III.
Le istituzioni giudiziarie
1. Introduzione
Lâart. 13 Tue annovera tra le istituzioni dellâUnione, oltre a quelle giĂ esaminate nel precedente capitolo, la Corte di giustizia dellâUnione europea, alla quale Ăš affidato il compito di assicurare «il rispetto del diritto nellâinterpretazione e nellâapplicazione dei Trattati» (art. 19, par. 1, Tue). In realtĂ tale istituzione si articola al suo interno in due organi: la Corte di giustizia e il Tribunale. Il ricorso a questa singolare «struttura» (che, anche per la denominazione utilizzata, puĂČ dare luogo a incertezze) Ăš dovuto alla volontĂ di evitare di stabilire rigidamente nei Trattati una ripartizione interna di funzioni tra tali organi: il Tue e il Tfue si limitano generalmente ad attribuire determinate funzioni alla Corte di giustizia dellâUnione europea lasciando allo statuto di questa istituzione (che Ăš enunciato nel Protocollo n. 3 allegato ai Trattati) il compito di ripartire le funzioni stesse tra gli organi che la compongono. Tale soluzione presenta il vantaggio di poter riorganizzare lâarticolazione interna delle funzioni giurisdizionali senza dover ricorrere al procedimento di revisione dei Trattati. Infatti lo statuto, ad eccezione di alcune sue disposizioni, puĂČ essere modificato, ai sensi dellâart. 281 Tfue, secondo la procedura legislativa ordinaria «su richiesta della Corte di giustizia e previa consultazione della Commissione o su proposta della Commissione e previa consultazione della Corte di giustizia». Lâart. 257 Tfue prevede che il Parlamento europeo e il Consiglio possano decidere di istituire, mediante un atto legislativo, «tribunali specializzati», cioĂš organi giudiziari con il compito di decidere in primo grado categorie di ricorsi su specifiche materie. Lâunico tribunale specializzato sinora istituito â il tribunale per la funzione pubblica europea, che ha operato dal 2005 al 2016 â Ăš stato soppresso, trasferendone le competenze al Tribunale.
Si Ăš giĂ accennato (cfr. par. II.1) che nellâambito dellâUnione la separazione fra le istituzioni politiche e quelle giudiziarie non appare sempre in modo netto: non solo perchĂ© nellâinterpretazione delle norme dellâUnione si constatano non di rado elementi politici, ma anche perchĂ© la Corte di giustizia ha fortemente contribuito, come giĂ notato (cfr. par. I.1), a delineare alcuni aspetti fondamentali del sistema. Si Ăš molto discusso del ruolo che la Corte ha avuto nello sviluppo della ComunitĂ (e poi dellâUnione) e delle circostanze che lo hanno consentito. Una di queste Ăš stata la difficoltĂ di funzionamento dei meccanismi decisionali nelle istituzioni politiche. Di fronte al lento procedere dellâattivitĂ normativa, la Corte ha innanzitutto provveduto a consolidarne i risultati, ma Ăš andata assai oltre, incidendo in modo significativo sul sistema delle fonti, sui rapporti fra norme dellâUnione e norme interne e sulla stessa ripartizione delle competenze fra Unione e Stati membri, particolarmente nellâambito delle relazioni esterne. La Corte ha operato sinora essenzialmente nella direzione di promuovere una piĂč forte integrazione fra gli Stati membri, svolgendo talora un ruolo di supplenza nei confronti delle istituzioni politiche.
Il processo decisionale dellâUnione â pur attualmente ben diverso da quello in origine stabilito, specie per lâampia prevalenza ormai acquisita dal procedimento di delibera del Consiglio a maggioranza qualificata â potrebbe ugualmente incontrare delle difficoltĂ , anche a motivo del potere del Parlamento europeo di precludere, sulla base di alcune procedure normative, lâadozione degli atti (cfr. par. II.7). Dâaltra parte, vi Ăš il rischio che eventuali future pronunce della Corte dirette a compensare le difficoltĂ di funzionamento dei meccanismi decisionali siano accolte meno favorevolmente se, come Ăš probabile, la Corte avrĂ piĂč sovente, in una Unione che si prospetta sempre meno omogenea, lâesigenza di risolvere questioni di notevole rilievo politico.
