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Una prospettiva nuova per l'Europa

Sergio Fabbrini

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Una prospettiva nuova per l'Europa

Sergio Fabbrini

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Über dieses Buch

Ci siamo illusi che un'Europa sempre piĂš grande assorbisse le differenze, con il risultato di alimentare la reciproca diffidenza. Dentro il mercato unico ci serve un'unione politica piĂš piccola ma piĂš forte.

La crisi dell'euro, l'arrivo in Europa di milioni di rifugiati e migranti, gli attacchi terroristici nel cuore delle città europee, infine la Brexit, i crescenti populismi e nazionalismi, le eurofobie, l'impatto della presidenza Trump sugli equilibri geopolitici alla base del progetto di integrazione. A partire dal 2008 l'Unione ha affrontato sfide senza precedenti con un assetto legale e istituzionale che alla prova si è rivelato drammaticamente inadeguato. Se vogliamo dare nuova forza all'Unione, l'idea di una misura che vada bene per tutti va messa nel cestino: è necessario separare gli stati che hanno una ragione strutturale per aggregarsi politicamente (come è il caso dei paesi dell'Europa continentale e occidentale) e gli stati che hanno invece un esclusivo interesse economico per il processo di integrazione (le isole e penisole del Nord, gli stati dell'Est). Il primo gruppo dovrà procedere verso una vera e propria unione federale con una base politica e costituzionale e perseguire l'obiettivo 'di un'unione sempre piÚ stretta'; il secondo gruppo potrà invece basarsi su un trattato interstatale puramente funzionale. Due Europe quindi collegate nel mercato unico. Solo cosÏ sarà possibile portare l'Unione Europea fuori dalla sua crisi esistenziale.

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Information

Jahr
2017
ISBN
9788858129043

1.
L’Unione Europea
da Roma a Lisbona

Premessa

L’ue è il risultato di un lungo processo storico di integrazione volontaria tra stati nazionali che erano rimasti indipendenti per secoli. Per la prima volta, nella storia secolare del Vecchio Continente, un processo di questo genere ha preso corpo. Tutti i precedenti tentativi di aggregazione degli stati europei furono promossi dalla forza, mai dal consenso. La seconda guerra mondiale creò una discontinuità politica, non solo storica, in Europa. Dopo di essa, nella parte occidentale del continente, ritornarono le democrazie liberali, ovvero arrivarono le forme politiche della democrazia di massa. Tutto ciò grazie al sostegno attivo degli Stati Uniti (i vincitori occidentali della guerra), sostegno che fu insieme economico e politico, oltre che culturale. E grazie, soprattutto, alla formazione di un’alleanza militare dei paesi europei guidata dagli Stati Uniti: la North Atlantic Treaty Organization (nato), istituita a Washington nel 1949, che risolse il dilemma storico della sicurezza in Europa. Nel clima disperato successivo alla seconda guerra mondiale, nuove leadership politiche si affermarono nei principali paesi europei, nuove perché finalmente consapevoli dell’intima pericolosità del nazionalismo. La minaccia sovietica, dietro la cortina di ferro, costituì a sua volta un formidabile incentivo affinché i paesi dell’Europa occidentale trovassero forme avanzate di integrazione. È in quel contesto che va collocata la nascita di ciò che oggi chiamiamo ue.
Le élite nazionali che la promossero avevano un obiettivo prioritario. Dare vita ad un patto per la pace tra paesi storicamente belligeranti, un patto che si sarebbe rivelato tanto più solido quanto più fosse stato sostenuto da una crescita economica diffusa. La pace e il benessere furono visti (da uomini come Robert Schuman, Alcide De Gasperi e Konrad Adenauer) come le condizioni per smorzare gli istinti bellicosi del nazionalismo e per consolidare le nuove democrazie costituzionali emerse sulla sconfitta di quest’ultimo. La modernizzazione economica era diventata la condizione della democratizzazione politica. Tuttavia, la fine della Guerra fredda (tra il 1989 e il 1991) sollevò nuove sfide per l’integrazione europea, a cominciare dalla riunificazione della Germania avvenuta nell’autunno del 1990 e per finire con lo scongelamento del controllo sovietico sui paesi dell’Europa dell’Est. A fronte di questi mutamenti storici, l’ue non poteva più limitarsi a regolare il mercato unico, ma doveva misurarsi con politiche che erano state tradizionalmente al cuore delle sovranità nazionali. A Maastricht, quindi, quelle politiche furono europeizzate, ma secondo modalità che avrebbero consentito ai governi nazionali di controllarne il policy-making. Furono creati così i pilastri intergovernativi per gestirle. Attraverso quei pilastri, il carattere unitario dell’organizzazione emersa dai Trattati di Roma del 1957 venne quindi intaccato. Qui ricostruirò le basilari tappe dell’integrazione europea proprio per mostrare la logica contrastata che l’ha accompagnata.

