Foucault e Hayek
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Tra biopolitica e liberalismo

Jacopo Marchetti

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Tra biopolitica e liberalismo

Jacopo Marchetti

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Esiste una relazione tra due autori come Michel Foucault e Friedrich von Hayek caratterizzati da universi di pensiero apparentemente così distanti? In questo libro si cerca di mostrare come un accostamento sia possibile.Se l'interpretazione biopolitica del mercato data da Foucault, in cui l'attore sociale è primariamente definito dal paradigma razional-utilitaristico dell'homo œconomicus, mostra grande distanza dal pensiero di Hayek, è sul tema del "governo dei poteri" che i due finiscono per incontrarsi. Per entrambi, infatti, il potere è una costante delle relazioni umane e, prima di essere concettualizzato all'interno di forme giuridico-politiche, viene esercitato nello scambio.Il mercato teorizzato da Hayek e le relazioni di potere in Foucault rappresentano ambiti decisionali policentrici. Per quanto gli uomini siano inevitabilmente coinvolti in molteplici e pluridirezionali relazioni di potere — che si tratti di rapporti sessuali o scambi di mercato — è sempre possibile cambiare tali interazioni e mutare la propria posizione all'interno di esse, affinché il potere non si fissi in situazioni di dominio o in forme stabili di coercizione.Come scrive Emanuele Castrucci nella prefazione al libro, «questo lavoro di Marchetti ha il merito di mostrare il legame tra i due autori attraverso un'analisi approfondita dei temi foucaultiani e hayekiani affrontati, consentendo infine al lettore di trarre conclusioni non del tutto scontate, se non addirittura inattese».Jacopo Marchetti (Pietrasanta, 1989) è allievo del Dottorato in Filosofia delle Università di Firenze e di Pisa. Dal 2015 collabora alle attività di insegnamento di Teoria Politica dell'ateneo pisano, occupandosi di vari temi del liberalismo contemporaneo e di filosofia delle scienze sociali.

