Cinque
Le altre donne:
islam, relazioni di genere
e costruzioni sociali della modernitĂ
Narrazioni trasversali della modernitĂ
Con lâavvio del dominio coloniale e la diffusione del sapere orientalista, la questione femminile ha costituito un elemento centrale dellâincontro/scontro fra Europa e islam. Il processo di costruzione degli altri, delle altre in termini dispregiativi si Ăš basato, infatti, sulla definizione di una distanza temporale, cronologica fra Oriente e Occidente â lâuno considerato indietro rispetto allâaltro â che ha sempre fatto un largo uso delle metafore di genere.1 Il riferimento piĂč immediato Ăš allâicona della femme arabe: una donna sensuale, lasciva, raffigurata in atteggiamenti ammiccanti sotto il profilo sessuale come nei quadri ottocenteschi di ispirazione orientalista.2 Ma, allâestremo opposto, in epoca piĂč recente, troviamo ugualmente lâimmagine della donna musulmana dellâera postcoloniale: per lo piĂč velata, contrita, vittima oppressa, ritratta secondo il clichĂ© della sottomissione al dominio maschile. Queste rappresentazioni, volutamente antitetiche rispetto a quelle delle donne occidentali, oltre a scavare un solco profondo nellâimmaginario europeo, sono risultate funzionali al sostegno e alla legittimazione di precise gerarchie economiche, sociali, politiche, culturali, di cui si sente lâeco tuttora nella nostra contemporaneitĂ .3
Il senso di questa distanza nei confronti dellâislam si Ăš espresso, inoltre, nel ricorso forzato a due coppie di termini, modernitĂ /modernizzazione e Occidente/occidentalizzazione, spesso utilizzate in maniera interscambiabile alla stregua di sinonimi. Per quanto la tradizione sociologica abbia ben messo in evidenza il carattere ambivalente e, talvolta, contraddittorio dei processi che hanno dato forma e sostanziato il progetto della modernitĂ occidentale, Ăš indubbio che soprattutto a partire dagli anni Sessanta del Novecento, con lâavvio degli studi sui cosiddetti paesi in via di sviluppo, lâaccento si sia spostato verso i percorsi di modernizzazione e sui processi e le caratteristiche che rendevano Paesi e popoli propriamente moderni. Fra questi rientravano tutta una serie di elementi â fra i quali la razionalizzazione, la differenziazione funzionale, lâindustrializzazione, lâurbanizzazione, la secolarizzazione, la democrazia, il pluralismo sociale e politico, per citarne alcuni â che, considerati universali in Occidente, risultavano del tutto carenti nelle societĂ tradizionali: una categoria onnicomprensiva, questâultima, in cui far confluire il resto del mondo. E la religione ha indubbiamente costituito uno degli ambiti cruciali nella definizione di ciĂČ che moderno non era.4
Non Ăš possibile qui soffermarsi su una disamina critica di questo dibattito che, letto oggi da una prospettiva consapevole del carattere situato dei nostri strumenti concettuali, rivela la pervasivitĂ di alcuni pregiudizi che hanno influenzato anche in epoca recente il pensiero sociologico occidentale.5 Uno fra tutti quello secondo cui lâOccidente poteva compiutamente rappresentarsi come il punto di arrivo della storia dellâumanitĂ , mentre lâislam si configurava come altro costitutivo rispetto alla modernitĂ , sia in quanto universo religioso, che come fenomeno sociale collocato fisicamente e simbolicamente al di fuori dei confini dellâEuropa e, in generale, dellâuniverso occidentale. Ma Ăš indubbio come la critica alle teorie della modernizzazione nordamericana e il dibattito che ne Ăš seguito poi in seguito abbiano generato un rinnovato interesse teorico nei confronti della modernitĂ e della sua presunta crisi, cosĂŹ come nei riguardi di tutto ciĂČ che da questo progetto Ăš stato a lungo espunto, tenuto ai margini, se non addirittura negato.6 Scrive, a questo proposito Iain Chambers: «la modernitĂ ha sempre litigato con se stessa, e la sua superficiale affermazione del âprogressoâ Ăš sempre stata accompagnata da una serie di eventi che parlano dâaltro e hanno altra origine».7 CiĂČ ha ovviamente contribuito a complicare il quadro, inducendo a collocare la questione della modernitĂ allâinterno di un contesto globale e in un quadro di connessioni di lunga se non lunghissima durata.8
I processi di globalizzazione, lungi dallâabolire territori esterni e culture percepite come estranee, hanno richiamato lâattenzione sulle continuitĂ e differenze esistenti fra vecchie e nuove forme di demonizzazione dellâaltro/a.9 Lâinferiorizzazione delle popolazioni sottomesse, attraverso i dispositivi della razzizzazione, che in passato aveva fornito una legittimazione allo sfruttamento coloniale, ritorna nelle esperienze dei migranti globali di oggi e di coloro che, in qualche modo, vengono percepiti come tali.10 Si tratta di dispositivi che esprimono la loro dirompenza nelle pratiche di controllo sociale, esclusione, discriminazione e disumanizzazione attuate negli spazi pubblici come in quelli della quotidianitĂ . Ogni giorno disponiamo di puntuali resoconti che ne confermano la tragica attualitĂ . Ma le dimensioni plurime di questa violenza hanno modo di esprimersi, talvolta in maniera ambigua e trasversale, soprattutto a livello immateriale, attraverso la costruzione di immagini degradanti, rappresentazioni subdole ed essenzializzate dellâaltro, dellâaltra.
