La città femminista
eBook - ePub

La città femminista

La lotta per lo spazio in un mondo disegnato da uomini

Leslie Kern, Natascia Pennacchietti

Buch teilen
  1. 232 Seiten
  2. Italian
  3. ePUB (handyfreundlich)
  4. Über iOS und Android verfügbar
eBook - ePub

La città femminista

La lotta per lo spazio in un mondo disegnato da uomini

Leslie Kern, Natascia Pennacchietti

Angaben zum Buch
Buchvorschau
Inhaltsverzeichnis
Quellenangaben

Über dieses Buch

Come possiamo ripensare lo spazio pubblico nell'era del #MeToo? Come potrebbe configurarsi una metropoli concepita per le donne che lavorano, che spingono passeggini, che si prendono cura dei nostri anziani? Noi viviamo in città progettate da uomini e per gli uomini. Intrecciando senza soluzione di continuità teoria ed esperienze vissute, studi urbanistici e narrazione biografica, Leslie Kern mostra l'importanza del pensiero femminista per concepire gli spazi urbani, indagando i limiti e le possibilitàdelle nostre città. Ciò che rende un luogo vivibile, accessibile, sicuro e dinamico per tutti è la diversità di esperienze e voci: per questo l'autrice rivendica l'importanza del ruolo e del lavoro delle donne al suo interno, per superare le disuguaglianze di genere e sociali dei nostri quartieri. La sua guida, brillante e documentatissima, dovrebbe diventare un punto di riferimento per tutti gli urbanisti intenzionati a plasmare un nuovo futuro e concepire una città a misura di donna

Häufig gestellte Fragen

Wie kann ich mein Abo kündigen?
Gehe einfach zum Kontobereich in den Einstellungen und klicke auf „Abo kündigen“ – ganz einfach. Nachdem du gekündigt hast, bleibt deine Mitgliedschaft für den verbleibenden Abozeitraum, den du bereits bezahlt hast, aktiv. Mehr Informationen hier.
(Wie) Kann ich Bücher herunterladen?
Derzeit stehen all unsere auf Mobilgeräte reagierenden ePub-Bücher zum Download über die App zur Verfügung. Die meisten unserer PDFs stehen ebenfalls zum Download bereit; wir arbeiten daran, auch die übrigen PDFs zum Download anzubieten, bei denen dies aktuell noch nicht möglich ist. Weitere Informationen hier.
Welcher Unterschied besteht bei den Preisen zwischen den Aboplänen?
Mit beiden Aboplänen erhältst du vollen Zugang zur Bibliothek und allen Funktionen von Perlego. Die einzigen Unterschiede bestehen im Preis und dem Abozeitraum: Mit dem Jahresabo sparst du auf 12 Monate gerechnet im Vergleich zum Monatsabo rund 30 %.
Was ist Perlego?
Wir sind ein Online-Abodienst für Lehrbücher, bei dem du für weniger als den Preis eines einzelnen Buches pro Monat Zugang zu einer ganzen Online-Bibliothek erhältst. Mit über 1 Million Büchern zu über 1.000 verschiedenen Themen haben wir bestimmt alles, was du brauchst! Weitere Informationen hier.
Unterstützt Perlego Text-zu-Sprache?
Achte auf das Symbol zum Vorlesen in deinem nächsten Buch, um zu sehen, ob du es dir auch anhören kannst. Bei diesem Tool wird dir Text laut vorgelesen, wobei der Text beim Vorlesen auch grafisch hervorgehoben wird. Du kannst das Vorlesen jederzeit anhalten, beschleunigen und verlangsamen. Weitere Informationen hier.
Ist La città femminista als Online-PDF/ePub verfügbar?
Ja, du hast Zugang zu La città femminista von Leslie Kern, Natascia Pennacchietti im PDF- und/oder ePub-Format sowie zu anderen beliebten Büchern aus Scienze sociali & Studi di genere. Aus unserem Katalog stehen dir über 1 Million Bücher zur Verfügung.