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Informations

Éditeur
IBL Libri
Année
2018
ISBN
9788864403717

1. Biopolitica. Genesi di una categoria molto fortunata

1. Una nuova dimensione dell’esercizio del potere
Prima di iniziare la ricostruzione delle tappe principali del liberalismo contemporaneo nell’analisi di Foucault, bisogna fare luce sui motivi che lo hanno spinto a interessarsi al liberalismo e a leggerne i contenuti come una parte di quel più ampio panorama concettuale costituito dalla biopolitica.{16} Il fatto che il tema del liberalismo venga affrontato in uno soltanto dei suoi Cours al Collège de France, e non venga poi mai più ripreso, non deve trarre in inganno: il liberalismo, come anticipato, non è soltanto un interesse passeggero in cui Foucault si imbatte per caso ma, piuttosto, un’esperienza che gli è servita per definire meglio le sue ricerche sul potere e sulla questione del governo dell’individuo.
Le ragioni di fondo che lo hanno condotto su questa strada sono inizialmente legate alla continuità di quel percorso sul potere che egli aveva intrapreso durante gli anni Settanta. Foucault si distingueva chiaramente da molti altri intellettuali e da molti filosofi politici del periodo per l’approccio atipico, originale ed eversivo, talvolta anche irriverente, che lo conduce a rifuggire da ogni forma di sapere costruito sull’evidenza, e che, come lo stesso Foucault riconosce in una delle sue ultime testimonianze, riguarda essenzialmente «il suo modo di approcciarsi ai problemi della politica».{17}
La sua analitica del potere apparve sicuramente provocatoria agli occhi degli studiosi dell’epoca, poiché cercava chiaramente di destituire tale concetto da quella sorta di aura attraverso la quale è stato sempre pensato, per riportare lo sguardo sulle dinamiche individuali in cui esso si esercita, mediante lo scambio e l’interazione reciproca, denunciandone i meccanismi di funzionamento e mettendone a nudo le dinamiche e gli effetti. Il potere per Foucault è qualcosa di tangibile che si pratica in ogni istante nelle relazioni tra individui ancor prima di essere l’espressione “giuridico-discorsiva” di una legge o l’imposizione arbitraria della volontà di qualche sovrano.
Le figure utilizzate da Foucault per descrivere le relazioni di potere sono molto chiare e è proprio per questo che sono diventate tanto celebri: il potere «non è una struttura, non è una certa potenza di cui alcuni sarebbero dotati»; il potere è dappertutto, non perché «avrebbe il privilegio di raggruppare tutto sotto la sua invincibile unità», ma perché «si produce in ogni istante, in ogni punto, o piuttosto in ogni relazione fra un punto e un altro».{18} Il potere non può mai essere considerato «un principio in sé né come un valore esplicativo destinato a funzionare come tale fin dall’inizio»:{19} la sua individuazione globale, lo spesso tessuto che attraversa gli apparati e le istituzioni, prima di essere una decisione «di coloro che governano, dei gruppi che controllano gli apparati dello Stato o di quelli che prendono le decisioni economiche più importanti»,{20} è l’effetto di un insieme di forze che lo producono senza mai localizzarlo esattamente.
Il quadro delineato da Foucault durante la metà degli anni Settanta appare dunque molto chiaro, ma egli non sembra mai volerlo considerare definitivo. Dopo la pubblicazione di La volonté de savoir (il primo volume di un ampio progetto che, come noto, egli non riuscì mai a completare nella sua interezza, l’Historie de la sexualité) si assiste a un silenzio editoriale che dura diversi anni e che impedisce al filosofo francese di lavorare ai rimanenti volumi.{21} In questi anni egli inizia a pensare la questione del potere non più a partire dalla natura “bellico-repressiva”, in cui esso è ancora caratterizzato dall’analisi dell’importanza della coercizione e del conflitto, ma dalla più ampia questione del “governo” e delle implicazioni suscitate da quest’ultimo, in quanto tecniche di gestione e regolazione della vita degli individui all’interno delle forme politiche.
Questo passaggio viene tuttavia compiuto con una certa gradualità. Il corso Il faut défendre la société, tenuto nel 1975-76 al Collège de France, è ancora in parte caratterizzato dall’analisi dell’importanza del conflitto, in cui il potere viene descritto come duplice meccanismo di repressione e di guerra. Se nel primo caso si ha a che fare con la trasposizione giuridica del binomio contratto/oppressione, e dunque sulla distinzione tra legale e illegale, nel secondo si ha una tensione radicata nel legame guerra/repressione, in cui le basi del potere si reggono sul rapporto tra lotta e oppressione. L’elemento “oppressivo” del potere incarnato nei rapporti disciplinari che descrivono nel complesso la società viene affiancato a una dimensione “giuridica” che per Foucault caratterizza sia la concezione marxista sia la concezione giuridica liberale, intendendo quest’ultima come quella dei philosophes del XVIII secolo.
