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Come pensano le persone che cambiano il mondo (Breve storia del futuro)

Massimo Temporelli

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Come pensano le persone che cambiano il mondo (Breve storia del futuro)

Massimo Temporelli

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"Solo coloro che sono abbastanza folli da pensare di poter cambiare il mondo, alla fine, lo cambiano davvero." Questa frase rappresenta la perfetta sintesi del mondo dell'innovazione e di chi lo rappresenta.Spesso giovanissimi e impertinenti, in ogni campo del sapere, gli innovatori sono un perfetto mix di razionale luciditĂ  e folle lungimiranza. Nel campo della scienza e della tecnologia queste caratteristiche assumono connotati estremi e generano personalitĂ  capaci davvero di cambiare il corso delle storia.Questo libro racconta la loro storia e prova a tracciare il profilo di questi straordinari personaggi, da James Watt a Thomas Alva Edison, da Guglielmo Marconi fino a Steve Jobs.

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Informations

Éditeur
Hoepli
Année
2015
ISBN
9788820370183

Capitolo 1

L’ETÀ DEGLI INNOVATORI

I piĂč anziani fra noi hanno al massimo trent’anni: ci rimane dunque non piĂč di un decennio, per compier l’opera nostra. Quando avremo quarant’anni, altri uomini piĂč giovani e piĂč validi di noi ci gettino pure nel cestino, come manoscritti inutili. Noi lo desideriamo!
Il manifesto futurista, “Le Figaro”, 1909
Farsi crescere i baffi per camuffare la propria giovane età. Lo fece il venticinquenne Guglielmo Marconi all’inizio del Novecento, mentre si preparava a comunicare al mondo che la sua tecnologia senza fili (wireless) era pronta a unire il Vecchio con il Nuovo continente. E lo fece, alla fine degli anni Settanta, un altro venticinquenne, l’imprenditore Steven Jobs (detto Steve), in occasione della promozione commerciale del suo Apple II, primo vero personal computer della storia.
L’inaugurazione dei collegamenti radio transoceanici e la nascita dell’informatica moderna, due eventi destinati a segnare indissolubilmente il XX secolo, necessitavano di espressioni credibili e volti maturi da innovatori autorevoli e, così, i due giovanissimi inventori si prestarono al gioco, invecchiando, dietro baffi “posticci”, la propria immagine.
In fondo, si trattava di convincere l’intero pianeta di avere i “connotati” di chi puĂČ cambiare il corso della storia e spesso Ăš opinione comune che quei connotati corrispondano a quelli dell’esperienza e della maturitĂ  intellettuale.
Figura 1.1 – Guglielmo Marconi nel 1902 all’età di 27 anni con i suoi baffi da “adulto” (fonte: https://commons.wikimedia.org).
A ben pensarci, noi tutti abbiamo l’idea di una scienza e di una tecnologia che progrediscono grazie ai contributi di scienziati e di tecnici maturi e autorevoli. Se dovessimo scegliere un’immagine rappresentativa di uno scienziato o di un inventore, molto probabilmente sceglieremmo un signore attempato, in camice da laboratorio, con capelli bianchi (magari arruffati) e con grossi occhiali.
Per quanto caricaturale, questa idea ù molto diffusa e non regna solo nei romanzi e nei film di fantascienza, ma anche nell’iconografia che correda la narrazione della storia ufficiale dell’innovazione.
Facciamo una prova, partendo dal Web: interroghiamo Google Immagini, scrivendo il nome del primo scienziato o del primo inventore che ci salta in mente, per esempio, Albert Einstein, lo scienziato della teoria della relatività che all’inizio del Novecento sconvolse il pensiero scientifico occidentale. Ecco apparire sul nostro monitor capelli bianchi, baffi, rughe e sguardo da luminare.
