1. Borghesia e classe operaia
1.1. I caratteri della borghesia
Le rivoluzioni del â48-49 si erano concluse con un totale fallimento. Nessuno degli esperimenti democratici aveva retto allâurto dellâondata restauratrice. I vecchi sovrani erano tornati sui loro troni dappertutto, salvo che in Francia (dove perĂČ lâistituto monarchico era stato ripristinato sotto altra forma). Le istituzioni rappresentative erano state quasi ovunque cancellate o soffocate dal ritorno dei metodi assolutistici. Al clima di generale conservatorismo e alla sostanziale staticitĂ delle strutture politiche faceva perĂČ riscontro un processo di profondo mutamento della societĂ : un processo che aveva per principali protagonisti i ceti borghesi, ma che coinvolgeva anche, sia pure piĂč lentamente, le classi proletarie.
Tra il 1850 e il 1870 la borghesia europea conobbe una stagione di crescita e di affermazione. Nonostante fosse ancora condizionata dalla persistenza delle vecchie gerarchie sociali e fosse pesantemente sacrificata nella distribuzione del potere, la borghesia riuscĂŹ in questo periodo a presentarsi come portatrice e depositaria degli elementi di novitĂ e trasformazione â lo sviluppo economico, il progresso scientifico â, a far valere la sua influenza e le sue idee-guida: il merito individuale, la libera iniziativa, la concorrenza, lâinnovazione tecnica.
Le stratificazioni della borghesia
Chi erano i protagonisti di questa fase della storia europea, che non a torto Ăš stata definita come «etĂ della borghesia»? Allora come oggi il termine âborghesiaâ serviva a definire una gamma molto ampia di figure e posizioni sociali. Al vertice si collocavano i magnati dellâindustria e della finanza, che aspiravano ad assumere gli stili di vita tipici dellâaristocrazia e, dove ciĂČ fosse possibile, a mescolarsi con essa grazie soprattutto ad accorte politiche matrimoniali che univano i privilegi del denaro a quelli del lignaggio. Al di sotto si collocavano i gruppi e le categorie sociali che piĂč propriamente si possono definire borghesi. Innanzitutto i ceti âemergentiâ, la cui fortuna era legata allo sviluppo dellâindustria e del commercio: imprenditori e dirigenti dâazienda, mercanti e banchieri. Accanto a loro, la borghesia piĂč tradizionale: quella che traeva i suoi proventi dalla terra, quella che esercitava le professioni (avvocati, medici, ingegneri) e quella che occupava i gradi medio-alti della burocrazia statale. Un gradino piĂč in basso si situavano impiegati e insegnanti, piccoli commercianti e piccoli professionisti: insomma quellâarea dai confini non ben definiti che giĂ allora veniva indicata come ceto medio o piccola borghesia. Nel complesso, la borghesia costituiva una fascia piuttosto ristretta della popolazione: in Gran Bretagna, intorno al 1870, i borghesi in senso lato non erano piĂč del 20%; e la percentuale scendeva al 2% circa se si prendevano in considerazione solo gli strati urbani superiori (senza contare, dunque, il ceto medio e la borghesia agraria).
Lo stile borghese
Nonostante la varietĂ delle sue componenti, la borghesia europea tendeva a esprimere una propria cultura e un proprio stile di vita, i cui tratti essenziali si possono ricondurre a un modello unitario. Lo stile di vita borghese doveva essere visibile nei segni esteriori. Ad esempio, nellâabbigliamento, cui uomini e donne delle classi superiori dedicavano molta cura e che rappresentava, assai piĂč di quanto accade oggi, il principale segno distintivo di una condizione sociale. Grandi cure erano destinate anche allâarredamento. Le abitazioni borghesi non avevano certo lo sfarzo nĂ© lâampiezza dei palazzi aristocratici. Requisiti tipici della casa borghese erano piuttosto la soliditĂ e la razionalitĂ senza sprechi degli spazi e delle funzioni domestiche. Allâinterno, perĂČ, lâabbondanza degli addobbi, dei quadri e dei soprammobili, lâattenzione al particolare e il gusto della decorazione rivelavano lâesigenza di tradurre il successo e la ricchezza in simboli visibili e tangibili.
Accanto a questa esigenza â e nonostante lâadozione dei modelli aristocratici, presenti soprattutto negli strati superiori â i valori fondamentali dellâetica e della cultura borghese restavano quelli tradizionali. LâausteritĂ , la moderazione, la propensione al risparmio, la capacitĂ di reprimere gli istinti erano le virtĂč capitali per il borghese-tipo, quelle che gli permettevano di legittimare moralmente la propria posizione nella societĂ . Questa componente moralistica si rifletteva in particolare nella struttura della famiglia: una struttura patriarcale basata sullâautoritĂ del capofamiglia e sulla subordinazione della donna. Nella societĂ borghese, la donna era generalmente esclusa dalle attivitĂ lavorative anche se aveva un ruolo decisivo nella sfera privata della tutela della famiglia e della cura dei figli.
Morale e rispettabilitĂ
Come si giustificava lâintransigenza borghese in materia di morale familiare e sessuale? Proprio in quanto protagonista di unâascesa sociale recente, priva di una consolidata accettazione, la borghesia doveva costruire e difendere unâimmagine di rispettabilitĂ (che non derivava, come per gli aristocratici, dallâappartenenza a un ordine privilegiato) e doveva quindi dotarsi di quei saldi princĂŹpi morali che ne giustificavano la nuova posizione sociale.
