Alla luce dei risultati ottenuti nel corso degli anni â80, grazie ad un rapporto di crescente sinergia tra storiografia e scienze sociali, al principio del nuovo decennio, un deciso fautore dellâincontro tra storia e sociologia, Paolo Macry, poteva scrivere che, rispetto alla cosiddetta histoire Ă©vĂ©nementielle, la nuova storiografia politica basata sullâinterazione con le scienze sociali si caratterizzava per la tendenza a privilegiare «i sistemi politici piĂč che le vicende dei singoli stati, i processi decisionali legislativi piĂč che la storia dei singoli statisti, le tipologie dellâorganizzazione politica piĂč che la narrazione dei congressi di partito o lâillustrazione delle idee dei leader sindacali, il comportamento elettorale nelle sue variabili socioculturali piĂč che la descrizione dei parlamenti e del loro operato».
Le parole di Macry esprimono chiaramente ciĂČ che la ânuovaâ storia politica si proponeva di attuare; sembra, perĂČ, legittimo riscontrare una sorta di esclusivitĂ , un carattere di autosufficienza, nelle righe appena citate. Se lâincontro tra storiografia e politologia, infatti, aveva portato allâelaborazione di studi fondati su di una reale interazione tra le due discipline, la storia sociale (basata su di un rapporto privilegiato con la sociologia e sullâutilizzo di nuovi strumenti metodologici, quali, ad esempio, le fonti audiovisive e le fonti orali) pareva voler assumere un carattere di totale indipendenza dalla storiografia tradizionale.
Ă interessante, a tal proposito, rilevare come, al principio degli anni â90, due tra i maggiori studiosi di storia dei partiti richiamassero alla necessitĂ di porre in essere una reale sinergia tra storia e scienze sociali, sottolineando, in particolare, che «non Ăš possibile cogliere la complessitĂ dello sviluppo storico senza guardare ai fenomeni collettivi di mentalitĂ e di costume, alla stratificazione delle classi sociali, che formano oggetto proprio delle scienze sociali; ma non Ăš possibile definire le strutture concrete della democrazia e il loro reale funzionamento senza attingere alla riflessione dei giuristi e degli scienziati della politica. Fra le ricorrenti tentazioni di omologazione della storia alle scienze sociali da un lato, e di chiusura dallâaltro della storia nel suo ambito proprio come in un castello con il ponte levatoio alzato, occorre ricuperare gli spazi di un rapporto costruttivo fra discipline diverse. Occorre insomma superare i troppo rigidi confini e stabilire un circuito aperto fra storia, diritto e scienze sociali»; un forte richiamo, dunque, quello di Scoppola, a non arroccarsi sulle vecchie metodologie, ma, al contempo, un monito a chi volesse intendere la storia sociale come un «luogo privilegiato e separato».
Che il dialogo tra storia politica e storia sociale si presentasse, al principio degli anni â90, ancora problematico, Ăš testimoniato dalle parole di Maurizio Ridolfi (uno dei principali sostenitori dellâincontro fra le due discipline), il quale, ancora nel 1993, scriveva che «se dovessimo limitarci a confrontare il codice scientifico e il tradizionale campo dâazione tanto della storia politica quanto della storia sociale, apparirebbe poco incoraggiante qualsiasi ricerca di punti dâincontro»; lo stesso Ridolfi, perĂČ, dopo aver ricordato gli interventi (operati, in anni precedenti, da Tommaso Detti e Raffaele Romanelli) «tesi a reimpostare le questioni metodologiche e storiografiche al di lĂ degli iniziali steccati», rilevava come, in alcuni settori storiografici, lâincontro tra storia politica e storia sociale avesse prodotto dei significativi risultati. Il riferimento era rivolto, in particolare, agli studi sulla formazione della rappresentanza e sulla vita dei collegi elettorali, temi, questi, capaci di favorire unâanalisi ad ampio raggio, relativa tanto alle istituzioni e al potere centrale (terreno privilegiato della storiografia politica), quanto al territorio, ai gruppi locali e ai municipi (oggetti di studio per i quali bene si adatta la metodologia elaborata dalla storia sociale).
Le osservazioni di Ridolfi indicavano quindi, come, sulla scia dei risultati scaturiti dallâincontro tra storiografia e politologia, anche lâinterazione fra storia politica e storia sociale cominciasse a fornire degli interessanti spunti interpretativi e metodologici; da notare Ăš, inoltre, che anche il rapporto tra storiografia e scienze giuridiche si era, in quegli anni, intensificato, producendo nuovi e stimolanti contributi di ricerca.