Non basta? Proviamo con Isaac Newton e Galileo Galilei, gli scienziati padri fondatori della teoria gravitazionale, con Michael Faraday e James Clerk Maxwell, padri dell’elettromagnetismo o, infine, con Charles Darwin, il biologo e zoologo che formalizzĂČ la teoria della selezione naturale. In tutti questi casi, barbe, capelli bianchi e parrucconi da accademici fanno capolino sul nostro monitor.
Adesso proviamo a pescare anche nella magica scatola degli inventori. Scriviamo il nome di James Watt, l’inventore della prima macchina a vapore e padre della prima rivoluzione industriale, o quello dei piĂč contemporanei Antonio Meucci e Alexander Bell, inventori del telefono.
Il nostro monitor si riempirĂ  ancora una volta di stempiature, capelli bianchi, rughe e pose da luminari. Ma il Web non c’entra: il medium digitale, attraverso i suoi motori di ricerca, non fa altro che riproporre quello che giĂ  succedeva sulla carta stampata, mostrandoci l’idea predominante e piĂč diffusa che la nostra cultura ha della figura dello scienziato, dell’inventore e dei grandi innovatori della storia.
Tutte queste immagini, insomma, sembrano sottintendere e supportare la tesi secondo cui le scoperte della scienza e le conquiste della tecnologia siano state compiute solo da persone mature e da grandi luminari.
Nulla di piĂč sbagliato. In realtĂ , questo Ăš un grande e grave errore di percezione. Infatti, la maggior parte delle piĂč rivoluzionarie teorie scientifiche o delle piĂč importanti conquiste tecnologiche della storia sono state il frutto dei sogni visionari di giovani innovatori di etĂ  compresa tra i venti e i trent’anni. Menti giovani, traboccanti di energia che, senza timore reverenziale, non si accontentarono di assecondare le idee e le teorie in auge nella loro epoca, ma con azzardo provarono a immaginare nuove soluzioni per vecchi problemi.
Naturalmente, questo vale in moltissimi campi disciplinari, non solo in quello tecnologico o scientifico, come ha dimostrato in una bella ricerca di statistica, apparsa sul blog Che Futuro, l’amico economista Luciano Canova. L’articolo, per chi volesse cercarlo in rete, si intitola Scienziati, imprenditori, politici. Ecco lo studio che ci dice a che età si ù un genio. Anche in questa ricerca si dimostra come l’età degli innovatori sia davvero molto bassa, con una sola eccezione:
È facile notare come, per i politici (e non sorprende, data anche la complessitĂ  della questione ‘potere’), la produzione sia quella piĂč spalmata sull’intera distribuzione. Viceversa, scienziati, artisti e, soprattutto, imprenditori, mostrano una maggiore creativitĂ  da giovanissimi.
Insomma, dalla legge della giovinezza dell’innovazione non si salva nessuno se non la politica e non solo in Italia, ma torniamo alla scienza e alla tecnologia.
Solo per fare alcuni esempi, il giĂ  citato Albert Einstein (1879-1955) concepĂŹ e scrisse la sua teoria della relativitĂ  all’etĂ  di 25 anni, mentre Charles Darwin (1809-1882) formulĂČ la sua celebre teoria della selezione naturale addirittura all’etĂ  di 24 anni, anche se la pubblicĂČ trent’anni dopo (1859), ben conscio delle conseguenze che avrebbe avuto sul pensiero “creazionista” dell’epoca.
La stessa considerazione si puĂČ fare per i fisici Michael Faraday, James Klerk Maxwell, Heinrich R. Hertz e per molti altri grandissimi scienziati della storia. Nelle loro biografie scopriamo che la genesi delle idee piĂč rivoluzionarie della loro opera risale a quando ancora erano studenti o giovani dottorandi.
Tra i tecnologi e gli inventori, la media sembra addirittura abbassarsi. L’italiano Guglielmo Marconi, per esempio, inventĂČ la radio nel 1894, quando ancora non aveva compiuto 20 anni, mentre lo statunitense Philo Farnsworth, considerato l’inventore della televisione elettronica, immaginĂČ questa tecnologia mentre ancora era studente delle scuole superiori, costruendo il suo primo prototipo funzionante all’etĂ  di 20 anni.