Information

Verlag
Treccani
Jahr
2021
ISBN
9788812009015

1

LA CITTÀ DELLE MAMME

Se vi è capitato di essere incinta, la “geografia più prossima” diventa davvero strana in poco tempo. All’improvviso sei l’ambiente di qualcun altro e tutto ciò che riguarda il tuo corpo – come si muove nel mondo e come viene percepito dagli altri – cambierà.
La gravidanza di mia figlia Maddy si svolse nel corso di un tetro inverno, tipicamente londinese, e di quelle che invece sembrarono una primavera e un’estate insolitamente calde. Lavoravo part-time in un ufficio a Kentish Town e da Finchley Central, dove abitavo, al lavoro, c’erano solo cinque fermate di metropolitana, ma la maggior parte delle volte il viaggio sembrava interminabile. Quando avevo il turno di mattina, la nausea mi costringeva a scendere dal treno ad Archway, dove mi accasciavo su una panchina e cercavo di placare i conati prima di risalire su un altro treno. Finché la mia gravidanza non fu visibile, non c’era alcuna possibilità che mi offrissero un posto a sedere, a prescindere da quanto apparissi sudata e pallida, e questa mancanza di premure non migliorò molto neanche dopo che la mia pancia si fu ingrossata.
Volevo essere a ogni costo una di quelle persone che, anche in gravidanza, continuano a condurre una vita normale come se nulla fosse cambiato molto prima che Serena Williams vincesse un torneo del Grande Slam incinta. Laureata da poco in Studi sulle donne e in possesso della mia copia di Our Bodies, Ourselves, ero pronta a lottare fieramente e a mantenere i miei principi femministi di fronte alla medicina misogina e invalidante, ma scoprii presto che erano le ostetriche ad avere in mano l’assistenza pre e postnatale in Gran Bretagna per cui la mia rabbia nei confronti del sistema era mal diretta. Una cosa a cui non ero affatto preparata, invece, era il cambiamento del mio posto nella città.
Non avevo ancora sentito parlare di “geografia femminista”, ma ero senza dubbio una femminista e questo mio Io femminista era pronto a combattere a ogni svolta. Il mio corpo era improvvisamente diventato proprietà pubblica, poteva essere toccato o essere oggetto di commenti, allo stesso modo poteva essere un grosso inconveniente per le altre persone che non si facevano scrupoli a farmelo notare. La mia nuova forma fisica aveva spazzato via il privilegio dell’anonimato e dell’invisibilità: non potevo più mimetizzarmi, diventare parte della folla, osservare gli altri, perché adesso ero io quella che veniva osservata.
Non sapevo quanto apprezzassi queste cose finché non le ho perse. E non sono riapparse magicamente dopo la nascita di mia figlia. La gravidanza e la maternità mi hanno regalato una visione di genere della città in alta definizione. Raramente ero stata così consapevole della mia corporeità e ovviamente il mio genere è corporeo, ma c’è sempre stato; la gravidanza era una nuova esperienza e mi ha fatto vedere la città da una nuova prospettiva. Il rapporto tra il mio corpo e la mia esperienza della città divenne molto più viscerale e, sebbene avessi vissuto la paura e le molestie per strada, non avevo la minima idea di quanto questo rapporto fosse profondo, sistemico e geografico.
La flâneuse
Non avevo mai sperimentato un completo senso di anonimato o invisibilità in città, dato che ero una donna; la preoccupazione continua di essere molestata rendeva aleatoria ogni possibilità di passare inosservata tra la folla. Tuttavia, privilegi come la pelle bianca e una certa robustezza mi avevano sempre garantito una dose di invisibilità. Mescolarsi perfettamente nella folla urbana, attraversare liberamente le strade e starsene in disparte a osservare gli altri sono stati considerati i veri ideali urbani sin dalla crescita esplosiva delle città industriali. La figura del flâneur, che emerge in modo prominente negli scritti di Charles Baudelaire, è quella di un gentiluomo «spettatore appassionato» della città, che cerca di «diventare una sola carne con la folla», al centro dell’azione eppure invisibile1. Il filosofo e scrittore della vita urbana Walter Benjamin ha ulteriormente cristallizzato il flâneur in un personaggio urbano essenziale nella città moderna, e sociologi urbani come Georg Simmel hanno individuato in tratti come l’“atteggiamento blasé” e l’anonimato l’essenza della nuova psicologia urbana2. Non sorprende che, considerato il punto di vista di questi autori, il flâneur sia sempre stato immaginato come un uomo, per di più dalla pelle bianca e dal fisico robusto.