Non ci sorprende, quindi, il rilevare come, nelle numerose opere di sintesi sulla storia dei partiti italiani apparse intorno alla metĂ degli anni â90, aumentasse il ricorso alle categorie mutuate dalle scienze sociali; si pensi ai lavori di Vallauri e Pombeni, al volume di Simona Colarizi, alle opere di Parente, Lotti e Ignazi, nonchĂ© al volume collettaneo, curato da Grassi Orsini e Quagliariello, relativo ai partiti e al problema della rappresentanza dal 1918 al 1925.
Ă innegabile che questa fioritura di opere di sintesi relative alla storia dei partiti italiani (precipuamente in etĂ repubblicana) fosse dovuta al crollo dei regimi comunisti nonchĂ© allâesplosione del sistema dei partiti della cosiddetta âprima repubblicaâ e, dunque, allâesigenza di un ripensamento della storia politica italiana in un momento di svolta epocale; non Ăš da trascurare, perĂČ, la volontĂ di alcuni studiosi di confrontarsi con le nuove metodologie e con i nuovi approcci interpretativi generati dallâincontro della storiografia con le scienze sociali.
Come ha messo bene in luce Paolo Pombeni, infatti, la ânuovaâ storiografia politica aveva fortemente allargato il proprio raggio dâazione, fornendo, specie riguardo allâetĂ liberale, originali e stimolanti contributi su numerosi oggetti di ricerca: oltre al tema della rappresentanza e del sistema elettorale (giĂ rilevati in un citato saggio di Ridolfi), difatti, Pombeni rimarcava gli importanti risultati raggiunti riguardo alla questione del notabilato, delle classi dirigenti e dei ceti politici e relativamente alla cultura politica, al tema della costruzione della civic nation e allâistituto parlamentare.
Se le nuove metodologie, generate dallâincontro della storia con le scienze sociali, portavano, nel corso degli anni â90, ad una riconsiderazione in chiave sociologica e antropologico-culturale del ventennio fascista, anche gli anni della storia repubblicana cominciavano ad essere ârivisitatiâ alla luce delle nuove tendenze storiografiche.
Sebbene la recente disponibilitĂ di nuovo materiale archivistico inducesse gli studiosi ad operare, innanzitutto, su di un piano storico-politico fattuale (affrontando tanto lâintero arco della storia repubblicana, quanto i piĂč significativi nodi storiografici e lâazione delle singole forze partitiche), le categorie mutuate dalle scienze sociali non avrebbero tardato a fare il loro ingresso negli studi di storia politica relativi allâetĂ repubblicana.
In virtĂč dellâutilizzo delle nuove metodologie di ricerca, due temi, in particolare, avrebbero catalizzato lâattenzione degli studiosi: da un lato lâidea di nazione e le sue implicazioni relative al âvissutoâ politico degli italiani, dallâaltro i mutamenti sociali generati dallo sviluppo economico. Mentre, per questo secondo aspetto, gli studi sono ancora in fase iniziale, le ricerche relative al tema dellâappartenenza nazionale hanno, invece, giĂ vissuto una stagione di intenso sviluppo; tanto alcuni studi centrati sugli anni di passaggio dal fascismo alla democrazia, quanto altri, dedicati ad un arco temporale piĂč ampio, hanno infatti favorito un ampliamento del dibattito, portando a nuovi e stimolanti contributi, relativi al rapporto tra lâidea di nazione ed alcuni fondamentali ânodiâ, quali, ad esempio, la forma partito e il sentimento religioso.
Con lâinizio del nuovo secolo diversi sono stati i tentativi di ripensamento complessivo della nostra storia politica; accanto a queste opere di carattere generale, non sono mancate le monografie su alcuni fondamentali nodi problematici del periodo liberale e fascista: tra queste si sono segnalate, anche per lâoriginalitĂ metodologica, le ricerche sul ruolo politico dei militari.
Notevole impulso hanno avuto poi le ricerche sui partiti in etĂ repubblicana; una straordinaria stagione di ricerca si Ăš avuta, ad esempio, su momenti e figure della storia della Democrazia Cristiana: oltre ad un buon numero di ricerche sulla storia nazionale e locale del partito, si Ăš sviluppato un rilevante filone di studi sul rapporto tra lâItalia democristiana e gli USA. Anche in virtĂč della ricorrenza di alcuni anniversari (su tutti quello dei cinquantâanni dalla scomparsa di De Gasperi), poi, grand...