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La misura e il senso di giustizia
Le tre ragioni del fascino della misura
Per lavoro viaggio molto e, quasi sempre, in aereo. Se posso, come i bambini, mi metto vicino al finestrino, soprattutto nei viaggi di una-due ore e di giorno. E, anche se mi ripropongo di leggere e lavorare durante il volo, finisco per passare tutto il tempo in cui non sonnecchio a guardare giĂč, cercando di riconoscere montagne, vallate, coste. Osservo in poco tempo â specie nella rotta dalla mia Milano verso Bruxelles o Parigi o Berlino â il passaggio dalla Pianura Padana alle cime emozionanti e innevate delle Alpi, che mi ricordano i giorni sereni delle estati con la mia famiglia (quattro donne!) a Gressoney, ai piedi del magnifico Monte Rosa, fino alle pianure del Nord Europa.
Una sensazione simile al guardare dal finestrino dellâaereo in una giornata limpida Ăš quella che proviamo quando sfogliamo un atlante o facciamo ruotare lentamente su se stesso un mappamondo: ci sembra di dominare lo spazio che osserviamo e di poterci muovere in esso, anzi, sopra di esso, con una libertĂ totale. Mentre scorriamo con gli occhi e forse con il dito la mappa, lo sguardo riesce a cogliere finalmente lâinterezza delle forme del territorio, i rapporti tra le vere grandezze di regioni, paesi, continenti diversi; lâenormitĂ degli oceani, dei territori ghiacciati ai poli, la regolaritĂ delle catene montuose che spezzano pianure a volte sconfinate. Unâaltra esperienza analoga ci viene da strumenti incredibili, come Google Maps (Street View, Earth ecc.), che ci portano a velocitĂ iperbolica da quote elevatissime sul livello del mare fino a trovarci in strada con le persone, le biciclette, le auto, o in percorsi lunghissimi e semideserti in mezzo agli Stati Uniti o in circumnavigazioni con viste mozzafiato lungo le coste di unâisoletta minore nel Pacifico, che rimarrebbero altrimenti sconosciute.
Il piacere e, allo stesso tempo, la vertigine che derivano dalla possibilitĂ di esplorare lo spazio (e intendo non solo in orizzontale, spostandosi da qua a lĂ , in due dimensioni, ma anche in verticale, spostando lo sguardo dal particolare in basso alla comprensione del territorio dallâalto), quel piacere e quella vertigine â dicevo â sono il primo passo, spontaneo, verso il fascino della misura.
Potremmo dire che la misura crea ordine. Anche nei rapporti umani, una valutazione corretta basata sullâosservazione dei comportamenti permette di definire in modo piĂč veritiero i rapporti di grandezza tra le âregioniâ delle nostre relazioni, ristabilendo una gerarchia tra di esse.
Un secondo motivo di fascino che il misurare esercita sugli uomini Ăš legato al portafogli. Dare un valore alle cose â al di lĂ del cosiddetto valore affettivo â dipende da due fattori: di che cosâĂš fatta (o quanto Ăš utile o bella) la cosa che considero e âquantaâ ne considero. Per esempio, un campo nella campagna lungo le sponde del Nilo valeva in funzione della sua fertilitĂ , ma ovviamente anche della sua estensione. E, ogni volta che â a metĂ luglio, cioĂš allâinizio dellâanno egizio e del periodo di Akhet â il grande fiume esondava, esso cancellava tutti i confini delle proprietĂ terriere ed era quindi necessario misurare in anticipo i terreni per ristabilire lâordine al ritirarsi delle acque, a metĂ novembre, quando iniziava la stagione chiamata Peret, in cui i contadini iniziavano il lavoro nei campi resi fertili dal limo. Ă proprio da qui che nasce la âgeo-metriaâ, cioĂš il modo di misurare la terra (non nel senso del pianeta, ma letteralmente della grandezza dei campi).
