1. Guida allâascolto
Il brigante cattivo
Giuseppe Musolino nacque nel 1876 a Santo Stefano in Aspromonte, in provincia di Reggio Calabria: figlio di Giuseppe, boscaiolo e poi oste, e di Mariangela FilastĂČ, da ragazzo lavorava con il padre, nei boschi e in osteria. Il 27 ottobre 1897, entrato in una cantina del paese, Musolino si imbattĂ© in Vincenzo Zoccali, un mulattiere con il quale aveva giĂ litigato il mese precedente per motivi riguardanti la «protezione» da entrambi accordata ad altre due persone. Musolino era probabilmente giĂ affiliato alla criminalitĂ organizzata locale, la «picciotteria»:1 a lui si era infatti rivolto un altro mulattiere, Rocco Versace, per essere difeso da un lontano parente. Vincenzo Zoccali ironicamente offrĂŹ da bere del vino a Musolino, che lo rifiutĂČ. Ebbe inizio una lite che continuĂČ allâesterno del locale, dove i due si sfidarono con il coltello: Musolino, ferito seriamente alla mano destra e quasi sopraffatto, chiese aiuto a suo cugino Antonino FilastĂČ, che sparĂČ a vuoto contro Zoccali e le persone che lo stavano aiutando, tra le quali il padre, Carmine Zoccali. Musolino riuscĂŹ comunque a scappare minacciando di morte Vincenzo Zoccali, accorgendosi poco dopo di avere perduto il suo berretto. Secondo la leggenda il berretto sarebbe stato raccolto proprio da questâultimo.
Il 29 ottobre, alle 4 del mattino, mentre stava aprendo la porta della stalla Vincenzo Zoccali venne sfiorato da una fucilata e poi da quattro colpi di pistola. Dopo quattro ore denunciĂČ il tentato omicidio al vicebrigadiere del paese, dichiarando di avere riconosciuto tra gli spari le voci che lo minacciavano: erano quelle di Musolino e di Francesco FilastĂČ. Anche Rocco Zoccali e Stefano Crea affermarono di avere sentito quelle voci. Durante lâispezione vennero ritrovati sul luogo dellâagguato il berretto di Musolino, un fucile che sembrava essere il suo e poi anche il berretto di suo cugino FilastĂČ. Musolino venne arrestato lâ8 aprile 1898, anche grazie allâaiuto fornito ai carabinieri dal sindaco di Santo Stefano e da un amico di famiglia, Alessio Chirico. Durante lâinchiesta il vicebrigadiere riuscĂŹ a scoprire che Musolino aveva perso il suo berretto due sere prima, che il fucile ritrovato non era il suo, ma anche che Musolino era inserito nella mafia locale: lâattentato a Zoccali non era stato probabilmente opera sua, ma unâiniziativa dei suoi amici affiliati alla «picciotteria». I magistrati, tuttavia, non credettero alla ricostruzione degli eventi fornita dal vicebrigadiere, e neppure allâesistenza della criminalitĂ organizzata a Santo Stefano in Aspromonte.
Il processo si svolse a Reggio Calabria, nel settembre del 1898, e durĂČ soltanto tre giorni, dal 24 al 27. Durante il dibattimento Musolino si rivolse piĂč volte con rabbia contro Vincenzo Zoccali e la sua famiglia: «Se esco libero vengo a mangiarti il fegato», «voglio vendere la carne degli Zoccali come quella dei maiali». Lâavvocato degli Zoccali gli gridĂČ contro: «Ma stai zitto, mafioso».2 Dopo un breve dibattimento la giuria popolare condannĂČ Giuseppe Musolino a ventuno anni, due mesi e quindici giorni, e Antonino FilastĂČ a otto anni. Dopo avere ascoltato la sentenza Musolino urlĂČ a Zoccali: «Se non muoio, quando uscirĂČ di prigione ti mangerĂČ il fegato. E se sarai morto, ammazzerĂČ la tua famiglia». In risposta Stefano Zirilli, padre della fidanzata di Vincenzo Zoccali, gli disse: «Intanto rosicchiati queste ventuno ossa».
