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Siamo linee
Per un'ecologia delle relazioni sociali
Tim Ingold
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Siamo linee
Per un'ecologia delle relazioni sociali
Tim Ingold
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"Che cosa succede quando le persone o le cose si aggrappano le une alle altre? Le loro linee si intrecciano, e si devono legare fra loro in modo tale che la tensione che punterebbe a separarle le unisca in realtà piÚ saldamente. Nulla può resistere, a meno che non si produca una linea, e a meno che quella linea non si intrecci con altre."
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Information
Thema
Scienze socialiThema
Teoria socialeTERZA PARTE
UMANARE
22
SIAMO VERBI
Andiamo al luglio 1885, sul Monte McGregor, nello Stato di New York, dove il diciottesimo presidente degli Stati Uniti, Ulysses S. Grant, si era ritirato per scrivere le sue memorie. Sul letto di morte, impossibilitato a parlare a causa del cancro alla gola che lo stava uccidendo, Grant scrisse questo appunto al suo medico, John H. Douglas: ÂŤIl fatto è che penso di essere un verbo invece che un pronome personale. Un verbo è tutto ciò che significa essere, fare o soffrire. Io esprimo tutte e tre le coseÂť.1 Non câè modo di sapere esattamente che cosa passasse per la mente di Grant mentre scriveva questo aforisma, perchĂŠ morĂŹ pochi giorni dopo. Il mio scopo nella terza e ultima parte di questo libro, tuttavia, è quello di proporre alcune riflessioni su ciò che forse voleva dire, perchĂŠ credo che le sue parole racchiudano una soluzione profonda a quello che ritengo essere il problema antropologico piĂš antico e fondamentale: che cosa significa, appunto, pensare di noi stessi che siamo umani?
PiĂš di cinquecento anni prima, sullâisola di Maiorca, lo stesso problema occupava la mente dello scrittore, filosofo e mistico Raimondo Lullo.2 Nato nel 1232 da una famiglia aristocratica, secondo quanto egli stesso racconta, condusse la vita dissoluta del trovatore finchĂŠ un giorno, mentre componeva una canzone per lâamante del momento, ebbe una visione di Cristo sulla croce. Nei giorni successivi la visione continuò a ripetersi, suscitando in lui un tale allarme che alla fine decise di abbandonare i suoi costumi licenziosi per dedicare il resto della vita allâinsegnamento e alla dottrina cristiana. A quel tempo, Maiorca era un centro di commercio nel mondo mediterraneo e un crogiuolo di idee provenienti dallâislam, dellâebraismo e del cristianesimo. Rendendosi conto che convincere musulmani ed ebrei della veritĂ del cristianesimo significava avvicinarsi allâargomento con spirito ecumenico, Lullo intraprende nove anni di intensi studi, durante i quali, fra lâaltro, impara lâarabo da uno schiavo musulmano che aveva comprato, ma con il quale successivamente romperĂ i rapporti: incarcerato per blasfemia, questi si impicca in prigione, salvando Lullo dalla terribile responsabilitĂ di dover decidere del suo destino (Figura 22.1). Questo studio ha gettato le basi per una vita straordinariamente lunga e prolifica, durante la quale Lullo scrisse circa 280 libri in latino, arabo e catalano, la sua lingua madre. Uno degli ultimi fu la Logica nova, redatta a Genova nel 1303, nel suo settantunesimo anno di vita.
Fortemente ispirato dalla cultura e dalla scienza islamica, Lullo ci presenta in questâopera un cosmo dinamico in cui tutto ciò che câè â ogni entitĂ o sostanza â è quello che è grazie allâattivitĂ che gli è propria. Per Lullo, le cose sono ciò che fanno. Per esempio, è essenziale che il fuoco bruci. Ciò che alimenta il fuoco, o che viene riscaldato per mezzo di esso, è una questione accidentale o contingente. Si può ardere la legna per riscaldare lâacqua, ma nĂŠ la legna nĂŠ lâacqua sono necessarie perchĂŠ ci sia il fuoco. Ciò che è necessario è che vi sia combustione. Allo stesso modo, il pallore può sbiancare questo o quel corpo, ma câè solo il pallore quando si impallidisce.3 Che lâesistenza di una cosa o di una sostanza sia indistinguibile dalla sua attivitĂ non è, tuttavia, facilmente esprimibile in latino nĂŠ in lingue che normalmente inglobano il verbo nel predicato, e che quindi separano categoricamente le persone e le cose, in quanto agenti causali, dagli effetti che producono. Per raggiungere questâobiettivo, Lullo dovette escogitare nuove parole, modellate sulle forme dei verbi arabi che conosceva. Uno di questi neologismi appare quando affronta il problema di definire lâumano. Se ciò che vale per tutto il resto vale anche per gli esseri umani, allora anche questi ultimi devono essere definiti dallâattivitĂ che è loro propria. Dove ci sono esseri umani, ci devâessere in corso qualcosa. Ma che cosa?
