III.
La pubblicità occulta on line: tra prosumer, influencer e tutela dei consumatori (*)
SOMMARIO: 1. Premessa – 2. Canoni principali della pubblicità digitale – 3. Figure e tipologie maggiormente diffuse di pubblicità digitale – 4. Regole e reazioni – 4.1. Il codice del consumo – 4.2. Pubblicità ingannevole e comparativa di cui al D.Lgs. n. 145/2007 – 4.3. Moral suasion/enforcement dell’AGCM – 5. La pubblicità non “riconoscibile” nel Codice IAP – 6. Segue: l’upgrade del Codice IAP. La Digital Chart – 7. Poche righe di chiusura.
1. Premessa
Quando sei arrivato ti stavo aspettando/
Con due occhi più grandi del mondo/
Quante stelle ci girano intorno/Se mi porti a ballare/
Labbra rosso Coca-Cola.
Dimmi un segreto all'orecchio stasera/
Hai risolto un bel problema e va bene così.
Ma poi me ne restano mille/Poi me ne restano mille.
(Fedez, Achille Lauro, Orietta Berti, Mille, 2021)
Il brano “Mille”, hit dell’estate del 2021, ha provocato la reazione di una associazione dei consumatori – e la conseguente denuncia all’Autorità garante della concorrenza – per la pubblicità - non palesata adeguatamente - di un noto prodotto1.
Si tratta di una evidente fattispecie di pubblicità occulta, situazione che è stata, negli ultimi anni, posta sotto una maggiore attenzione poiché costituisce un tipico comportamento tenuto, on line, dagli influencer2.
La “materia” della “pubblicità” (o, meglio, della comunicazione commerciale), è oggetto di un complesso disciplinare piuttosto articolato che si intreccia attorno a profili penalistici, amministrativi, civilistici e (auto)disciplinari3. Ha, inoltre, portata (anche) sovranazionale dato che il consumatore (o il prosumer che dir si voglia) non è ristretto ai soli confini nazionali ma si estende ben oltre il quadrante eurounitario.
Le disposizioni possono poi riguardare tanto il soggetto che svolge attività pubblicitaria (le c.d. “agenzie”), quanto i loro clienti, quanto, infine, i destinatari o soggetti coinvolti (che possono arrivare sino alla intera collettività). I mezzi utilizzati (esempio: affissioni, ovvero la televisione) sono oggetto di regolamentazione e finanche alcune tipologie negoziali (quelle ascritte ai “contratti di pubblicità”). Anche il prodotto e/o servizio che viene ‘promosso’ può determinare complicazioni: si pensi ai medicinali, ai prodotti alimentari, alle bevande alcooliche, ai cosmetici, etc.
Non mancano neppure le interferenze derivanti dalla tutela dei diritti di proprietà industriale e di quelle relative alle creazioni intellettuali4, nonché, per sovramercato, dalle responsabilità su Internet del provider la cui estraneità (tendenziale) alle vicende che accadono sulla piattaforma di loro “dominio” viene progressivamente (ri)messa in discussione5.
Proprio nell’ambito del web si sono diffuse, oltre alla trasposizione delle fattispecie tipiche della promozione pubblicitaria, anche specifiche ipotesi che, sfruttando caratteristiche proprie della rete, possono sfuggire alla percezione del navigatore mediamente avveduto e, quindi, recare notevoli danni, sia ai consumatori che alle imprese, per il loro carattere di mimesi, ambiguità, e decettività. Si parla, a questo riguardo, di hidden advertising6.
Per semplificare l’esposizione, nel prosieguo, di prenderanno quali capisaldi disciplinari:
a) per i rapporti tra imprese, il D.Lgs. 2 agosto 2007, n. 145, sulla pubblicità ingannevole e comparativa;
b) per la tutela dei consumatori, le disposizioni del D.Lgs. 6 settembre 2005, n. 206 (Codice del consumo).
A queste principali disposizioni debbono aggiungersi tutte quelle che promanano dal “sistema” dell’Autodisciplina pubblicitaria che, sin dagli anni ’50, ha inteso costituire una significativa forma di autoregolazione dei soggetti che operano nel mondo della promozione commerciale.
Il “sistema”, in estrema sintesi, è costituito da alcuni “codici” (tra i quali spicca il Codice di Autodisciplina della Comunicazione commerciale) facenti parte dell’operatività dell’Istituto di Autodisciplina pubblicitaria (IAP) e dei suoi organi (tra i quali il ben noto Giurì, nonché il Comitato di controllo) 7.
2. Canoni principali della pubblicità digitale
Secondo l’art. 18, comma 1, lett. b), cod. cons., per “pubblicità” – che rientra tra le pratiche commerciali – deve intendersi “qualsiasi azione, omissione, condotta o dichiarazione, comunicazione commerciale (…), posta in essere da un professionista, in relazione alla promozione, vendita o fornitura di un prodotto ai consumatori”.