I primi decenni dell’integrazione

L’ue è nata nel 1957 a Roma come un progetto per la costruzione di un mercato integrato su scala continentale, anche se il primo germe dell’integrazione fu seminato dal Trattato di Parigi del 1952 che istituì la Comunità Europea del Carbone e dell’Acciaio (ceca). Sin dall’inizio, essa si è proposta come il più avanzato esperimento di regionalismo economico, configurandosi come un sistema integrato di regolamentazione di un mercato comune. Fu inevitabile che l’ue si sviluppasse a partire da un progetto di integrazione economica, dopo che l’Assemblea nazionale della Francia della IV Repubblica votò contro il Progetto di difesa comune europea nel 1954. Dopo quel voto, i principali leader dell’Europa (continentale e occidentale) decisero di promuovere l’integrazione politica attraverso l’integrazione economica (Dinan 2005). È indubbio (Judt 2005), tuttavia, che quei leader interpretassero la nascita della (allora) Comunità Economica Europea (cee) come una risposta all’esigenza di chiudere una lunga epoca di guerre civili sul continente europeo. L’ue nacque dunque come un patto per la pace tra paesi dell’Europa occidentale che avevano combattuto due guerre calde, per divenire quindi, mezzo secolo dopo, un patto per la pace tra paesi che avevano combattuto la successiva Guerra fredda. La crescita economica venne considerata una condizione per la promozione della pace e della libertà piuttosto che un fine in sé stesso. Naturalmente, se con il Trattato di Roma del 1957 furono create le condizioni per un patto civile tra precedenti nemici, l’istituzione della nato nel 1949 (a sua volta rafforzata nel 1955 con l’entrata della Germania federale) aveva creato le condizioni per un patto militare tra di essi, un patto garantito dalla presenza predominante degli Stati Uniti all’interno di quella organizzazione (Calleo 2001).
Dopotutto, il sistema vestfaliano degli stati nazionali (vestfaliano in quanto emerso dalla pace di Vestfalia del 1648, pace con cui si concluse una lunga sequenza di guerre attraverso la formazione di entità politiche omogenee, gli stati territoriali), che gli europei avevano inventato, aveva dimostrato di essere tutt’altro che in grado di garantire la pace nel continente attraverso l’equilibrio di potenza. Anzi, quel sistema era stato la fonte di una permanente insicurezza, attivando periodici tentativi, da parte dell’uno o dell’altro stato nazionale europeo, di imporre il proprio ordine imperiale sugli altri. Così, dopo due guerre tra europei divenute guerre mondiali, gli stati nazionali europei (a cominciare da quelli continentali) dovettero riconoscere che non avrebbero avuto un futuro se non avessero creato un nuovo ordine politico. La minaccia rappresentata dalla Guerra fredda e la presenza degli Stati Uniti sul continente (che, in quanto potenza non europea, venne vista come una garanzia dai paesi europei: Ikenberry 2000) costituirono un’ulteriore ragione per avviare il processo di integrazione. L’ue è dunque l’esito di un tentativo di fuoriuscire dalla soluzione vestfaliana delle rivalità inter-statali, anche se tale tentativo non ha mai ricevuto una giustificazione politica adeguata alla sua importanza storica. La necessità di dare una giustificazione costituzionale al processo di integrazione europea è emersa solamente con la fine della Guerra fredda.
Con l’ue, gli stati nazionali europei hanno contribuito a costruire un ordine istituzionale sovranazionale, finalizzato a favorire una collaborazione sempre più stretta tra di loro su questioni di comune interesse attraverso una combinazione di assetti intergovernativi e comunitari. Come la storia aveva ampiamente dimostrato, non solo la pace politica ma anche la crescita economica non potevano essere raggiunte esclusivamente attraverso accordi strettamente internazionali (o interstatali). Quegli accordi, per essere rispettati, richiedevano l’esistenza di istituzioni indipendenti dagli stessi governi nazionali che le avevano create e quindi messe nelle condizioni di regolamentare le rivalità, destinate ad emergere tra quei governi nazionali. Il compito assegnato alla Commissione europea e alla Corte di giustizia europea è consistito, dunque, nel garantire che i firmatari degli accordi intergovernativi rispettassero le regole che essi stessi si erano date. Così, la componente sovrastatale dell’ue (la Commissione e la Corte di giustizia europea e poi, sempre di più, il Parlamento europeo) è stata necessaria per proteggere quella interstatale (rappresentata originariamente dal Consiglio dei ministri) dalle possibili derive della rivalità tra gli stati. In questo senso, si può dire che l’ue costituisce un tentativo di addomesticare le relazioni esterne degli stati nazionali europei, creando un regime sovranazionale con caratteristiche domestiche.