Musolino e FilastĂČ evasero il 9 gennaio 1899 dal carcere di Gerace (Reggio Calabria), dove erano stati rinchiusi poco dopo la sentenza. Da quel giorno Musolino, determinato a vendicarsi dei torti che riteneva di avere subito, diede inizio a una lunga sequenza di omicidi, ferimenti e attentati. Da latitante, spesso protetto dalla gente comune, Musolino ferĂŹ Stefano Crea, uccise Francesca Sidari (convivente di Stefano Crea), ferĂŹ Michele Surace (che immaginava fosse Crea), uccise il pastore Carmine DâAgostino (che collaborava con i carabinieri), compĂŹ un attentato dinamitardo contro la casa di Carmine Zoccali, ferĂŹ Stefano Zirilli, uccise Pasquale Saraceno (che considerava una spia), ferĂŹ Stefano Romeo (anche lui ritenuto una spia), uccise Stefano Zoccali (fratello di Vincenzo), uccise Alessio Chirico, ferĂŹ Francesco Sinicropi (che scambiĂČ per Raffaele Priolo, un confidente dei carabinieri), ferĂŹ Giuseppe Angelone (ex carabiniere), ferĂŹ Antonio Princi (che, pur avendolo aiutato nella latitanza, aveva poi tentato di farlo catturare), uccise il carabiniere Pietro Ritrovato, uccise Francesco Marte (colpevole, essendo un membro della «picciotteria», di non avere obbedito allâordine della malavita di uccidere Antonio Princi), e infine insieme ad altri due mafiosi tentĂČ di uccidere Stefano Zirilli, che rimase invece ferito per la seconda volta.3
Questa impressionante serie di violenze avveniva mentre lâAspromonte era pattugliato dai carabinieri e dallâesercito; mentre il re dâItalia Vittorio Emanuele III si chiedeva come mai non fosse possibile catturare un latitante sul quale câera una taglia di 5000 lire (una cifra enorme in quegli anni); e mentre il mito di Musolino, il vendicatore imprendibile, si diffondeva in tutta Italia attraverso la parola scritta e cantata.
«La biografia romanzata, sullo stile del feuilleton, [âŠ] teneva banco dal punto di vista editoriale. I racconti [su Musolino] non erano anonimi bensĂŹ firmati. Una vita del brigante raccontata da Luigi Fragna e Gino Froio apparve a puntate su il Cannone di Napoli; unâaltra, affidata a un giornalista calabrese, venne pubblicata da una casa editrice toscana. Il successo che arride ai libri e alle dispense irrita i benpensanti, che lo considerano un segno del deterioramento dei costumi, un fenomeno deleterio e diseducativo. In un saggio sulla rivista La vita internazionale, Angelo Bartolini riferisce sbalordito che, secondo un rivenditore di giornali di Bari, le dispense sul brigante vanno a ruba: se ne vendono dalle duemila alle tremila per numero. Lo scrittore aggiunge: âI ragazzi giocano per istrada a fare il Musolino e il piĂč audace e il piĂč abile tra essi, col coltello alzato, Ăš lâeroe: alcune perfette canaglie che infestano la cittĂ con certi loro organini di Barberia, cantano la canzone di Musolino piena di sottintesi, di spirito di compassione e di audacie mafiose e il pubblico dei vetturini e della ragazzaglia ascolta, ride e applaude lâistrione che canta del briganteâ. Sdegnato, il giornalista denuncia: âAl teatro delle marionette, che non Ăš il regno delle sincere, ingenue risate dellâinfanzia, ma una scuola di incubazione della camorra se non di peggio, il Meschino e i Paladini di Francia hanno ceduto il posto al bandito dâAspromonteâ. Bartolini riassume, infine, cosĂŹ i principi fondamentali che pervadono canzoni e dispense: âLâinnocente non puĂČ sperare nella giustizia e nellâautoritĂ legale: la vendetta contro coloro che ci hanno fatto del male Ăš giustaâ.»4