Le donne si trovano spesso al centro di queste costellazioni. Le donne musulmane, in particolare, con la loro evidenza corporea, oltre che simbolica, sembrano occupare un posto emblematico allâinterno di narrazioni e pratiche dove la questione dei simboli religiosi Ăš divenuta il nodo politico cruciale delle tensioni tra islam e Occidente, musulmani e culture politiche europee.11 Raffigurazioni di queste donne in termini degradanti, quali vittime oppresse dal dominio maschile, sottomesse a una tradizione religiosa considerata retrograda, oppressiva e inconciliabile con la modernitĂ emergono con forza nel dibattito pubblico europeo. Il corpo femminile appare spesso trasformato in una sorta di corpo emblema di un discorso politico piĂč ampio che, non di rado, alimenta forme di misconoscimento dellâaltro/a.12
Eppure, analisi attente delle modalitĂ attraverso cui queste donne negoziano le proprie appartenenze multiple e ricostruiscono il legame sociale fra soggettivitĂ e spazio pubblico sembrano rimandarci, oggi, un quadro sempre piĂč polifonico, fatto di sovrapposizioni fra narrazioni, strategie e tecniche del sĂ© difficilmente riducibili a unitĂ .13 Se si rivolge lo sguardo alle rappresentazioni di sĂ© e della propria identitĂ da parte di donne musulmane di diversa origine ed estrazione che vivono attualmente in Europa e in Italia â come fanno alcune ricerche realizzate soprattutto nel corso degli ultimi dieci anni â le raffigurazioni statiche della categoria astratta ed essenzializzata della «donna musulmana» lasciano il campo a tutta una serie di strategie concrete di contro-narrazione e di resistenza attuate da queste donne negli spazi della quotidianitĂ .14
De-essenzializzare la differenza
La crescente visibilitĂ delle donne musulmane in Europa â evidenziata dal ritorno di simboli come il velo a cui viene attribuito un significato sempre piĂč polisemico â e il loro crescente protagonismo costituiscono una sfida alle logiche dicotomiche retaggio del passato â Europa vs. islam, secolarizzazione vs. religione, emancipazione vs. oppressione â di cui si trova spesso traccia nel tempo presente.
La localizzazione spaziale di queste donne â che si trovano appunto in Europa â Ăš assolutamente rilevante. Si tratta di donne che vivono in un contesto dove, seppur la religione musulmana sia divenuta nellâarco di pochi decenni la seconda religione per ordine di importanza, dopo quella cristiana, siamo ben lontani dal vivere in situazioni in cui il fatto sociale musulmano influenza e tende a permeare di sĂ© tutti gli ambiti della vita politica, sociale, culturale, famigliare â come invece avviene in molti Paesi storicamente caratterizzati da una tradizione musulmana.15 Se, da un lato, una parte di esse viene ricondotta allâinterno della generica categoria delle cosiddette «donne immigrate», dallâaltro lato assistiamo a un crescente protagonismo di donne musulmane che in realtĂ non si sono mai spostate, che non provengono da alcun altrove, ma, in quanto figlie o nipoti di immigrati che sono giunti nei Paesi europei nel corso dei vari cicli migratori avviati a partire dagli anni Sessanta, sono oggi cittadine europee a tutti gli effetti. In Francia e Germania, ad esempio, la maggioranza dei musulmani che vive sul territorio nazionale possiede la cittadinanza del Paese di residenza (grazie anche a una legislazione favorevole in tal senso).16 Se nelle aree di piĂč antica immigrazione ci troviamo giĂ allâesistenza di una cosiddetta «terza generazione» discendente dai primi migranti â cittadini a tutti gli effetti del Paese europeo in cui sono nati e cresciuti â, in Italia e negli altri Paesi dellâEuropa meridionale la consistenza delle generazioni piĂč giovani assume una visibilitĂ crescente.17
Da un islam che si configurava come fenomeno religioso strettamente legato al processo migratorio, trapiantato in terra europea, stiamo oggi assistendo, non senza conflitti, tensioni, scontri e incomprensioni reciproche, alla crescente affermazione di un islam post-migratorio, endogeno, autoctono, europeizzato, europeo, transnazionale.18 Un islam che non Ăš semplicemente uscito fuori dalla sua geografia culturale tradizionale, ma che si trova ad essere protagonista, come emerge sin dai primi studi sul tema, di un vero e proprio «processo di creazione sociale», risultato dellâazione di costruzione dei protagonisti che si definiscono e ridefiniscono come musulmani in uno spazio sociale, culturale, politic...