Ancora una volta, Lullo deve inventare un verbo: homificare. Lâuomo, secondo lâenigmatica definizione di Lullo, è un animale âomificanteâ: Homo est animal homificans. Quello che gli esseri umani fanno, o come lo fanno, è secondario. Tuttavia, ovunque e ogniqualvolta esistano, vi è omificazione. Gli esseri umani omificano sĂŠ stessi, si omificano lâun lâaltro, omificano i regni animale e vegetale, e di fatto lâintero universo.4 A Raimondo Lullo, prossimo alla fine della sua lunga vita, come del resto a Ulysses Grant piĂš di cinque secoli dopo, sembrava quindi che la forma grammaticale dellâumano non fosse quella del soggetto, nominale o pronominale, ma quella del verbo. Per gli esseri umani omificare, nel senso che intendeva Lullo, non significa umanizzare il mondo. Cioè, non è â come vorrebbe unâontologia piĂš consona alla tradizione occidentale â sovrapporre un proprio ordine preconcetto a un substrato di natura dato. Si tratta piuttosto di forgiare la loro esistenza dentro il crogiuolo di un mondo della vita comune. La loro condizione di umani non è data dallâinizio, come condizione a priori, bensĂŹ emerge come una conquista produttiva alla quale devono continuamente lavorare per tutta la vita, senza mai raggiungere una conclusione finale.
Questa visione trova unâeco negli scritti del filosofo spagnolo del Novecento JosĂŠ Ortega y Gasset. In un celebre saggio intitolato La storia come sistema, scritto nel 1935 appena prima dello scoppio della guerra civile spagnola, sostiene che la forma grammaticale della vita umana è quella del gerundio, in continuo divenire, ÂŤun faciendum e non un factumÂť.5 Per questo motivo, egli pensa, gli appelli alla natura umana o, in alternativa, allo spirito umano sono errati. Parlare del corpo umano o dellâanima, o della psiche o spirito, significa supporre che una cosa del genere si sia giĂ cristallizzata, in forma fissa e definitiva, dai processi che lâhanno generata. Significa porre, allâorigine, una conclusione che non viene mai effettivamente raggiunta. PerchĂŠ in veritĂ , dove câè vita umana non câè nulla se non il fatto che accade sempre qualcosa: ÂŤlâunica cosa che ci è data e che câè quando câè vita umana è il doversela fare, ognuno la sua. [âŚ] La vita è darsi daffareÂť. La vita, quindi, non è; va avanti. Infatti, come osserva Ortega, il nostro modo abituale di riferirci a noi stessi come esseri umani è piuttosto assurdo. Come si può continuare a essere? Ă come chiedere a noi stessi di andare avanti e di rimanere al contempo nello stesso posto.6
Forse, allora, dovremmo sostituire a âessereâ la parola âdivenireâ. Come esemplificazioni del vivere-creando, non dovremmo piuttosto definirci dei divenire umani? In unâinteressante digressione, Ortega esclude tale alternativa, con riferimento critico a un autore filosofico con il quale, per il resto, si sente in grande sintonia. Quellâautore era Henri Bergson. Anche per Bergson, tutto succedeva. Tutto era movimento, crescita, divenire: le forme apparentemente fisse delle cose altro non erano se non gli involucri di processi vitali. Lâessere, dice Bergson, sta nel farsi: lâĂŞtre en se faisant. Tuttavia, nel lessico di Bergson se faire, farsi, è un semplice sinonimo di devenir, divenire. Ortega insiste, al contrario, sul fatto che il compito umano del farsi sia piĂš del semplice divenire e che il costruire la vita sia piĂš del semplice vivere. Gli esseri umani sono letteralmente artefici di loro stessi, si auto-fabbricano.7 A differenza di altri animali che semplicemente diventano qualunque cosa sia nella loro natura, lâuomo â sostiene Ortega â deve per forza stabilire che cosa voglia diventare. La realizzazione dellâessere umano, dice Ortega, è sempre differita, sempre un ânon ancoraâ, in una parola, unââaspirazioneâ. E proprio perchĂŠ aspirano alle cose, gli esseri umani incontrano anche difficoltĂ nella loro realizzazione.8 La vita non è difficile per lâanimale, perchĂŠ non ambisce a ciò che non è immediatamente raggiungibile, ma non per questo è facile. La differenza tra facile e difficile non preoccupa lâanimale. Ma per gli esseri umani, presi come sono fra il raggiungimento dellâaspirazione e la conquista dellâapprensione o apprendimento, è una preoccupazione senza fine.
In altre parole, rispetto allâanimale, nel cui orizzonte non câè passato nĂŠ futuro, ma solo un qui e ora in continua evoluzione, il movimento della vita umana si estende temporalmente. Davanti câè il ânon ancoraâ dellâaspirazione, dietro câè il âgiĂ â dellâapprensione. Al tempo stesso âgiĂ â e ânon ancoraâ, gli esseri umani â potremmo dire â sono costituzionalmente piĂš avanti di loro stessi. Mentre altre creature devono essere ciò che sono per fare quello che fanno, per gli esseri umani è il contrario. Devono fare ciò che fanno per essere quello che sono. Non è il volo a rendere tale un uccello, ma è il parlare a renderci umani. Non che gli esseri umani diventino anzichĂŠ essere; piuttosto, il loro divenire va di continuo oltre il loro essere. Questo, a mio avviso, è ciò che Lullo aveva in mente quando parlava dellâuomo come animale omificante. Inoltre, penso che a livello semiconsapevole lo proviamo tut...