Giuseppe Musolino, protagonista di romanzi popolari a dispense, era un «superuomo di massa»: lâeroe che esprime una legge che la societĂ non accetta, che realizza una sua forma di giustizia,5 non essendo tra lâaltro un personaggio di fantasia nel quale immedesimarsi ma una persona (quasi completamente, si potrebbe dire) reale. Musolino tra lâaltro alimentava il suo stesso mito, essendo disponibile a farsi intervistare mentre era latitante. Durante il colloquio con il giornalista socialista Domenico Nucera Abenavoli, avvenuto dopo lâomicidio di Pietro Ritrovato, il celebre bandito affermĂČ di essere dispiaciuto di averlo ucciso. Nel 1902, prima del suo ultimo processo, Musolino dichiarĂČ a un perito che lo stava interrogando: «Io sono molto popolare».6
Musolino era anche il protagonista di narrazioni cantate,7 ritenute pericolose dalle autoritĂ e contro le quali vennero esercitate la repressione e la censura. Il 16 agosto 1900 lâispettore Umberto Wenzel, che era stato inviato a Reggio Calabria con lâordine di catturare o fare arrendere Musolino (senza peraltro riuscirvi), fece arrestare ad Acquaro (Vibo Valentia)8 Francesco Sciotta, Federico Reraco e Carmela Martino, colpevoli di avere venduto per strada fogli volanti con melodie e versi sul latitante; due di loro furono condannati dal Tribunale di Palmi (Reggio Calabria) a due mesi di carcere e a 100 lire di multa. Alla fine dellâanno altri musicisti di strada furono condannati e incarcerati a Reggio Calabria e a Bari per avere cantato una canzone dal titolo âO bbrigante Musulino:
Nfra sepe, massarie, muntagne e bosche / se trova stu bbrigante Musulino / Ma nun Ăš ânfame e manco nâassassino, / Ă nâomme e core e mmale non ne fa. / Cammina pâ âa nennetta sulamente, / Pâ âe monte, sulo, e sempe âe nu penziere. / E quanno âncontra guardie e carabiniere / Lâ âe dispiace se lâha dda sparĂ .
Tra siepi, masserie, montagne e boschi / si aggira questo brigante Musolino / Ma non Ăš un infame e nemmeno un assassino, / Ă un uomo di cuore e male non ne fa. / Va in giro soltanto per vendetta, / Per i monti, solo, con un pensiero fisso. / E quando incontra le guardie e i carabinieri / Ă dispiaciuto se deve sparargli.9
Musolino, che riusciva a sfuggire alle perlustrazioni in Calabria, fu infine catturato il 9 ottobre 1901 nei pressi di Acqualagna (Urbino). Venne arrestato da due carabinieri che lo consideravano un tipo sospetto e non immaginavano di avere a che fare con il «terribile brigante» calabrese. Il nuovo processo ebbe inizio a Lucca il 15 aprile 1902 e terminĂČ lâ11 giugno, con la condanna allâergastolo â con i primi dieci anni di segregazione â, che Musolino scontĂČ recluso al penitenziario di Porto Longone (isola dâElba), poi allâisola di Santo Stefano (Ventotene), quindi presso il manicomio di Reggio Emilia e infine al manicomio di Reggio Calabria, cittĂ nella quale morĂŹ nel 1956. Nel 1933 Giuseppe Travia, un affiliato alla «picciotteria» di Santo Stefano in Aspromonte e amico di Musolino, aveva dichiarato negli Stati Uniti di avere esploso lui il colpo di fucile contro Vincenzo Zoccali. Quando nel 1946 Musolino uscĂŹ dal manicomio criminale di Reggio Emilia, ad aspettarlo câera Vittorio De Sica, che avrebbe voluto fare un film su di di lui.10 A Lucca ancora oggi ai bambini vivaci si dice: «Sembri un Musolino».
