: si tratta in sostanza di slavi âetniciâ ma italiani per adesione culturale e nazionale. Un mio compagno di classe del liceo, italiano di origine istriana, fieramente antislavo per tradizione famigliare, porta addirittura un cognome che è lâitalianizzazione del croato Hrvatin, che significa proprio âcroatoâ!
Ma queste persone, in definitiva, sono italiane o slave? La loro identificazione nazionale cambia a seconda delle epoche, delle convenienze e del tipo di idea di nazione. Uno dei piĂš noti eroi risorgimentali, il triestino Guglielmo Oberdan, impiccato a Trieste nel 1882 per aver attentato alla vita dellâimperatore Francesco Giuseppe, era figlio di una cuoca slovena. Si chiamava, alla nascita, Wilhelm Oberdank: nome tedesco, cognome sloveno, identitĂ italiana.
Insomma, in tutta questâarea di confine hanno convissuto per secoli diverse appartenenze; di fatto hanno sempre dominato i grigi, piĂš dei bianchi e dei neri. Un fenomeno che ha cominciato ad evolversi e poi a trasformarsi violentemente con lâavvento dei nazionalismi nellâOttocento e i ripetuti mutamenti di confine nel Novecento. La svolta decisiva si verifica con il passaggio di questi territori allâItalia nel 1918. Per la prima volta uno Stato-Nazione (e di lĂŹ a poco anche fascista e totalitario) impone il suo controllo su questâarea. E lo fa con violenza, negando le differenze, imponendo unâunica appartenenza nazionale, obbligando lâintera popolazione a italianizzarsi.
In definitiva queste regioni non sono italiane da sempre. Sono state invece italianizzate a forza dallo Stato italiano e fascista. Ma prima di allora erano state, per molti secoli, multiculturali, multilinguistiche, multinazionali.