L’art. 2, del D.Lgs. n. 145/2007, non si discosta da questa definizione, salvo per aver correttamente accomunato la promozione della vendita alla prestazione di opere o servizi, affinché “la costituzione o il trasferimento di diritti e obblighi su di essi” non riguardi la sola vendita.
La “comunicazione commerciale”, secondo la disciplina IAP, è costituita da “ogni comunicazione, anche istituzionale, diretta a promuovere la vendita di beni o servizi quali che siano i mezzi utilizzati”.
Dalle definizioni riportate appare evidente che la comunicazione commerciale è tale indipendentemente dalla forma del messaggio e dal mezzo utilizzato per veicolarlo. Tra i mezzi “classici” vi rientrano la radio, la televisione, i giornali e le riviste, le affissioni, gli opuscoli, i volantini, etc. Tra quelli più recenti troviamo pagine web, banner, internet video, social network (Facebook, TikTok, YouTube, etc.).
La promozione pubblicitaria è implicita in una serie di fattispecie, quali: vendite promozionali, operazioni a premio, vendite per corrispondenza e su catalogo (tutte le vendite a distanza), la sponsorizzazione, il product placement, etc., spesso segnate da specificità disciplinari.
Il prodotto stesso, compreso il suo confezionamento (packaging), costituisce “messaggio promozionale”, compresa l’immagine ed il logo/marchio che lo contraddistingue.
La comunicazione commerciale, secondo i suoi canoni principali, deve essere “veritiera e corretta”, “non ingannevole” e, infine, “trasparente”. Sono locuzioni che, con tutta evidenza, consentono di individuare uno o più profili di illeceità dei messaggi e che riverberano le relative valutazioni su più sistemi disciplinari. Tanto per fare un esempio, la “correttezza” è tanto relativa al messaggio, quanto al comportamento degli operatori: nel primo caso è una valutazione inerente un dato, per così dire, oggettivo; nel secondo, fa riferimento alla correttezza del comportamento, anche rispetto, tra l’altro, alla concorrenza sleale. Un messaggio può essere veritiero (e/o “corretto”) e, nondimeno, configurare un comportamento sleale (come nella comparazione). Prima di compiere queste verifiche, tuttavia, occorre che la pubblicità sia identificabile, cioè sia possibile rendersi conto agevolmente se l’”informazione” sia realmente tale ovvero non celi una volontà di condizionare il comportamento del “target” prescelto.
Per l’art. 2, comma 2, del D.Lgs. n. 145/2007, la pubblicità deve essere “palese”. Concetto poi ripreso, a proposito della sua “trasparenza”, al successivo art. 5, comma 1, primo periodo: “La pubblicità deve essere chiaramente riconoscibile come tale”.
Nel disegno del codice del consumo, la pubblicità, come detto, rientra tra le "pratiche commerciali tra professionisti e consumatori". Il giudizio sulla scorrettezza delle pratiche commerciali trova la sua disciplina nell’art. 20 e segg. di detto codice.
Il Codice IAP, all’art. 7, rubricato “Identificazione della comunicazione commerciale”, stabilisce che “La comunicazione commerciale deve sempre essere riconoscibile come tale. Nei mezzi e nelle forme di comunicazione commerciale in cui vengono diffusi contenuti e informazioni di altro genere, la comunicazione commerciale deve essere nettamente distinta per mezzo di idonei accorgimenti. (…)”.
I fenomeni di “occultamento” della pubblicità tradizionale sono ben noti.
Per la stampa esistono situazioni ormai paradigmatiche: si tratta della c.d. “pubblicità redazionale”, in cui utilizzando la stessa forma grafica e stilistica, quella che appariva come una “opinione” giornalistica, in realtà era finalizzata alla promozione pubblicitaria, utilizzando – per conferire veridicità - il “traino” del contesto giornalistico. E’ quindi richiesto, per la sua legittimità, l’impiego di “idonei accorgimenti” (grafici, visivi, sonori, etc.), affinché l’eventuale commistione tra informazione e promozione, siano scindibili e comprensibili da parte del consumatore medio.
Analogamente saranno indicati opportuni accorgimenti in caso di sponsorizzazione e di product placement, ossia di utilizzo di prodotti o servizi, in opere televisive o cinematografiche, quale forma indiretta di promozione.
Per la comunicazione on line, la “riconoscibilità” si presenta quale carattere di estrema rilevanza. I mezzi di comunicazione presenti on line, siano essi siti web, blog, canali social, etc., presentano una estrema varietà di situazioni in cui sono compresenti tanto soggetti che svolgono attività “professionale” (i “professionisti), quanto soggetti non professionali (gli enti pubblici e non profit, tanto per fare due esempi), e, infine, i consumatori, ovvero individui che si trovano in rete per finalità diverse da quelle del “consumo”. Lo stesso vale per i contenuti che possono essere informativi, di intrattenimento, etc., nell’ambito dei quali, possono essere celate attività di tipo promozionale.
Ne sono esempi, l’i...