In base all’impostazione giuridica il potere viene «considerato come un diritto di cui si sarebbe possessori alla maniera di un bene e che si potrebbe di conseguenza trasferire o alienare»,{22} e proprio a partire da un atto di cessione del potere si arriva alla teoria della sovranità, ciò che rappresentava il punto critico da cui egli era partito per costruire la sua “analitica” del potere. Ma una volta operata questa distinzione Foucault manifesta un’insoddisfazione sia per lo schema contrattualistico sia per lo schema repressivo: egli è ormai convinto che la nozione di repressione non sia sufficiente per descrivere e comprendere appieno i meccanismi del potere, così come non lo è quella di una sovranità che cala dall’alto sui soggetti sui quali viene esercitata.
Secondo Foucault il paradigma riguardante ciò che egli aveva definito “società disciplinare” era, infatti, insufficiente per comprendere fenomeni sociali e politici che andavano delineandosi a partire dal XVIII secolo in avanti. L’impasse teorica di cui è vittima Foucault nel pensare i rapporti di potere si risolve, allora, nello studio della sua natura in quanto pratica di governo.{23} Tale questione risulta, tuttavia, molto interessante nell’ensemble del pensiero foucaultiano poiché, come è più volte stato messo in evidenza, permette al filosofo francese di aprirsi la strada verso una concettualizzazione del potere diversa e, forse, anche più interessante: il problema del governo è infatti lo snodo concettuale che permette di articolare la dimensione del potere con quella del soggetto. Questo perché, da questo momento, si ha un passaggio da una genealogia del soggetto e dei poteri esercitati su di esso, a una genealogia delle pratiche e delle riflessioni che interessano il modo in cui si è potuto stabilire, all’interno della forma Stato, l’esercizio di una nuova dimensione del potere. Ciò che consente di collegare entrambi gli aspetti è la dimensione del governo e il quadro generale costituito dalla biopolitica.
L’analisi delle tecnologie di potere non rimane così più vincolata esclusivamente al funzionamento della logica disciplinare, che Foucault aveva descritto fino a quel momento attraverso la sua indefinita capacità di far presa e di esercitare un controllo costante sull’esistenza individuale, ma si estende anche a una diversa logica in grado di farsi carico del governo della vita dell’individuo. Infatti, con l’avvento della modernità, sottolinea Foucault, il modo in cui il potere viene pensato, organizzato, esercitato, non è più soltanto un riflesso di forme giuridiche e costituzionali: dietro a ciò si nasconde l’emergere di una dimensione ulteriore e ben nascosta dell’esercizio della potenza pubblica, dimensione che viene individuata nella connessione tra l’esercizio di governo e l’interesse che quest’ultimo nutre sulle vite di coloro su cui si esercita. La centralità della figura del Sovrano e, con essa, la questione della legittimità del suo potere (che, da una parte, viene accettata o giustificata e, dall’altra, messa in discussione attraverso una possibilità di contenerne o limitarne gli abusi) è il solo elemento attraverso il quale si è potuto pensare, organizzare e praticare il potere. Ed è proprio a causa di questa centralità, ribatte Foucault, che non si è posta sufficientemente l’attenzione nei confronti di una ben più complessa dimensione del potere, quella che riguarda il modo attraverso cui esso si è occupato e si è preso carico della gestione della vita degli individui e dei loro processi biologici.
Dunque si assiste alla genesi di un discorso sull’organizzazione dei poteri pubblici, nel quale ciò che si vuole mettere in evidenza non è più il tradizionale esercizio del potere nei suoi risvolti politici, costituzionali o “etici”, poiché ora l’attenzione è per gli aspetti in grado di rivelare una connessione tra l’esercizio di un certo tipo di potere, quello detenuto nell’esercizio di governo, e il modo in cui esso viene esteso a una dimensione vitale e biologica dell’individuo. Si viene così a dissolvere la fortuna delle matrici teoriche attraverso le quali viene tradizionalmente pensata la gestione del potere pubblico a partire dalla formazione dei moderni Stati europei, tanto nella forma dello Stato di diritto o nell’ottica dell’emergere dei diritti individuali, mediante cui si cerca di rintracciare gli abusi del potere e di contenerne l’espansione, quanto nell’ottica dell’assolutismo monarchico.
La questione del governo deve dunque essere analizzata come problema della presa in carico della vita da parte del potere. Tale passaggio si sviluppa quasi naturalmente dall’analisi delle trasformazioni delle tecniche di governo, in quanto tecniche di individuazione sui soggetti: le due nozioni sono strettamente connesse e si collocano come punto di congiunzione tra l’economico e il biologico, il politico e la sfera individuale. La questione del governo dei poteri assume, così, un ruolo sempre più rilevante nell’analisi del filosofo francese, tanto che l’intera riflessione sulla biopolitica sembra emergere come una continuazione quasi naturale del suo discorso sulla “soggettivazione”, in cui il potere, anziché semplicemente assoggettare l’individuo, produce soggettività.