Il brigante buono
La storia di Giuseppe Musolino riassume i temi di cui si occupa questo libro: la violenza individuale e il crimine organizzato, le loro rappresentazioni in versi e in musica, il panico morale nei riguardi di questi repertori musicali, la criminalizzazione dei canti sulla malavita e dei loro esecutori. La distanza temporale e culturale che ci separa da Musolino e dai suoi atti violenti ci permette di osservarli con il necessario distacco: nĂ© la sua figura nĂ© le canzoni a lui dedicate ci sembrano ora cosĂŹ inquietanti come apparivano ai suoi contemporanei. Ă impossibile immaginare oggi che un cantante possa andare in prigione per aver cantato una ballata sullo spietato latitante. Il gruppo folk rock calabrese Kalamu, per esempio, ha in repertorio un brano il cui testo dice: «Arriva lu brigante Musolino / non chiedere perdono a li tuoi santi / che peâ li tuoi peccati non câĂš scampo».11 Le canzoni sulle gesta di Musolino sono adesso valutate positivamente e in contrapposizione ad altre ritenute piĂč atroci, come quelle calabresi di malavita, perchĂ©: «Una cosa Ăš il brigante buono, il Musolino che fugge braccato dalla legge, unâaltra Ăš lo ândranghetista che non fugge e che non ha torti da vendicare, ma si camuffa e colpisce nellâombra».12
Chi alla fine dellâOttocento e nei primi anni del secolo scorso era considerato il delinquente pluriomicida italiano per eccellenza, quelle canzoni che allâepoca sembravano ai benpensanti sdegnati musicalmente irrilevanti e piene «di audacie mafiose», e che aprivano le porte del carcere a chi le intonava: tutto ciĂČ oggi Ăš capovolto nel suo contrario. Questo radicale mutamento di prospettiva Ăš stato reso possibile da un lavoro interpretativo volto a convertire in apprezzamento il disgusto (provato da un certo tipo di pubblico middle class e high brow) per la violenza nei canti sui malviventi, trasformandoli in un prezioso patrimonio accademico, politico, controculturale. Per spiegare il motivo del fascino sugli ascoltatori delle nefandezze narrate nelle ballate su quei briganti le cui azioni dimostrano «un surplus di violenza in larga misura non previsto e non tollerato normalmente», che «uccidono anche quando non Ăš necessario, torturano le loro vittime, si compiacciono sadicamente dei loro delitti», Ăš stato sostenuto che «le vittime dei ricatti, delle prepotenze e delle violenze dei briganti non appartengono mai alle classi popolari; anche se non aiuta i deboli, gli sfruttati e gli oppressi, il brigante quasi mai reca loro offesa; [âŠ] nel torbido compiacimento con cui le masse popolari gustavano il racconto di questi delitti câera dunque un odio di classe che trovava una momentanea soddisfazione».13 Pertanto, «in questo tipo di componimenti musicali e poetici, siano essi semplici o evoluti, la figura del bandito si definisce sempre, sullo sfondo di un fiammeggiante scenario di violenza, di crudeltĂ e di sangue, nei limiti manifesti di un sentimento sincero di simpatia, di comprensione, persino di ammirazione. Gli atti feroci dei briganti, le loro azioni criminose, i loro gesti sanguinari escono in tal modo dalle regole della moralitĂ (e dal codice penale) per configurarsi in un nuovo ordine di valori che trovano la loro giustificazione nel consumante desiderio degli oppressi e degli umili per un rinnovato sistema dove le parole libertĂ e giustizia assumano infine il loro naturale significato».14
Ma ritorniamo a Musolino. Orazio Strano (1904-1981) Ăš stato uno dei piĂč grandi e piĂč noti cantastorie siciliani del secolo scorso. CominciĂČ a suonare a dieci anni: dopo una malattia contratta durante il servizio militare intraprese la carriera di cantastorie, grazie alla quale viaggiĂČ intensamente in Sicilia e in Calabria. Nel dopoguerra Strano divenne celebre in Italia e allâestero;15 la sua morte fu commentata dai media italiani, a conferma di una notorietĂ che aveva valicato i confini regionali.16 Strano era infaticabile (era in grado di esibirsi dal vivo anche per quaranta giorni di seguito), e si documentava puntigliosamente sulle storie che traduceva in versi e musica. Il testo che segue Ăš una trascrizione da unâesecuzione registrata della storia di Musolino cantata e narrata da Strano,17 e riguarda lâomicidio di Stefano Zoccali, avvenuto il 7 agosto 1899.18
(Parlato) Ma lu pinzeri soi // (cantato) era pessatu a Zocculi nnimicu troppu astutu / ca dâun latu curreva a nâautru latu / sperannu di scansari lu tabbutu / e a Melito ânta ddâura si truvava / unni carbuni e ligna cummerciava / Musulinu ammucciatu lâaspettava / ânta lu stratune quannâĂš ca veneva / ma ânveci dâiddhu âu so frati spuntava / ca ccu ddu muli a lu paisi ieva / Peppinu lu chiamau: «Zocculi caru / unnâĂš ca vai cu âsti muli a paru?». // (Parlato) «A lu paisi, sugnu carbunaru. E vui cca cu vi ci porta ângiru?» // (Cantato) «Aspettava a to frati mi ci sparu / ma mentra ca non spunta a ttia mâammiru»; / e senza diri cchiĂč menza parola / ci tira unu corpa di pistola. // (Parlato) Cascau mortu lu giuvini carbunaru e Musulinu dissi: «Haiu levatu nâautru ânfamuni! Ma ci avissi provatu cchiĂč piaciri ammazzannu a so frati Vicenzu».