Il flâneur potrebbe essere femmina? Le scrittrici urbane femministe si sono divise sulla questione. Per alcune quello del flâneur è un tropo esclusivo della critica; per altre, è una figura da rivendicare. Coloro che votano contro sostengono che le donne non potranno mai fuggire completamente nell’invisibilità perché il loro genere le contrassegna come oggetti dello sguardo maschile3. Altri sostengono che il flâneur al femminile sia sempre esistito. Usando il termine flâneuse citano personaggi come Virginia Woolf. Nel suo saggio del 1930 A zonzo: un’avventura londinese, Wolf immagina di penetrare nella mente degli estranei mentre cammina per le strade di Londra, sostenendo che «fuggire è il più grande dei piaceri; andare a zonzo d’inverno la più grande avventura»4. Nel suo diario, la stessa Woolf scrisse: «Non c’è riposo più grande che camminare da soli per la città», il che implicava che avesse trovato la misura della pace e del distacco tra la grande folla5. La geografa Sally Munt ha proposto l’idea del flâneur lesbico come personaggio urbano che elude il percorso abituale dello sguardo eterosessuale e trova piacere nell’osservare altre donne6.
Lauren Elkin tenta di recuperare la storia invisibile della flâneuse nel suo libro Flâneuse: Women Walk the City. Elkin sostiene che le donne siano state al tempo stesso ipervisibili e invisibili nelle strade. Sempre osservate eppure escluse dai resoconti della vita urbana. Descrive le sue esperienze di giovane flâneuse per le strade di Parigi, molto tempo prima di scoprire che esisteva un nome specifico per quello che faceva: «Potevo camminare per ore e non “arrivare” mai da nessuna parte, osservavo il modo in cui la città era stata organizzata, scorgendo la storia non ufficiale qua e là. […] Ero alla ricerca di residui, di materiali, di incidenti e incontri e aperture inaspettate»7. Elkin insiste nel ribadire che la riluttanza di uomini come Baudelaire, Benjamin e Simmel a immaginare un flâneur femminile derivi dalla loro incapacità di notare le donne che si comportano in modo diverso dalle nozioni preconcette. Le donne presenti nelle pubbliche strade avevano più probabilità di essere scambiate per passeggiatrici (lavoratrici del sesso) che di essere considerate semplici cittadine a passeggio. Ma Elkin scrive: «Se scaviamo a fondo, scopriamo che c’era sempre una flâneuse che passava accanto a Baudelaire per strada»8.
A questo punto, però, devo porre una domanda: la flâneuse era per caso incinta o stava spingendo un passeggino? Il video dell’artista e studiosa Katerie Gladdys Stroller Flâneur gioca sul doppio significato della parola “stroller”9 in quanto la ritrae mentre spinge un passeggino nel suo quartiere di Gainesville, in Florida. Come mamma flâneuse, va alla ricerca di «schemi e narrazioni nelle genealogie di strutture e topografie architettoniche mentre simultaneamente tenta di individuare elementi di interesse per [suo] figlio». Gladdys afferma che «l’atto di portare a passeggio un bambino è, in effetti, uno dei processi sociali per abitare e appropriarsi degli spazi pubblici» della città. Anche se sono d’accordo, direi che sebbene le mamme che spingono i passeggini siano invisibili a modo loro, di solito non vengono associate alla figura classica del flâneur10. E anche la flâneuse rivendicata abita ancora un corpo “normale”, capace di muoversi in modo impercettibile per le strade. Nessuno scrivendo di flânerie menziona la donna incinta. Anche se non tutte le persone che vivono una gravidanza sono donne (si vedano ad esempio gli uomini trans), si tratta certamente di una condizione ricca di presupposizioni di genere. Se era già difficile immaginare la versione femminile del flâneur, allora l’idea di un flâneur incinta va probabilmente oltre ogni limite.
Un corpo pubblico
