Poesie (1974-1992)
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Poesie (1974-1992)

Patrizia Cavalli

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Poesie (1974-1992)

Patrizia Cavalli

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Questo libro riunisce i due precdenti volumetti di Patrizia Cavalli ( Le mie poesie non cambieranno il mondo, 1974, e Il cielo, 1981) ai quali si aggiunge una nuova, più ampia raccolta intitolata L'io singolare proprio mio. Autrice lodevolmente parca, Patrizia Cavalli, dunque, rende conto della sua poesia una volta per decennio evitando l'inflazione dello sfogo lirico. Anche se così distanziate nel tempo, o forse proprio per questo, queste tre sillogi testimoniano un'esperienza poetica di ampia portata, segnata da un forte filo di continuità e da un marchio di stile inconfondibile, fatto di ironia e di musicalità, ma anche di velocissima concetrazione di pensiero e di arguzia epigrammatica.

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Información

Editorial
EINAUDI
Año
2014
ISBN
9788858415306
Categoría
Letteratura
Categoría
Poesia

Il cielo

A Okapi Bandierina
Tu non sei stata mai sentimentale
e io per amore voglio assomigliarti.

Quella nuvola bianca nella sua differenza
insegue l’azzurro sempre uguale:
lentamente si straccia nella trasparenza
ma per un po’ mi consola del vuoto universale.
E quando cammino per le strade
e vedo in ogni passo una partenza
vorrei accanto a me un bel viso naturale.

Ti ho sfidato con una parolaccia,
tu mi hai risposto illesamente dama.

Per simulare il bruciore del cuore, l’umiliazione
dei visceri, per fuggire maledetta
e maledicendo, per serbare castità
e per piangerla, per escludere la mia bocca
dal sapore pericoloso di altre bocche
e spingerla insaziata a saziarsi dei veleni del cibo
nell’apoteosi delle cene quando il ventre
già gonfio continua a gonfiarsi;
per toccare solitudini irraggiungibili e lí
ai piedi di un letto di una sedia
o di una scala recitare l’addio
per poterti escludere dalla mia fantasia
e ricoprirti di una nuvolaglia qualunque
perché la tua luce non stingesse il mio sentiero,
non scompigliasse il mio cerchio oltre il quale
ti rimando, tu stella involontaria,
passaggio inaspettato che mi ricordi la morte.
Per tutto questo io ti ho chiesto un bacio
e tu, complice gentile e innocente, non me lo hai dato.

Ti odio perché non ti amo piú,
perché non posso perdonarti
di non riuscire piú ad amarti.

Ah sí, per tua disgrazia,
invece di partire
sono rimasta a letto.
Io sola padrona della casa
ho chiuso la porta
ho tirato le tende.
E fuori i quattro canarini
ingabbiati sembravano quattro foreste
e le quattromila voci dei risvegli
confuse dal ritorno della luce.
Ma al di là della porta
nei corridoi bui, nelle stanze
quasi vuote che catturano
i suoni piú lontani
i passi miserabili di languidi ritorni
a casa, si accendevano nascite
e pericoli, si consumavano
morti losche e indifferenti.
E cosa credi che io non t’abbia visto
morire dietro un angolo
con il bicchiere che ti cadeva dalle mani
il collo rosso e gonfio
vergognandoti un poco
per essere stata sorpresa
ancora una volta
dopo tanto tempo
nella stessa posizione nella stessa condizione
pallida tremante piena di scuse?
Ma se poi penso veramente alla tua morte
in quale letto d’ospedale o casa o albergo,
in quale strada, magari in aria
o in una galleria; ai tuoi occhi che cedono
sotto l’invasione, all’estrema terribile bugia
con la quale vorrai respingere l’attacco
o l’infiltrazione, al tuo sangue pulsare indeciso
e forsennato nell’ultima immensa visione
di un insetto di passaggio, di una piega di lenzuolo,
di un sasso o di una ruota
che ti sopravviveranno,
allora come faccio a lasciarti andar via?

O mio bel paesaggio
stanco e addormentato, come sei grande
e come ti ingrandisci! Ma la bocca
la bocca la svanisci.

Ora che sei partita
che sei sicuramente andata
lo devo riconoscere
non sono mutilata.
Farò una passeggiata
fino a via delle Grotte.

Ma sí, sono sincera,
non fingo i sentimenti,
ma cosa posso farci
se in due minuti
diventano tradimenti?

Sarebbe certo andato tutto bene,
una passeggiata un caffè, al cinema
qualche volta insieme, le cene
a casa o al ristorante; sarebbe stato
insomma tutto regolare
se all’improvviso togliendosi gli occhiali
non si fosse seduta sorridendo
con un’aria leggermente impaurita
e i capelli un po’ spettinati
che la facevano sembrare appena uscita
da un sonno o da una corsa.

Ti ho appena toccato e ti ho già tradito.
Non incolpare me, incolpa il mio vestito.

«La bella vita bisogna coltivarla».
I prati quasi praterie e tu distesa
al sole fino al suo declino. La casa
abbandonata in mezzo al bosco, i cavalli
che mangiano liberi o sellati;
la lettura di un libro, i pantaloni strappati,
qualche segno che si aggiunge alle braccia al viso
e alle tue mani – le fiaccature scure degli ingressi –
per te le prove del tuo avanzare
contro le perdite contro i cedimenti, per me
i piccoli canali dell’ombra e della luce,
la geografia amorosa del riposo.
Circondata di grazie e bellezze naturali
persino i disastri del sangue sulla tua pelle
esplodono come cespuglietti di erbe stravaganti
che tolgono piattezza al prato. Cosí creando in te
il tuo capolavoro, chiedi visite per fare propaganda
al paradiso. Ma in tanto concentrato di splendore
quale estasi o scompiglio potrebbe mai portare
la mia mano? Sarebbe come un bacio
che cade in mezzo al sole.

Del vero amore e del falso amore
spargi notizie: «Io amo tu non ami
egli ama». La salute ti riluce addosso
portandoti a esempio irritato, maestoso,
e tutto quello che per natura accade
e non accade diventa la tua coroncina
– o cupa corona di spine! o bianco cespuglio d’angioli! –
verso il sicuro futuro frutteto d’amore.
Non scrivermi piú lettere.

Ma come può accadere che tu
per smania di potere
stia vicino a una
con lo sguardo smozzicato
pronta a lanciarsi sugli avanzi
di qualunque sesso e provenienza
che mangiucchia con quella sua boccuccia
che non ha nemmeno un disegno?

Lontano dai regni
come è ferma la stanza!
Vieni, respirami vicino,
che io scopra la dolcezza
di molte imperfezioni, qualche dente
in meno qualche ruga in piú e il corpo
appena estenuato dalla noncuranza.

Per questo sono nata, per scendere
da una macchina dopo una corsa
in una strada qualunque e trafficata
e guidata dagli angeli piegarmi
attraverso il finestrino
sopra quei capelli e in silenzio
sentire l’odore di quel viso
dove poco prima avevo visto
come la bocca e gli occhi
si passavano un sorriso che non si apriva mai
e correndo veloce scompariva
in un attimo e tornava.

La polvere a mezzo maggio diventa insopportabile.
Il primo caldo si assiepa, frantuma e fa cadaveri.
La polvere sale a mezzo metro e non ricade.
Il caldo si sparge e produce lontananze.
Ai tavoli si parla già delle vacanze.
«E Susanna non vien!...»

Che tu ci sia o non ci sia
ormai è la stessa cosa,
comunque sia io ho la nostalgia.

Che orrore immaginare due corpi
che fanno l’a...

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