Le fondamenta materiali del patto per la pace furono rappresentate dalla cooperazione trans-nazionale in un numero crescente di questioni economiche (Lindberg 1963). Tale cooperazione ha condotto alla progressiva istituzionalizzazione di un complesso network di istituzioni, alcune previste dai trattati fondativi (come il Consiglio dei ministri, la Commissione e il Parlamento europeo) e altre no (come il Consiglio europeo).
Si è venuto perciò a istituzionalizzare, tra gli anni Sessanta e gli anni Ottanta del secolo scorso, un sistema che non era riconducibile ad un’organizzazione internazionale, anche se non poteva essere considerato un’organizzazione domestica. Così, l’istituzione originariamente preminente del sistema comunitario, il Consiglio dei ministri, ha dovuto riconoscere la considerevole influenza che la Commissione era stata in grado di esercitare nel processo di policy-making, grazie al suo monopolio del potere di iniziativa delle proposte legislative (giustificato anche dalle sue riconosciute competenze tecniche). Inoltre ha dovuto riconoscere la crescita del ruolo decisionale del Parlamento europeo, il quale, a partire dalla sua elezione diretta nel 1979, ha rivendicato con successo un potere prima di co-determinazione e poi di co-decisione in un numero sempre più esteso di policies (potere riconosciutogli a partire dal Trattato noto come Atto Unico Europeo del 1986). Quindi, tutte e tre le istituzioni hanno dovuto riconoscere la crescita del ruolo strategico del Consiglio europeo dei capi di governo, divenuto (a partire dalle prime riunioni informali del 1974) l’arena per la definizione delle scelte di lungo periodo dell’ue. Ma naturalmente il motore politico del processo d’integrazione aveva continuato ad essere il cosiddetto asse franco-tedesco, che fissava i tempi e la direzione del processo di integrazione (Hendricks, Morgan 2001).
Insomma, tra gli anni Cinquanta e gli anni Ottanta del secolo scorso, l’ue è venuta ad istituzionalizzarsi attraverso un’interazione tra istituzioni sovranazionali e intergovernative, un’interazione definita quindi come metodo comunitario da Jean Monnet, uno degli ispiratori del processo di integrazione europea (Duchene 1994). Il versante comunitario e quello intergovernativo hanno continuato a crescere insieme, in una logica allo stesso tempo competitiva e cooperativa. Sin dalla sua fondazione nel 1957, l’ue è passata attraverso un processo di sviluppo istituzionale che ha significativamente trasformato la sua natura originaria di organizzazione internazionale legittimata da trattati interstatali (Stone Sweet, Sandholtz, Fligstein 2001). Tale sviluppo ha istituzionalizzato un insieme assai complesso ma sufficientemente stabile di organismi che sono venuti a condividere la responsabilità decisionale in un numero crescente di politiche pubbliche. In questo processo, la Corte di giustizia europea ha avuto un ruolo cruciale, introducendo criteri costituzionali nel funzionamento del sistema comunitario e nei suoi rapporti con gli stati partecipanti al processo di integrazione. Si pensi alle due cruciali decisioni degli anni Sessanta: quella che ha stabilito, in Van Gend en Loos del 1962, che certe disposizioni comunitarie hanno un effetto diretto sui singoli cittadini e non solo sui governi degli stati membri; e quella che ha stabilito, in Costa vs Enel del 1964, che in caso di conflitto tra la legislazione comunitaria e la legislazione degli stati membri, la prima ha una supremazia sulla seconda, anche se quest’ultima è stata approvata successivamente. Queste decisioni hanno contribuito a istituire un vero e proprio ordine legale sovranazionale, cioè a costituzionalizzare il funzionamento del mercato comune (Amato, Ziller 2007). Alla fine degli anni Ottanta, gli stati nazionali europei si erano trasformati in stati membri dell’ue (Sbragia 1994).

