La storia del rock
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La storia del rock

Ezio Guaitamacchi

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La storia del rock

Ezio Guaitamacchi

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Über dieses Buch

Il rock è una forma d'arte. E, in alcuni casi, una forma d'arte "suprema" paragonabile per valori, influenza e longevità alle più straordinarie espressioni di talento, creatività, fantasia della storia dell'uomo.Ma è una forma d'arte popolare. Indissolubilmente legata, cioè, a tempi, luoghi e contesti socio-culturali che l'hanno generata.Per capirla, apprezzarla o addirittura amarla ancora di più, questo libro ne racconta la storia. Una storia lunga 70 anni che inizia il 5 luglio 1954, il giorno in cui Elvis Presley incide a Memphis il suo primo singolo. Una vicenda che, però, ha radici ancor più lontane e profonde, che si possono trovare nel continente africano e nella cultura e nelle antiche tradizioni anglo-scoto-irlandesi.Da allora, sino a oggi, il rock e le musiche a esso connesse – o che da esso si sono sviluppate – sono state una colonna sonora fantastica per le vite di centinaia di milioni di giovani (e meno giovani) in tutto il pianeta Terra, accompagnando l'evoluzione dell'uomo del Novecento.In questa nuova edizione, a colori e ricca di illustrazioni, si approfondiscono anche le ultime realtà rock del nuovo millennio.

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Information

“L’America è un piano inclinato a ovest: tutto scorre verso la California”
FRANK LLOYD WRIGHT

06

CALIFORNIA DREAMIN’

PSICHEDELIA
Il suono della West Coast
MONTEREY, CALIFORNIA, 18 giugno 1967. Nel backstage del festival, Jimi Hendrix è accovacciato di fianco alla sua Fender Stratocaster: sembra in raccoglimento. Ha appena terminato di dipingere la chitarra con le sue mani.
Chi lo osserva da vicino giura che somigli a un guerriero Navajo, pronto al grande sacrificio. Quando sale sul palco, Hendrix incanta appassionati e addetti ai lavori, colleghi musicisti o semplici inservienti: lui è il nuovo dio del rock capace di “infuocare” qualsiasi performance. Così, verso la fine del set (mentre sta eseguendo una personalissima, travolgente, passionale cover di Wild Thing) Jimi si sfila la chitarra, la depone sul pavimento e ci si china sopra. Il feedback lacerante, provocato dal sapiente uso della leva del tremolo, crea negli astanti un’atmosfera inquietante. Hendrix usa la chitarra come fosse la sua compagna di giochi erotici tanto che l’amplesso diventa (letteralmente) incendiario. Da una tasca dei pantaloni estrae una bottiglietta di benzina che versa a profusione sul solid body della sua Strato per poi dargli fuoco con un accendino: il pubblico è in delirio, gli operatori sbavano, gli altri musicisti muoiono d’invidia. A Monterey, non si certifica soltanto il talento di Jimi Hendrix o quello altrettanto sublime di Janis Joplin. Il primo festival rock della storia apre la stagione più luminosa della “musica che ha cambiato il mondo”, celebra una nuova forma artistica e culturale chiamata psichedelia e sdogana nuove, rivoluzionarie concezioni di vita.
Il tutto si sviluppa nello stato più dorato d’America, la California.
“Quando sono in California mi scordo di pregare; ho la sensazione di trovarmi già in paradiso”
BILL GRAHAM
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LA TERRA PROMESSA