Tuttavia, come per le riflessioni sul potere, anche la categoria rappresentata dalla biopolitica risente di una lenta e graduale elaborazione che Foucault compie solo in parte nelle pubblicazioni “ufficiali” e che trova spazio, invece, nei corsi al Collège de France durante la metà degli anni Settanta. Il discorso sulla “nascita” della biopolitica, prima che nel corso dal titolo omonimo, inizia infatti a prendere piede nelle pagine di La volonté de savoir dedicate alla riflessione sulla natura del potere, in un percorso che terminerà, e se ne vedrà il motivo, con le lezioni sul liberalismo.
In una prima fase della produzione foucaultiana sembra che di biopolitica si possa parlare in relazione a un discorso di individualizzazione e controllo dell’individuo a partire dal suo dressage, dal potenziamento delle sue attitudini, secondo la logica della disciplina individuale: «l’estorsione delle sue forze, la crescita parallela della sua utilità e della sua docilità [...] e, insieme, i meccanismi che servono [...] alla proliferazione dei processi biologici».{24} Tale dispositivo, nella sua azione congiunta al complesso apparato di controllo formato dalle discipline del corpo e dell’anatomo-politica, si trova a essere un polo di congiunzione convergente nella strutturazione del campo di un potere generale sulla vita e rappresenta una direzione dei poteri che investono direttamente l’individuo, la quale sfocia nella tessitura di un vero e proprio sistema di quadrillage des corps et des comportements. Ma, allo stesso tempo, sottolinea Foucault, è possibile parlare di una biopolitica della popolazione, là dove, correlativamente alle tecnologie anatomo-politiche e individualizzanti del corpo umano, emerge lo sviluppo di una seconda “forma” di potere.
Se, da un lato, si ha un polo di sviluppo che coincide con l’esercizio di un potere come insieme di forze disciplinanti rivolte essenzialmente all’individuo (al suo corpo, alle sue possibilità, alla sua forza-lavoro), dall’altro si ha, invece, l’estensione di un potere sul corpo-specie che serve da supporto per i processi biologici. Tali forme di potere, scriveva Foucault, «costituiscono i due poli intorno ai quali si è sviluppata l’organizzazione di un potere sulla vita».{25} Ed è a questo periodo che risale la nota parafrasi tramite cui Foucault intende sottolineare le implicazioni politiche del passaggio dalle forme di governo moderno, incentrate sulla figura del sovrano assoluto, a quelle della “società mercantile”, progenitrice di quella che diverrà la società di mercato o la cosiddetta “società di massa” (anche se Foucault non usa mai queste espressioni, limitandosi a individuare quelle che chiama “tecnologie politiche moderne”, assimilabili alla nascita degli Stati costituzionali europei). Se, infatti, il potere del sovrano assoluto era quello di far morire o lasciar vivere, all’innovazione tipica e specifica degli Stati moderni segue una diversa e rinnovata razionalità politica basata sulla cura e sull’organizzazione delle forze sociali, economiche e biologiche della popolazione, la cui peculiare potenza consiste, piuttosto, nella possibilità di far vivere o lasciar morire.
Ne consegue che il quadro rappresentato dalla biopolitica non si esaurisce nella logica disciplinare, in un controllo del corpo o in un quadro distopico e tanatopolitico messo in atto dal governo sull’individuo; non coincide, detto in altri termini, con l’eugenetica e la “pulizia etnica” dello Stato nazista, né con la logica oppressiva dello Stato assoluto o con quella onnipervasiva messa in atto dallo Stato totalitario.{26} Esso è qualcosa di più complesso e profondo e consiste in una forma di controllo diversa, che si instaura a partire da una regolazione e da una funzionalità strutturale, da una cura dei processi biologici e delle loro regolarità, e da un complesso equilibrio generale che riguarda una popolazione.
Questo percorso ha inizio nel momento in cui il governo inizia a interessarsi, in un modo inedito e originale, alla popolazione, formando intorno a essa dei veri e propri dispositivi, termine usato da Foucault e ormai diventato il simbolo di un certo modo di analizzare i legami tra fenomeni sociali, politici e determinazioni soggettive.{27} Dunque, l’azione del governo avrà come oggetto un insieme definito di individui accomunati da una medesima localizzazione geografica e spesso anche culturale e, come strumenti, un complesso di tecniche che conducono a un’indefinita regolamentazione delle attività statali e delle corrispettive funzioni che esso dovrà esercitare sull’individuo.
Tale azione, non essendo più esclusivamente basata sul principio di sudditanza, avr...

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