Note a margine dei recenti disegni di legge relativi al âtestamento biologicoâ
Davide Tassinari
1. Premessa
Le proposte di legge avanzate nel corso della legislatura che si Ăš appena conclusa in merito alle direttive anticipate e al testamento biologico presentano molteplici aspetti di interesse. CiĂČ non solo in quanto esse si pongono lâobiettivo di fornire, in una prospettiva de iure condendo, una risposta alle complesse problematiche â recentemente riportate allâattenzione dellâopinione pubblica nei casi Welby ed Englaro â inerenti alla âfine della vitaâ; ma anche perchĂ© gli interrogativi che questa materia solleva sembrano riguardare in ugual misura il diritto civile, il diritto penale, e la novella branca della âbiogiuridicaâ, ovvero quellâinsieme di studi e riflessioni che, quasi per premessa metodologica, si pongono âproblematicamenteâ a cavallo fra la bioetica e il diritto.
I temi in discorso sono dunque caratterizzati da una fisionomia multidisciplinare e da unâindubbia attualitĂ mediatica; essi tuttavia costituiscono un oggetto di analisi non nuovo. Da oltre un trentennio, soprattutto grazie alle suggestioni e agli stimoli provenienti dalle indagini di diritto comparato e, primariamente, da quelle riguardanti il panorama giuridico anglosassone, il testamento biologico â altresĂŹ denominato «living will», ovvero «testamento di vita» â Ăš divenuto uno fra i piĂč controversi topoi della riflessione giuridica.
Neppure nel panorama della âprogettazioneâ normativa italiana, lâidea di attribuire a siffatto âdocumentoâ unâesplicita veste di disciplina rappresenta una novitĂ . Negli ultimi anni, infatti, molteplici sono state le voci levatesi, in dottrina cosĂŹ come in sede dâiniziativa legislativa, a favore dellâintroduzione del âtestamento biologicoâ nel diritto positivo.
BenchĂ© al tema sia giĂ stata dedicata piĂč di unâindagine, sia in rapporto alla sua dimensione tecnico-giurdica che a quella, in senso lato, âculturaleâ, i progetti di legge presentati in relazione al living will nel corso della legislatura che si Ăš appena chiusa paiono meritevoli di una particolare attenzione. Due sono i dati che balzano agli occhi: sotto il profilo quantitativo, ben sedici sono i disegni di legge relativi al living will che sono stati presentati alla camera ed al senato; dal punto di vista âqualitativoâ, va notato come siffatti progetti di legge provengano sia dalla maggioranza di governo che dallâopposizione. PuĂČ anzi dirsi che essi sono, nel loro complesso, lo specchio di posizioni politiche ontologicamente contrapposte e al contempo espressive della quasi totalitĂ dellââarco costituzionaleâ. Orbene, a dispetto delle antitesi di fondo che dovrebbero contrassegnare, in ragione delle diverse posizioni da cui esse originano, le proposte legislative in discorso, appare sorprendente come, sia pure con differenti toni e accenti, esse lascino nel loro insieme trasparire alcune significative note bipartisan.
Ciascuno dei disegni di legge â siano essi âdi destraâ o âdi sinistraâ â, come si evince dalle relazioni dei loro proponenti, prende, infatti, le mosse dallâevidenziazione di un comune dato di fondo: la legislazione â si pensi alla Convenzione di Oviedo â, la giurisprudenza â si pensi al noto caso Massimo â e lo stesso sentore sociale segnalano un profondo mutamento del rapporto medico-paziente, di cui il diritto positivo deve necessariamente prendere atto. Siffatto rapporto, dopo essersi progressivamente distanziato dal vecchio archetipo del âpaternalismoâ medico, oggi piĂč che mai risulta incentrato sulla preminenza del principio di autodeterminazione alle cure, la cui principale espressione pare doversi individuare proprio nel diritto al loro rifiuto dal parte del paziente.
Nel mentre appare assai arduo dar conto nel dettaglio del proprium di ciascuno degli anzidetti progetti di legge â una tale analisi non potrebbe certo formare oggetto di queste brevi note â, nelle pagine che seguono ci si propone di evidenziare alcuni centrali aspetti del tema qui trattato. CiĂČ sia in rapporto alle principali analogie e differenze di disciplina riscontrabili nella progettazione normativa in tema di living will, sia in relazione ad alcuni dei limiti e delle insufficienze che paiono caratterizzarla globalmente.