Se una parte della giurisprudenza della Corte ha dato luogo a critiche in alcuni Stati membri, nel complesso essa Ăš stata accolta favorevolmente, sia perchĂ© le soluzioni date dalla Corte rispondevano a esigenze largamente sentite sia perchĂ© ne Ăš stata riconosciuta, talora con ritardo, lâadeguatezza allo sviluppo del sistema dellâUnione. Si Ăš comunque diffuso un timore per lâ«attivismo» della Corte, dal quale potrebbe risultare lâenunciazione di obblighi che gli Stati membri sono poco disposti ad assumere. Questo atteggiamento di timore si manifesta tuttora nella quasi totale esclusione, disposta dallâart. 24, par. 1, Tue e dallâart. 275 Tfue, di competenze della Corte per quanto riguarda le «disposizioni relative alla politica estera e di sicurezza comune» e «gli atti adottati in base a dette disposizioni»; la Corte ha tuttavia affermato che, poichĂ© tali articoli prevedono «una deroga alla regola della competenza generale che lâart. 19 Tue conferisce alla Corte per assicurare il rispetto del diritto nellâinterpretazione e nellâapplicazione dei trattati», essi «devono dunque essere interpretati restrittivamente» (sent. 24 giugno 2014, causa C-658/11, Parlamento c. Consiglio, EU:C:2014:2025; cfr. anche sent. 19 luglio 2016, H. c. Consiglio, Commissione e Eupm, EU:C:2016:569).
Con il Trattato di Lisbona, la competenza della Corte a pronunciarsi secondo le regole stabilite in via generale Ăš stata estesa, in conseguenza dellâeliminazione della struttura in pilastri (cfr. par. I.1), rispetto alle disposizioni concernenti la cooperazione giudiziaria penale e di polizia e agli atti derivati su di esse fondati. Inoltre, le regole generali si applicano anche rispetto alle disposizioni relative allo spazio di libertĂ , sicurezza e giustizia, riguardo alle quali, prima del Trattato di Lisbona, la Corte di giustizia disponeva di una competenza piĂč ridotta; resta tuttavia un limite specifico, giacchĂ© la Corte, nel pronunciarsi su tali disposizioni, «non Ăš competente a esaminare la validitĂ o la proporzionalitĂ di operazioni condotte dalla polizia o da altri servizi incaricati dellâapplicazione della legge di uno Stato membro o lâesercizio delle responsabilitĂ incombenti agli Stati membri per il mantenimento dellâordine pubblico e la salvaguardia della sicurezza interna» (art. 276 Tfue). Tale limitazione risponde alla volontĂ degli Stati membri di evitare un controllo da parte della Corte rispetto a misure ritenute espressione di un potere discrezionale statale; spetta tuttavia alla Corte, nellâesercizio delle competenze ad essa attribuite, interpretare tale disposizione del Tfue, e, quindi, definire quali operazioni e attivitĂ rientrano nellâambito della deroga.
Ă difficile valutare quale ruolo potrĂ svolgere la Corte in avvenire. Certamente le modifiche apportate dal Trattato di Lisbona comportano lâesigenza di un chiarimento interpretativo di varie disposizioni; lâesercizio di un ruolo di particolare rilevanza Ăš richiesto alla Corte in merito alla tutela dei diritti fondamentali anche in ragione dellâesigenza di coordinare le varie fonti operanti al riguardo (cfr. par. VI.3). In tale attivitĂ interpretativa la Corte continua a fornire un importante contributo propulsivo allâintegrazione europea, come da ultimo evidenziano, tra lâaltro, le sentenze sul soggiorno dei cittadini dellâUnione (cfr. in particolare la sent. 11 marzo 2011, Zambrano, causa C-34/09, EU:C:2011:124 e le varie pronunce che vi hanno fatto seguito) e sulla tutela giurisdizionale effettiva dei diritti conferiti da norme dellâUnione. A questâultimo riguardo si segnala il principio in base al quale lâobbligo degli Stati membri di «assicurare una tutela giurisdizionale effettiva nei settori disciplinati dal diritto dellâUnione» (art. 19, par. 1, 2° comma, Tue) implica lâesigenza «di primaria importanza» che gli organi giudiziari previsti negli ordinamenti degli Stati membri siano indipendenti; infatti, «questo requisito di indipendenza degli organi giurisdizionali, intrinsecamente connesso al compito di giudicare, costituisce un aspetto essenziale del diritto fondamentale a un equo processo, che riveste importanza cardinale quale garanzia della tutela dellâinsieme dei diritti derivanti al singolo dal diritto dellâUnione e della salvaguardia dei valori comuni agli Stati membri enunciati allâarticolo 2 Tue, segnatamente del valore dello Stato di diritto» (sent. 24 giugno 2019, Commissione c. Polonia, causa C-619/18, par. 58). Tale recente orientamento, fondato sullâesigenza che i diritti conferiti da norme dellâUnione siano adeguatamente tutelati negli ordinamenti nazionali, contribuisce a garantire il rispetto da parte degli Stati membri dei valori dellâUnione (cfr. par. I.1).