Ovviamente, agli inizi (e in veritĂ per lungo tempo) le misure furono basate su âcampioniâ di riferimento non molto precisi, come la lunghezza di un piede, lâampiezza di un palmo della mano, lâavambraccio del faraone (il âcubitoâ), ma si trattava comunque di un buon inizio. CiĂČ che mancava era una caratteristica piuttosto importante della misura: la riproducibilitĂ . Riferirsi a parametri antropometrici come quelli elencati introduceva una certa variabilitĂ nel valore misurato. Ecco perchĂ© dalla rivoluzione scientifica in poi, invece, quando si parla di campioni di riferimento, si elencano con minuzia tutte le condizioni in cui viene definito il valore della sua misura (per esempio, la caloria Ăš la quantitĂ di calore necessaria a innalzare di un grado, ed esattamente da 14,5 °C a 15,5 °C la temperatura di un grammo di acqua distillata alla pressione di 1 atmosfera). Una delle prime cose che i genitori insegnano ai figli, quando fanno la spesa, Ăš di guardare il prezzo unitario (euro al kilo, al pezzo, al litro), normalmente scritto in piccolo sul cartellino, per comprendere quale sia il prodotto piĂč conveniente e non farsi ingannare dal prezzo finale della confezione, magari abbagliati da qualche fantomatica promozione.
La misura crea valore. Misurare correttamente ci permette, nei rapporti con gli altri, di mantenere il valore delle cose in unâottica oggettiva, serena e conveniente, non di emotivo attaccamento a esse, nĂ© piegandoci a parametri di riferimento imposti da altri.
Il terzo motivo di fascino della misura Ăš che essa permette di valutare le differenze in modo oggettivo e difendibile, proteggendoci dalle false impressioni (quanto ci servirebbe usare questo fantastico metodo nellâera delle fake news!). Quella di misurare prima di decidere o di giudicare, sfortunatamente, nella vita quotidiana non Ăš unâabitudine.
La misura crea rapporti. Ci sono campi delle attivitĂ umane in cui un supplemento di misura sarebbe di grande giovamento (come, per esempio, la medicina, lâeconomia e il management). Nelle relazioni quotidiane la contezza dei fatti sarebbe utile per mantenere buoni rapporti (o cattivi, ma a ragion veduta e non sulla base di mere impressioni o emotivitĂ ).
PerchĂ© allora la misura il piĂč possibile oggettiva non Ăš il mezzo piĂč diffuso alla base del nostro agire, anche e soprattutto nei rapporti con gli altri?
Ma che cosa sto misurando?
Il problema sta nella scelta del modo di misurare. Partiamo mettendo ordine nei ruoli dei quattro grandi protagonisti: lâosservatore (colui che misura), lâosservato (la cosa o la persona misurata), il âmediatoreâ (ciĂČ che permette allâosservatore di interagire con lâosservato per misurarlo) e lâunitĂ di riferimento (o unitĂ di misura).
Facciamo subito un esempio. Il piccolo Antonio, un paffuto bimbetto di nove anni, da quando Ăš tornato da scuola pare un poâ in tono minore. La nonna, osservandolo, afferma âstarĂ covando qualcosa!â; la mamma, che si fida del giudizio della nonna, misura la temperatura âallâanticaâ, mettendo la sua mano sulla fronte del bimbo, concludendo che âperĂČ Ăš frescoâ. La nonna, con la stessa operazione, deduce che âil bimbo Ăš caldoâ. Ora, la sensazione di caldo o freddo sui palmi delle mani di mamma e nonna (gli strumenti degli osservatori) dipendono dalla differenza di temperatura tra la fronte di Antonio (lâosservato) e le loro mani, che a sua volta, Ăš la causa del passaggio di calore dalla fronte alle mani (il calore Ăš il mediatore). Da qui la differenza di opinione tra le due: probabilmente la nonna aveva le mani piĂč fredde di quelle della mamma. Saggiamente, il papĂ di Antonio interviene con un termometro che, posto sotto lâascella del bimbo, rileva il cambiamento di temperatura in modo univoco, riflettendolo nella dilatazione del liquido colorato nel tubo capillare e indicando con oggettivitĂ la temperatura corporea in unâunitĂ di misura nota (i gradi centigradi).
Un giudizio oggettivo si basa su dati oggettivi e condivisibili. Le sensazioni derivano certamente da ciĂČ che osserviamo, ma anche dal nostro stato di osservatori, di cui spesso non abbiamo piena consapevolezza.