(Parlato) Ma il suo pensiero // (cantato) era fisso su [Vincenzo] Zoccali, nemico troppo astuto, / che correva da una parte allâaltra / sperando di evitare la cassa da morto, / e si trovava a Melito in quel periodo, / commerciando legna e carbone. / Musolino nascosto aspettava / che arrivasse per la strada: / ma al suo posto spuntĂČ suo fratello / che andava al paese con due muli. / Peppino lo chiamĂČ: «Zoccali, caro, / dove vai con questi due muli?» // (Parlato) «Al paese, sono carbonaro. E voi, che cosa vi porta da queste parti?» // (Cantato) «Aspettavo tuo fratello per sparargli / ma, dal momento che non viene, sparo a te»; / e senza dire piĂč una mezza parola / gli tira un colpo di pistola. // (Parlato) Il giovane carbonaro cascĂČ morto e Musolino disse: «Ho eliminato un altro infamone! Ma avrei provato piĂč piacere uccidendo suo fratello Vincenzo».
La «verità » della storia di Musolino cantata da Strano Ăš il risultato di unâopera di mediazione ideologica e di messinscena delle vicende reali. Agguato, dialogo, omicidio: tutto Ăš organizzato in forme narrative e musicali che rendono comprensibili gli eventi riferendoli a un contesto culturale nel quale la «giustizia» si raggiunge individualmente. Non Ăš possibile produrre una completa rappresentazione sulla pagina dellâelaborazione musicale di tale narrazione, del rapporto tra stili vocali, immedesimazione ed estraniazione, e bisognerebbe comunque ascoltare il testo qui citato nellâesecuzione registrata da Strano. Nondimeno, anche nella riduzione della performance a testo scritto appare un elemento ineliminabile: la violenza insopportabile di Musolino, nella quale non câĂš alcuna traccia di odio di classe. Se noi veniamo a patti con essa, se riusciamo a riportare allâinterno di unâesperienza estetica unâodiosa rappresaglia trasversale, unâimboscata, il reale assassinio di un innocente e la soddisfazione dellâomicida, Ăš perchĂ© abbiamo elaborato una serie di norme interpretative in base alle quali crediamo di sapere come questo tipo di storie venivano ascoltate e giudicate dal pubblico di Strano. E dal momento che sono diventate un discreto capitale culturale (anche accademico), le possiamo ascoltare, leggere, esaminare e far studiare senza timore. Adesso che siamo sicuri di capire queste «favole dellâultraviolenza»,19 il «terribile brigante» Ăš diventato umano, nonostante lâevidenza del contrario.
Questo libro si occupa di un atteggiamento culturale dellâItalia contemporanea: la legittimazione o la riprovazione di repertori musicali marginali, scabrosi, intollerabili, il cui ascolto Ăš da evitare o approvare, da censurare o approfondire e pubblicizzare a seconda di chi parla o scrive, dei criteri sociali, accademici ed economici di riferimento, e del gruppo sociale o della collettivitĂ a cui ci si rivolge. PerchĂ© poi si sa: il brigante buono Ăš sempre quello che piace a te e a quelli come te, tutti gli altri sono cattivi.
Le commissioni di vigilanza e garanzia
Di recente Ăš tornato a farsi sentire in Italia lo sdegno nei riguardi delle «audacie mafiose» di alcune canzoni e sono riemersi il disprezzo e lâindignazione verso determinati repertori musicali descritti di nuovo come una «scuola di incubazione della camorra». Dalla fine degli anni novanta unâondata di panico morale20 si Ăš sollevata nella societĂ italiana contro le cosiddette «ballate criminali» della ândrangheta calabrese: lâintensitĂ delle reazioni contro ciĂČ che Ăš stato valutato come ...