2. Le regole sullâorganizzazione della Corte di giustizia e del Tribunale
Il Tue prevede che la Corte di giustizia sia composta da un giudice per Stato membro e il Tribunale da «almeno» un giudice per Stato membro (art. 19, par. 2). CiĂČ comporta che, mentre il numero dei componenti della Corte Ăš predefinito, quello dei giudici del Tribunale â in origine anchâessi uno per Stato membro â puĂČ essere aumentato; a ciĂČ si Ăš provveduto mediante una recente riforma che ha portato gradualmente ad una composizione che prevede (dal 1° settembre 2019) due giudici per ciascuno Stato membro (regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio 2015/2422 che ha modificato lo statuto della Corte). Lâincremento del numero dei giudici del Tribunale si propone di renderne piĂč efficiente e rapida lâattivitĂ , diminuendo la durata dei procedimenti. Una durata eccessiva Ăš emersa, in particolare, a seguito di alcune sentenze con le quali il Tribunale ha condannato lâUnione a versare un risarcimento a varie imprese in ragione dei danni che queste avevano subĂŹto a causa dellâeccessiva durata del procedimento dinanzi al Tribunale stesso (cfr. tra le altre sent. 10 gennaio 2017, Gascogne, causa T-577/14, in parte riformata dalla sent. della Corte di giustizia 13 dicembre 2018, causa C-138/17 P e altre, EU:C:2018:1013).
I giudici della Corte di giustizia e del Tribunale, nonchĂ© gli avvocati generali dei quali si dirĂ piĂč avanti, sono scelti (come prevede lâart. 19, par. 2, Tue) «tra personalitĂ che offrano tutte le garanzie di indipendenza e che soddisfino le condizioni richieste dagli articoli 253 e 254» Tfue. Tali articoli prevedono che i giudici della Corte e gli avvocati generali «riuniscano le condizioni richieste per lâesercizio, nei rispettivi paesi, delle piĂč alte funzioni giurisdizionali, ovvero che siano giureconsulti di notoria competenza» (art. 253 Tfue); per i giudici del Tribunale Ăš invece posto un requisito un poâ meno rigoroso, richiedendo che essi «possiedano la capacitĂ per lâesercizio di alte funzioni giurisdizionali» (art. 254 Tfue).
I giudici della Corte e del Tribunale nonchĂ© gli avvocati generali «sono nominati di comune accordo per sei anni dai governi degli Stati membri» (art. 253 Tfue); una tenue limitazione alla libertĂ di ciascuno Stato membro di designare il «proprio» giudice deriva dallâesigenza che, prima della nomina dei giudici e degli avvocati generali, sia consultato un comitato, composto da sette personalitĂ scelte tra ex membri della Corte di giustizia e del Tribunale, membri dei massimi organi giurisdizionali nazionali e giuristi di notoria competenza, uno dei quali Ăš proposto dal Parlamento europeo. Il comitato ha il compito di «rendere un parere sullâadeguatezza dei candidati allâesercizio delle funzioni di giudice e di avvocato generale della Corte di giustizia e del Tribunale, prima che i governi degli Stati membri procedano alle nomine» (art. 255 Tfue). Tale procedura tende essenzialmente a verificare che i componenti designati possiedano le competenze tecniche necessarie per lo svolgimento della loro funzione. La procedura di nomina prospetta la questione dellâindipendenza dei giudici, tanto piĂč che il loro mandato Ăš rinnovabile e in effetti Ăš spesso rinnovato. Ă vero che le modalitĂ di nomina di un giudice non incidono necessariamente sul modo in cui egli esercita le proprie funzioni. Lâart. 2 dello statuto della Corte gli impone del resto di «prestare giuramento di esercitare tali funzioni in piena imparzialitĂ e secondo coscienza». Ă difficile tuttavia immaginare che la presenza nella Corte di un giudice avente la nazionalitĂ di un certo Stato abbia unicamente la conseguenza di consentire alla Corte di meglio valutare la normativa dello stesso Stato. Ciascun giudice sarĂ inevitabilmente sensibile agli interessi dello Stato di appartenenza. La misura in cui egli si preoccuperĂ di difendere tali interessi varierĂ non poco a seconda della sua personalitĂ e delle circostanze; in effetti, la questione dellâindipendenza assume rilievo soltanto in poche cause.