Da Maastricht a Lisbona

Nei primi decenni il processo di integrazione si svolse all’interno dell’Europa occidentale, poté beneficiare della copertura politica e della protezione militare degli Stati Uniti (attraverso la loro leadership della nato) ed era basato sulla divisione della Germania (che aveva rappresentato il problema irrisolto della storia europea almeno dalla guerra franco-prussiana del 1870-1871, con il suo esito sconvolgente dell’incoronazione dell’imperatore prussiano nella reggia di Versailles). Tra il 1989 e il 1991, queste condizioni sistemiche dell’integrazione si indebolirono irrimediabilmente. Con il crollo del muro di Berlino nel novembre del 1989 si impose il problema dell’unificazione tedesca e con l’implosione dell’Unione Sovietica nell’agosto del 1991 si formalizzò la fine della Guerra fredda. L’Europa integrata fu costretta a cambiare la propria agenda. L’ue non poteva più limitarsi a costruire un mercato comune, lasciando ad altri (gli Stati Uniti in specifico) il compito di garantire la propria sicurezza militare. E soprattutto non poteva più pensare che potesse essere rinviata all’infinito la riunificazione della Germania: che infatti avvenne proprio alla fine del 1990, con l’aiuto degli americani e le diffidenze delle principali cancellerie europee, ma in cambio della rinuncia da parte dei tedeschi alla loro moneta nazionale e della formazione di una Unione economica e monetaria (l’Eurozona) per gestire una nuova moneta comune. Il Trattato di Maastricht del 1992, elaborato dalla Conferenza intergovernativa dell’anno precedente, fu la risposta europea a tali cambiamenti storici.
Per la prima volta, nella preparazione del Trattato, si riconobbe che il progetto di integrazione aveva un carattere politico e non esclusivamente economico. Per la prima volta si parlò di unione politica, tanto che la denominazione di Unione Europea verrà introdotta proprio per siglare la distanza dalla precedente denominazione di Comunità Economica Europea. Per la prima volta venne deciso che il processo di integrazione dovesse coinvolgere settori di policy non strettamente legati al mercato comune, come la politica estera e di sicurezza e la politica della giustizia e dell’ordine interno. Per la prima volta si definirono i tempi e i modi per l...

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