2. Le alterne vicende del âdiritto di rifiutare le cureâ
Non pare, anzitutto, superfluo evidenziare come lâenunciazione espressa di un diritto del paziente a rifiutare le cure e, piĂč in particolare, di un suo diritto al âdissensoâ, operante anche in relazione a trattamenti âsalvavitaâ, appaia estremamente significativa. Lâaffermazione di un tale diritto, presente nella piĂč gran parte dei progetti di legge â sia pure, come piĂč oltre si dirĂ , con talune sensibili diversitĂ di formulazione â, oltre a rappresentare un antecedente logico rispetto alla regolamentazione del testamento biologico, riveste una considerevole importanza sistematica. Nel recente passato della prassi clinica, della dottrina e della giurisprudenza, la stessa esistenza di siffatto diritto Ăš stata, infatti, non di rado messa in discussione, se non addirittura esplicitamente negata. Alcuni emblematici casi âproâ e âcontroâ paiono rintracciabili nelle decisioni giurisprudenziali in tema di rifiuto delle cure manifestato dai testimoni di Geova. Il complesso ambito delle pronunce in materia di responsabilitĂ medica sembra, a sua volta, evidenziare come il diritto in discorso, pur essendo oggi riconosciuto dalla giurisprudenza, presenti ancora contorni sensibilmente incerti. In questi settori, il quadro interpretativo inerente alle norme di legge ordinaria e costituzionale incidenti sul tema del consenso risulta estremamente âoscillanteâ.
Come noto, le piĂč rilevanti â e basilari â discordanze in tema autodeterminazione del paziente alle cure hanno avuto a oggetto il dettato costituzionale. BenchĂ© il disposto di cui allâart. 32 della Costituzione appaia univoco nel riconoscere lâesistenza di un diritto individuale allââautodeterminazione terapeuticaâ, operante salve le sole eccezioni dei âtrattamenti sanitari obbligatoriâ, parte della dottrina ha interpretato la norma in discorso in senso restrittivo. Essa non implicherebbe affatto un diritto di rifiutare i trattamenti quoad vitam: lâesame storico della disposizione, secondo tale indirizzo, attesterebbe invece la sua natura, per cosĂŹ dire, di affermazione di principio, correlata alla condanna degli episodi di âbarbarie medicaâ che la storia recente ci rammenta. Da qui lâorigine di una tormentata â e ad oggi irrisolta â disputa assiologica e interpretativa: il concetto di autodeterminazione alle cure, se pure viene affermato nella Carta fondamentale in modo che parrebbe esente da possibili fraintendimenti, Ăš stato conciliato, a seconda dei diversi punti di vista, con soluzioni ermeneutiche a sfondo sia âindividualeâ che âcollettivoâ. La tutela della vita nellâordinamento giuridico vigente, proprio in virtĂč di siffatte discrasie interpretative, pare anzi destinata a indossare una veste duplice e ambigua: a un tempo quella di diritto e quella di dovere, questâultima caratterizzata da unâimmanenza dello stato, in senso âtutorioâ e âcensorioâ, sulle scelte individuali.
Per un comprensibile effetto âa cascataâ, direttamente derivante dal controvertibile quadro di valori di cui si Ăš detto, incertezze applicative non meno sensibili hanno interessato le disposizioni di legge ordinaria, segnatamente quelle penali, inerenti la tutela della vita. Il rifiuto dei trattamenti terapeutici, anzichĂ© venire in considerazione â come forse avrebbe dovuto â quale limite implicito e invalicabile al dovere di intervento del medico, Ăš stato sovente destituito del centrale valore che lâart. 32 della Costituzione ha verosimilmente inteso assegnargli.
La âprogettataâ enunciazione positiva del diritto di rifiutare le cure, in questâottica, sembra di per sĂ© poter sortire molteplici, desiderabili effetti: in primis, la cessazione dellâinesauribile diatriba di cui si Ăš appena detto e, in secondo luogo, la conquista di un minimum di certezza del diritto nel delicato settore della responsabilitĂ medica. La positivizzazione dei confini di autodeterminazione del paziente pare, anzi, possedere una duplice valenza: da un lato, essa potrebbe significativamente ridurre i timori oggi ingiustamente gravanti sulla classe medica, esposta a un duplice e concorrente ârischioâ di responsabilitĂ penale, quello derivante dallâomissione delle terapie e quello correlato al âtrattamento arbitrarioâ; dallâaltro, essa varrebbe ad aumentare il coefficiente di precettivitĂ -tassativitĂ delle fattispecie incriminatrici poste a tutela della vita e, in particolare, delle ipotesi di colpa per omissionem, delle quali la responsabilitĂ medica costituisce un terreno elettivo dâapplicazione. Tali fattispecie, invero, a fronte di una espressa tipizzazione legislativa del binomio consenso-rifiuto alla terapia e dei suoi limiti, non potrebbero piĂč essere interpretate in modo âincondizionatoâ, ma risulterebbero etero-limitate â e perciĂČ stesso rese maggiormente determinate â dal principio-cardine dellâautodeterminazione terapeutica.
Sulla base di qu...