Accanto ai giudici operano nella Corte di giustizia gli avvocati generali, i quali hanno «lâufficio di presentare pubblicamente, con assoluta imparzialitĂ e in piena indipendenza, conclusioni motivate sulle cause che, conformemente allo statuto», richiedono il loro «intervento» (art. 252 Tfue). Lo statuto prevede che qualora la Corte di giustizia ritenga che la causa non sollevi nuove questioni di diritto puĂČ, sentito lâavvocato generale, decidere senza le conclusioni di questâultimo (art. 20). La funzione dellâavvocato generale Ăš di illustrare alla Corte i contenuti possibili della decisione e le relative implicazioni, indicando quale sia a suo avviso la soluzione preferibile. Non mancano nelle sentenze della Corte di giustizia richiami alle conclusioni degli avvocati generali, spesso per recepire la soluzione da questi suggerita, nĂ©, peraltro, mancano casi nei quali la Corte si Ăš nettamente discostata dalle soluzioni prospettate nelle conclusioni (cfr. ad esempio par. VI.7). Gli avvocati generali sono attualmente undici, ma il Consiglio, su richiesta della Corte, puĂČ allâunanimitĂ aumentarne il numero (art. 252 Tfue). Anche per gli avvocati generali esiste una tensione fra lâesigenza di operare in modo indipendente rispetto allo Stato di appartenenza e la sensibilitĂ agli interessi del medesimo. Presso il Tribunale non vi sono, invece, avvocati generali, ma uno dei giudici di questo organo puĂČ essere chiamato, nei casi previsti dal regolamento di procedura del Tribunale stesso, a svolgere tale funzione (art. 49 dello statuto).
I giudici designano nel loro ambito il presidente della Corte (o, rispettivamente, del Tribunale), il cui mandato Ăš triennale e rinnovabile (per la Corte: art. 253 Tfue; per il Tribunale: art. 254 Tfue).
La Corte di giustizia normalmente opera in sezioni (art. 251 Tfue), composte di tre o cinque giudici (art. 16 dello statuto); la maggior parte delle decisioni Ăš adottata nelle sezioni composte da cinque giudici. Attualmente sono costituite dieci sezioni, per le quali non Ăš prevista alcuna specializzazione, nonchĂ© una «grande sezione», composta da quindici giudici, alla quale sono deferite le cause «quando lo richieda uno Stato membro o unâistituzione dellâUnione che Ăš parte in causa». In casi molto particolari la Corte si riunisce in seduta plenaria, ad esempio per pronunciare le dimissioni di componenti della Commissione o su decisione della stessa Corte a motivo dellâeccezionale importanza di un giudizio dinanzi ad essa pendente, come nel caso Wightman (cfr. par. I.2), relativo al recesso del Regno Unito dallâUnione (art. 16 dello statuto). LâattivitĂ della Corte Ăš disciplinata, oltre che dalle disposizioni dei Trattati e dallo statuto, anche dal regolamento di procedura, che Ăš adottato dalla stessa Corte, ma Ăš sottoposto allâapprovazione del Consiglio che delibera a maggioranza qualificata (art. 253 Tfue). Il testo del regolamento della Corte Ăš pubblicato nella «Gazzetta ufficiale dellâUnione europea», 29 settembre 2012, L 265, e consultabile nel sito della Corte (http://curia.europa.eu) nella versione modificata da ultimo il 26 novembre 2019.
Anche il Tribunale si riunisce in sezioni (art. 50 dello statuto) e ha un proprio regolamento di procedura, che Ăš stabilito dallo stesso Tribunale «di concerto con la Corte di giustizia» ed Ăš quindi «sottoposto allâapprovazione del Consiglio» (art. 254 Tfue). Il regolamento indica fra lâaltro, con criteri flessibili, in quali casi il Tribunale procede in seduta plenaria anzichĂ© in una sezione e in quali Ăš designato un avvocato generale (le cui funzioni, come si Ăš detto, sono esercitate da un giudice dello stesso Tribunale). Una versione codificata del regolamento del Tribunale, con le modifiche apportate da ultimo il 31 luglio 2018, Ăš consultabile nel sito della Corte (http://curia.europa.eu).
Il Tribunale non era previsto in origine dal Trattato Ce; esso Ăš stato istituito nel 1989 con la decisione del Consiglio 88/951 (in «Gazzetta ufficiale delle ComunitĂ europee», 25 novembre 1988, L 391) adottata sulla base di una disposizione introdotta dallâAtto unico europeo, al fine di alleviare il carico giudiziario della Corte, che si era fatto nel tempo assai gravoso. Al Tribunale (che, prima del Trattato di Lisbona, assumeva il nome di «Tribunale di primo grado») sono state gradualmente assegnate competenze sempre piĂč ampie. In linea generale, sono...