Figura 1.2 – Steve Jobs nel 1982 all’età di 27 anni con i suoi baffi “da adulto”.
Lo stesso si puĂČ dire per i due pilastri della prima e della seconda rivoluzione industriale, citati in precedenza, rispettivamente James Watt e Thomas Alva Edison, che ottennero le loro prime importanti conquiste nel mondo del vapore e dell’elettricitĂ  mentre ancora erano giovani ventenni.
Anche le innovazioni piĂč recenti, legate alla rivoluzione digitale, che repentinamente stanno ridisegnando il nostro mondo, sembrano non sfuggire alla regola della giovinezza: Steve Jobs e Bill Gates avevano solo vent’anni quando fondarono, a metĂ  degli anni Settanta, rispettivamente Apple e Microsoft. Anche Google e Facebook hanno giovanissimi protagonisti: Larry Page e Sergey Brin hanno fondato Google durante la loro ricerca di tesi quando avevano 23 anni, mentre Mark Zuckerberg ha “acceso” il suo primo Facebook qualche mese prima di compierne 20.
Il primo tratto della figura dell’innovatore Ăš ora palesato: dobbiamo pensare a una persona giovane, anagraficamente giovane, perchĂ© quello Ăš il periodo della nostra vita dove Ăš piĂč facile partorire idee e teorie rivoluzionarie.
Manifesto del Futurismo
Riportiamo in questo box un documento storico per la cultura italiana, il Manifesto del Futurismo del 1909, apparso sul quotidiano “Le Figaro” di Parigi. Questo documento esalta con forza l’innovazione e l’audacia dei giovani nel pensare al futuro.
1. Noi vogliamo cantare l’amor del pericolo, l’abitudine all’energia e alla temerità.
2. Il coraggio, l’audacia, la ribellione, saranno elementi essenziali della nostra poesia.
3. La letteratura esaltĂČ fino ad oggi l’immobilitĂ  pensosa, l’estasi e il sonno. Noi vogliamo esaltare il movimento aggressivo, l’insonnia febbrile, il passo di corsa, il salto mortale, lo schiaffo ed il pugno.
4. Noi affermiamo che la magnificenza del mondo si Ăš arricchita di una bellezza nuova: la bellezza della velocitĂ . Un automobile da corsa col suo cofano adorno di grossi tubi simili a serpenti dall’alito esplosivo
 un automobile ruggente, che sembra correre sulla mitraglia, Ăš piĂč bello della Vittoria di Samotracia.
5. Noi vogliamo inneggiare all’uomo che tiene il volante, la cui asta ideale attraversa la Terra, lanciata a corsa, essa pure, sul circuito della sua orbita.
6. Bisogna che il poeta si prodighi, con ardore, sfarzo e munificenza, per aumentare l’entusiastico fervore degli elementi primordiali.
7. Non v’ù piĂč bellezza, se non nella lotta. Nessuna opera che non abbia un carattere aggressivo puĂČ essere un capolavoro. La poesia deve essere concepita come un violento assalto contro le forze ignote, per ridurle a prostrarsi davanti all’uomo.
8. Noi siamo sul promontorio estremo dei secoli!
 PerchĂ© dovremmo guardarci alle spalle, se vogliamo sfondare le misteriose porte dell’Impossibile? Il Tempo e lo Spazio morirono ieri. Noi viviamo giĂ  nell’assoluto, poichĂ© abbiamo giĂ  creata l’eterna velocitĂ  onnipresente.
9. Noi vogliamo glorificare la guerra - sola igiene del mondo - il militarismo, il patriottismo, il gesto distruttore dei libertari, le belle idee per cui si muore e il disprezzo della donna.
10. Noi vogliamo distruggere i musei, le biblioteche, le accademie d’ogni specie, e combattere contro il moralismo, il femminismo e contro ogni viltà opportunistica o utilitaria.