Il mito californiano, la vita da spiaggia e la moda del surf. Il suono delle onde e la chitarra di Dick Dale fanno innamorare i giovani degli anni Sessanta prima della leggenda dei Beach Boys e del “sogno” dei The Mamas & The Papas.
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Frank Lloyd Wright, il celebre architetto, una volta ha detto che gli Stati Uniti sono come un grande piano inclinato: tutto scivola verso ovest, verso la California.
Sin dai tempi in cui i primi pionieri, affrontando la calura dei deserti e il gelo delle Montagne Rocciose, combattendo contro tribù di orgogliosi nativi e gang di spietati fuorilegge, sono riusciti a raggiungere quei territori meravigliosi, la California è entrata nell’immaginario collettivo come uno dei paradisi più ambiti del pianeta Terra. Da quando, poi, a metà Ottocento, proprio da quelle parti è scoppiata la febbre della “corsa all’oro” destinata a trasformare radicalmente storia e civiltà nordamericane, quella regione è stata ribattezzata il Golden State, in senso figurato e non. Lì, tra boschi rigogliosi, picchi innevati e spiagge fantastiche, c’è tutto quello che un essere umano può desiderare. Inclusi incendi devastanti e terremoti potenti causati dalla famigerata faglia di Sant’Andrea, che percorre il territorio da nord a sud e che, si dice, un giorno darà origine al temutissimo Big One, il gigantesco sisma che spaccherà in due la regione facendo sprofondare nell’Oceano Pacifico la parte costiera che ospita le tre città principali, San Francisco, Los Angeles e San Diego. Eppure chi ci abita non pare preoccuparsene più di tanto. Anche perché ha scelto con gioia, consapevolezza e un pizzico d’orgoglio di starci anche quando, come la maggioranza di chi ci vive, lì non è nato.
Se, per molti, il Golden State è associato a Hollywood e al suo incantato mondo di celluloide, a Disneyland, alla Silicon Valley e alle nuove frontiere della comunicazione, per l’appassionato di musica la California è una “terra promessa”. La musica è parte integrante della cultura californiana nonché elemento indispensabile per capirla e apprezzarla nella sua essenza più pura. Varia, originale, eccentrica, introspettiva, romantica, ribelle, la musica californiana ha saputo incarnare, nelle sue diverse espressioni, una gamma vastissima di emozioni, stati d’animo, attitudini.
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Dick Dale
Nei primissimi anni Sessanta, nella Southern California (che va da Los Angeles a San Diego) c’è una musica che coglie alla perfezione lo spirito di quei luoghi da cartolina. Le grandi onde dell’oceano, evocate da decine di film, e la vita da spiaggia sono elementi di ispirazione per un nuovo genere strumentale mutuato dal rockabilly di Link Wray e Duane Eddy. A inventarlo è un certo Dick Dale che con la sua chitarra imita l’andamento delle onde marine emulando lo spirito di cavalcate epiche sulle tavole da surf, sport originario delle isole polinesiane ma importato nella West Coast da Henry Huntington. Magnate dell’industria ferroviaria, Huntington cercava idee per promuovere la costa californiana in cui aveva effettuato investimenti importanti, e quelle strane tavole che volavano sulle onde delle Hawaii gli erano piaciute subito.
ÂŤIl mio ruolo nei Mamas & Papas? Dovevo soltanto cantareÂť
(MAMA) CASS ELLIOT
Nel giro di qualche anno il surf impazza tra i giovani californiani mentre, grazie a una chitarra costruita appositamente per lui da Leo Fender, Dale sperimenta nuove accordature e sonorità inedite. Ma sono il suo personalissimo fraseggio e soprattutto l’uso particolare del riverbero (effetto che simula il glissando sulle corde e che fa suonare in modo quasi infinito ogni singola nota) a caratterizzarne lo stile. Il suo primo singolo Let’s Go Trippin’ (1961) è un successo e i suoi concerti diventano una vera e propria attrazione per il pubblico di tutta la California. Ogni fine settimana locali come il Rendez-Vous Ballroom di Balboa si riempiono fino all’inverosimile per ascoltare la surf music di Dick Dale e dei suoi Del-Tones. La “surfmania” favorisce l’apertura di nuovi locali e la città di Pasadena, subissata dalle richieste, mette addirittura a disposizione il suo Civic Auditorium per un intero mese di concerti.
Dick Dale incide una quindicina di album e apre la strada a una miriade di gruppi che, è proprio il caso di dirlo, cavalcano l’onda della surf music con la possibilità di rileggere (in chiave strumentale) alcuni classici dell’epoca.
Il surf è musica per adolescenti o per chi, proprio come descritto in American Graffiti, l’epocale film di George Lucas, adora guidare auto decapottabili e sfrecciare ad alta velocità sui boulevard losangelini con la radio a tutto volume.
I giovani, ancora legati al Sogno Americano, abbracciano il nuovo stile di vita lasciando i coetanei meno abbienti a piangere sulle ceneri del rock ‘n’ roll. La surf music, sinonimo di disimpegno sociale, è una vittoria annunciata anche per lo show business che riesce finalmente a far soldi senza dover sopportare il fardello della trasgressione e della protesta. L’adolescente medio può nuovamente riversare la sua attenzione su figure rassicuranti, sportive, di bell’aspetto e con finalità morali condivisibili. In realtà, anche le star della surf music sono preda di ansie, debolezze e vizi come dimostrato dalla saga dei Beach Boys. La band, formata dai fratelli Wilson (Brian, Dennis e Carl), è di Hawthorne, cittadina nei pressi di Los Angeles, famosa per aver dato i natali a Marilyn Monroe e alla bambola Barbie: la Mattel, azienda di giocattoli che produce la fortunata biondina di plastica, ha infatti sede proprio lì.
Brian, il più grande e il più artisticamente dotato dei tre, cresce ascoltando la musica di gruppi vocali come Four Freshmen e Hi-Lo’s. In particolare, di questi ultimi impara tutte le canzoni che insegna ai fratelli, al cugino Mike Love e all’amico Alan Jardine, che costituiscono la line-up originale del gruppo. È Murry Wilson, il padre dei ragazzi, a spingerli verso la carriera professionale. Il suo ruolo (manager, ma soprattutto padre-padrone) risulta controverso: c’è chi afferma che senza di lui non ci sarebbero mai stati i Beach Boys, c’è chi lo accusa di comportamenti violenti nei confronti dei figli. Pare che una bastonata di Murry inferta al primogenito sarebbe la vera causa della lesione all’orecchio destro di Brian con conseguente perdita dell’udito.
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Beach Boys
Nel dicembre del 1961 esce Surfin’, il primo singolo. Allora, i fratelli Wilson si facevano ancora chiamare The Pendletons ma, prima di pubblicare il 45 giri, i discografici cambiano il nome del gruppo in The Beach Boys, più adatto alla nuova moda surf. Inizia così la grande epopea di una band capace di trasmettere in modo suggestivo il fascino del sud della California con brani che, pur basati su strutture armonicamente complesse, risultano divertenti, orecchiabili ed efficacissimi.
L’abilità compositiva di Brian Wilson e le doti vocali dei membri del gruppo permettono loro di andare in vetta alle classifiche con il secondo album, Surfin U.S.A. (1963), che segue il debutto di Surfin’ Safari (1962). Quando poi Brian Wilson scrive e produce Surf City (per Jan And Dean, che diventa numero uno) il gioco è fatto. Stregato da Be My Baby delle Ronettes e affascinato dal wall of sound di Phil Spector, Wilson comincia a sperimentare altri arrangiamenti. La band, che nel frattempo ha messo a segno successi come Surfer Girl, Little Deuce Coupe e I Get Around, nel 1964 riesce a fronteggiare persino l’invasione dei gruppi britannici, Beatles su tutti. Stimolato dal confronto con la band di Lennon e McCartney (in particolare, Brian è un ammiratore del secon...

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