È impossibile mimetizzarsi quando il tuo corpo è diventato improvvisamente proprietà pubblica. Sebbene a noi donne capiti spesso di ricevere commenti e sperimentare contatti non richiesti, la gravidanza e la maternità elevano queste intrusioni a un nuovo livello. Avevo l’impressione che il mio ventre rigonfio fosse interpretato come un invito: accarezzami per favore! Si aspettavano che accogliessi con gratitudine qualsiasi tipo di consiglio non richiesto ed esprimessi l’appropriata dose di vergogna e rimorso per aver mancato di seguire la valanga di suggerimenti, spesso contraddittori, sul mangiare, bere, assumere vitamine, lavorare ecc. Non ero più un individuo in grado di fare le proprie scelte; sembrava che queste fossero state date in appalto senza il mio consenso.
Tutto questo mi rendeva straordinariamente consapevole del mio corpo, e non in modo positivo. Se l’atteggiamento blasé verso gli altri è quello che ci permette di mantenere un certo grado di riservatezza in pubblico, la sua mancanza mi faceva sentire molto pubblica. Ero imbarazzata dalla visibilità della mia pancia che, in modo grottesco, catapultava la mia intimità biologica nella sfera pubblica civilizzata. Non volevo spiccare. Volevo nascondermi. Non stavo cercando di mascherare la mia gravidanza, ma ero assalita da un bisogno di pudore che nessuna rivendicazione femminista del mio corpo poteva compensare. Le mie amiche mi avevano sempre preso in giro per la quantità di top corti presente nel mio armadio, ma non sono mai riuscita a indossare una maglietta che mi lasciasse scoperta la pancia neanche all’inizio della gravidanza. Stavo cercando di alzare una barriera tra me e la moltitudine di estranei che si sentivano a loro agio nel toccarmi o nel fare commenti su di me? Ero afflitta dall’imbarazzo di essere un animale biologico tanto ovvio? Avevo inconsciamente abbracciato l’idea cartesiana per cui mente e spirito sono due entità separate e ora l’improvvisa assertività del mio corpo mi faceva dubitare di tutto quello che sapevo di me stessa?
Ironicamente, poi, l’attrazione che gli estranei provavano per il mio corpo non si traduceva in una maggiore gentilezza urbana, piuttosto avvertivo costantemente un monito alla mia condizione “diversa”. Diversa e fuori luogo. Questo mi diveniva evidente soprattutto in metropolitana, quando di rado mi offrivano il posto a sedere nelle ore di punta. Gli uomini d’affari snob nascondevano intenzionalmente il viso dietro ai giornali facendo finta di non vedermi. Una volta cedetti il posto a una donna ancora più incinta di me prima che qualcun altro si accorgesse di noi. Anna Quindlen racconta una storia simile sulla sua gravidanza a New York. Anche lei aveva offerto il posto a una donna che «sembrava sul punto di dover correre in ospedale». «Amo New York», scrive Quindlen, «ma è una città difficile per essere incinta. […] A New York non esiste la privacy; sono sempre tutti in difficoltà e si sentono tutti in dovere di dire cosa pensano»11. Chiunque sia stata incinta racconta storie di questo genere con un certo sarcasmo, come fossero vecchie storie di guerra, o riti di passaggio quando vivi una gravidanza in città. Come se ci fosse da aspettarselo per aver osato uscire di casa con quel corpo ingombrante e goffo.
I miei tentativi di tornare a essere una flâneuse ripresero dopo la nascita di Maddy. Se la infilavo in un porte-enfant dormiva per ore accoccolata contro il mio petto. Individuavo un percorso fino a un nuovo Starbucks sull’affidabile stradario London A-Z e correvo a concedermi un semplice piacere: un caffellatte e un diverso scenario. Queste pause nella faticosa routine quotidiana fatta di poppate, coccole e bagnetti mi appariva come un minuscolo spazio di libertà. Riuscivo quasi a ricordare com’era essere giovani in città, prima di avere un bambino.
A volte queste uscite andavano bene, a volte no. I miei tentativi di essere una mamma flâneuse venivano continuamente interrotti dalla disordinata biologia di un neonato. Luoghi che prima sentivo accoglienti e confortevoli ora mi facevano sentire estranea, un’aliena con il seno che gocciolava e un bambino rumoroso e puzzolente al seguito. È difficile interpretare il ruolo dell’osservatore distaccato quando i gesti corporei e corporali della genitorialità sono in bella mostra. Volevo essere indifferente a tutto questo, credetemi. Mentre Maddy sonnecchiava, potevo fingere di non essere a pochi secondi dalla successiva emergenza. Quando si svegliava affamata o doveva essere cambiata, mi precip...

Inhaltsverzeichnis