11. Noi canteremo le grandi folle agitate dal lavoro, dal piacere o dalla sommossa: canteremo le maree multicolori o polifoniche delle rivoluzioni nelle capitali moderne; canteremo il vibrante fervore notturno degli arsenali e dei cantieri incendiati da violente lune elettriche; le stazioni ingorde, divoratrici di serpi che fumano; le officine appese alle nuvole pei contorti fili dei loro fumi; i ponti simili a ginnasti giganti che scavalcano i fiumi, balenanti al sole con un luccichio di coltelli; i piroscafi avventurosi che fiutano l’orizzonte, le locomotive dall’ampio petto, che scalpitano sulle rotaie, come enormi cavalli d’acciaio imbrigliati di tubi, e il volo scivolante degli aeroplani, la cui elica garrisce al vento come una bandiera e sembra applaudire come una folla entusiasta.
È dall’Italia, che noi lanciamo pel mondo questo nostro manifesto di violenza travolgente e incendiaria, col quale fondiamo oggi il «Futurismo», perchĂ© vogliamo liberare questo paese dalla sua fetida cancrena di professori, d’archeologhi, di ciceroni e d’antiquarii.
Già per troppo tempo l’Italia ù stata un mercato di rigattieri. Noi vogliamo liberarla dagl’innumerevoli musei che la coprono tutta di cimiteri innumerevoli.
Musei: cimiteri!
 Identici, veramente, per la sinistra promiscuità di tanti corpi che non si conoscono. Musei: dormitori pubblici in cui si riposa per sempre accanto ad esseri odiati o ignoti! Musei: assurdi macelli di pittori e scultori che varino trucidandosi ferocemente a colpi di colori e di linee, lungo le pareti contese!
Che ci si vada in pellegrinaggio, una volta all’anno, come si va al Camposanto nel giorno dei morti
 ve lo concedo. Che una volta all’anno sia deposto un omaggio di fiori davanti alla Gioconda, ve lo concedo
 Ma non ammetto che si conducano quotidianamente a passeggio per i musei le nostre tristezze, il nostro fragile coraggio, la nostra morbosa inquietudine. PerchĂ© volersi avvelenare? PerchĂ© volere imputridire?
E che mai si puĂČ vedere, in un vecchio quadro, se non la faticosa contorsione dell’artista, che si sforzĂČ di infrangere le insuperabili barriere opposte al desiderio di esprimere interamente il suo sogno?
 Ammirare un quadro antico equivale a versare la nostra sensibilitĂ  in un’urna funeraria, invece di proiettarla lontano, in violenti getti di creazione e di azione. Volete dunque sprecare tutte le forze migliori, in questa eterna ed inutile ammirazione del passato, da cui uscite fatalmente esausti, diminuiti e calpesti?
In veritĂ  io vi dichiaro che la frequentazione quotidiana dei musei, delle biblioteche e delle accademie (cimiteri di sforzi vani, calvarii di sogni crocifissi, registri di slanci troncati!
 ) Ăš, per gli artisti, altrettanto dannosa che la tutela prolungata dei parenti per certi giovani ebbri del loro ingegno e della loro volontĂ  ambiziosa. Per i moribondi, per gl’infermi, pei prigionieri, sia pure: l’ammirabile passato Ăš forse un balsamo ai loro mali, poichĂ© per essi l’avvenire Ăš sbarrato
 Ma noi non vogliamo piĂč saperne, del passato, noi, giovani e forti futuristi!
E vengano dunque, gli allegri incendiarii dalle dita carbonizzate! Eccoli! Eccoli!
 Suvvia! date fuoco agli scaffali delle biblioteche!
 Sviate il corso dei canali, per inondare i musei!
 Oh, la gioia di veder galleggiare alla deriva, lacere e stinte su quelle acque, le vecchie tele gloriose!
 Impugnate i picconi, le scuri, i martelli e demolite senza pietà le città venerate!
I piĂč anziani fra noi, hanno trent’anni: ci rimane dunque almeno un decennio, per compier l’opera nostra. Quando avremo quarant’anni, altri uomini piĂč giovani e piĂč validi di noi, ci gettino pure nel cestino, come manoscritti inutili. Noi lo desideriamo!
Verranno contro di noi, i nostri successori; verranno di lontano, da ogni parte, danzando su la cadenza alata dei loro primi canti, protendendo dita adunche di predatori, e fiutand...

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