In realtĂ , non tutti i borghesi praticavano scrupolosamente queste virtĂč: le cronache della borghesia ottocentesca pullulano di speculatori disonesti, di avventurieri senza scrupoli, di individui dalla doppia moralitĂ . Ma lâidea secondo cui solo certe doti morali potevano garantire il mantenimento o il miglioramento delle posizioni acquisite era largamente accettata (e difesa spesso da una larga dose di ipocrisia).
La povertĂ come peccato
Ne discendeva la convinzione, ampiamente condivisa e ripetutamente enunciata, secondo cui chi occupava i gradini inferiori della scala sociale era colui che di quelle doti era sprovvisto. In altre parole, la povertĂ era un difetto morale o quanto meno il frutto di colpe ataviche. I poveri rimanevano poveri perchĂ© non conoscevano lâarte del risparmio e non erano in grado di dominare i loro bassi istinti. CosĂŹ veniva spiegata, fra lâaltro, la diffusione tra le classi subalterne della delinquenza, dellâalcolismo, della prostituzione. Al contrario, si pensava che chiunque possedesse accortezza, moderazione e capacitĂ di sacrificio potesse raggiungere i traguardi piĂč ambiziosi, in termini di ricchezza e di rispettabilitĂ .
1.2. La cultura del positivismo
Ottimismo borghese e progresso scientifico
Profondamente convinto della validitĂ dei suoi princĂŹpi e fiducioso nelle proprie capacitĂ , il borghese europeo della seconda metĂ dellâ800 era anche animato da una illimitata certezza nel progresso generale dellâumanitĂ . Questo diffuso ottimismo poggiava soprattutto su due pilastri: lo sviluppo economico [cfr. 1.3] e le conquiste della scienza. Negli anni 1850-70, la chimica, la fisica, la biologia e tutte le scienze della natura conobbero importanti progressi teorici e tornarono a occupare, come nellâetĂ dellâIlluminismo, una posizione di preminenza nellâambito della cultura europea.
Il positivismo
Sui progressi della scienza si fondĂČ essenzialmente una nuova corrente intellettuale, il positivismo, che cominciĂČ ad affermarsi verso la metĂ del secolo e venne poi allargando la sua influenza fino a contrassegnare una lunga stagione della cultura occidentale e diventare una sorta di mentalitĂ diffusa, un metodo generale di ricerca e di interpretazione della realtĂ . Il positivismo fu prima di tutto un indirizzo filosofico che considerava la conoscenza scientifica â quella basata su dati âpositiviâ, cioĂš reali, oggettivi â come lâunica valida e applicava i metodi delle scienze naturali a tutti i campi dellâattivitĂ umana, dallâarte allâeconomia, dalla psicologia alla politica.
Il pensatore francese Auguste Comte (1798-1857) fu il fondatore della nuova filosofia e il primo a tracciare i lineamenti di una âscienza della societĂ â, ossia della moderna sociologia. In seguito il filosofo inglese Herbert Spencer (1820-1903) ne elaborĂČ unâinterpretazione in chiave evoluzionistica, fondata sulla convinzione che mondo sociale e mondo biologico obbedissero a leggi analoghe, che trovĂČ largo seguito soprattutto nel mondo anglosassone. Dal settore degli studi filosofici il positivismo venne allargando la sua influenza a tutti gli altri campi del sapere. Fra i maggiori esponenti della cultura positivista si annoveravano infatti studiosi di economia e di politica, giuristi, storici, letterati e soprattutto scienziati.
Parola Chiave: Progresso âș
Darwin. Una nuova storia del genere umano
Il rappresentante piĂč significativo e piĂč noto del nuovo spirito âpositivoâ fu appunto uno scienziato: il grande naturalista inglese Charles Darwin (1809-1882). In unâopera dal titolo Lâorigine delle specie, uscita nel 1859 e diventata subito celebre, Darwin formulĂČ, sulla base di lunghe osservazioni scientifiche sul mondo animale, una compiuta teoria dellâevoluzione, destinata a divenire pietra miliare degli studi biologici successivi. Secondo questa teoria, la natura Ăš soggetta a un incessante processo evolutivo, guidato da un meccanismo di selezione naturale che determina la sopravvivenza (e la riproduzione) degli individui meglio attrezzati per reagire alle sollecitazioni dellâambiente e la scomparsa degli elementi meno adatti. Lâuomo stesso, secondo Darwin, non Ăš che il risultato dellâevoluzione di organismi piĂč elementari, lâultimo anello di una catena biologica che procede dai protozoi fino ai mammiferi piĂč complessi. La teoria evoluzionistica contraddiceva le credenze religiose sulla creazione dellâuomo direttamente ad opera della divinitĂ e forniva gli elementi per una storia del genere umano radicalmente alternativa a quella offerta dalle Sacre Scritture. In questo modo il darwinismo si inseriva nel quadro piĂč generale della cultura âpositivaâ, che tendeva a liberare lâuomo da ogni forma di condizionamento soprannaturale, a immergerlo completamente nel mondo della natura, a sostituire le certezze delle religioni rivelate con quelle delle scienze esatte.
Il darwinismo soci...