Fin qui, Ăš vita vissuta. Ma Ăš interessante notare un aspetto su cui, quasi certamente, non abbiamo riflettuto spesso: la mano della mamma o della nonna, la cui estensione e la cui massa sono simili a quelle della fronte del bambino, possono effettivamente cambiare la temperatura della fronte stessa, falsando la misura. Il termometro, invece, ha capacitĂ termica (la capacitĂ di assorbire o cedere calore variando di poco la propria temperatura) molto bassa rispetto a quella della fronte e, di conseguenza, subirĂ la variazione di temperatura senza influenzare la temperatura della fronte, effettuando una misura ânon invasivaâ e âtrasparenteâ per il soggetto osservato. Ovviamente, se usassimo lo stesso termometro per misurare la temperatura di una formica, le cui dimensioni (e la cui capacitĂ termica) sono molto inferiori a quelle del termometro, influenzeremmo con la misura la reale temperatura della formica, falsando il risultato.
Quando vogliamo osservare o misurare qualche parametro che consideriamo importante nei rapporti con gli altri, dobbiamo porci il problema del modo in cui lo facciamo. Un metodo non adeguato per esempio troppo invasivo o troppo remissivo, potrebbe perturbare quanto vorremmo dire o sapere, falsando lâinformazione scambiata.
La misura come metodo di giudizio
Per un motivo o per lâaltro, tutti siamo abituati a comunicare misure: âButta 2 etti di pastaâ, âCi vediamo tra 20 minutiâ, âIl negozio dista 3 chilometri da casa miaâ⊠Misurare Ăš una parte importante della nostra comunicazione con gli altri e dei nostri criteri decisionali. Un concetto importante in questo contesto Ăš quello dellâunitĂ di misura, che deve essere nota e condivisa. Misurare significa confrontare lâosservazione di una grandezza con un campione di riferimento: il numero che mettiamo davanti Ăš semplicemente il rapporto tra ciĂČ che osserviamo e quellâunitĂ , ma questo lo sappiamo dalla scuola elementare. Il problema Ăš che, in alcuni casi, si dĂ per scontato che lâunitĂ di riferimento sia la stessa, mentre non lo Ăš. Pensiamo alla valutazione dei collaboratori sul posto di lavoro. Nelle aziende, gli specialisti delle Risorse Umane si fanno in quattro per definire griglie di valutazione, sistemi di benchmarking, criteri di stratificazione dei potenziali degli impiegati. Dallâaltra parte, i capi e i capetti â spesso ignari di questo immane (e talvolta un poâ oscuro) sforzo delle Risorse Umane â, per valutare differenze e prendere decisioni in modo affidabile utilizzano il riferimento a essi piĂč noto: se stessi. Questo, per quanto comprensibile e talvolta accettabile come prima approssimazione, rischia di portare a conseguenze nefaste e di diminuire di gran lunga lâesercizio di un giudizio giusto.
Vediamo che cosa ha da dirci in merito lâapparato matematico che usano i fisici.
Il metodo che i matematici e i fisici usano per misurare Ăš quello di definire una âmetricaâ. Una metrica ci serve a calcolare quanto due oggetti sono âdistantiâ. In pratica, la metrica Ăš la procedura di calcolo per misurare la distanza.
Esistono vari tipi di metriche. Vediamo due esempi particolarmente interessanti: la âmetrica euclideaâ, che â coscientemente o no â usiamo continuamente, e la bizzarra âmetrica discretaâ, che modellizza bene i capi un poâ autocentrati di cui abbiamo appena parlato.
La metrica euclidea Ăš quella che normalmente usiamo e a cui siamo abituati per misurare le distanze nel nostro ambiente di vita. Nella metrica euclidea, un oggetto dista zero solo da se stesso, mentre gli altri oggetti hanno distanze diverse da esso, realmente proporzionali a quanto sono lontani nello spazio (figura 1.1).
Figura 1.1 â Particolari con Pitagora ed Euclide nella Scuola di Atene (1509-1511) di Raffaello Sanzio.
La metrica euclidea si basa sul noto Teorema di Pitagora, che afferma che il lato obliquo (ipotenusa) di un triangolo rettangolo si ottiene sommando i quadrati dei lati perpendicolari (cateti) ed estraendo poi la radice quadrata della somma ottenuta.
Prendiamo lâesempio della figura 1.2 seguente e calcoliamo, usando il Teorema di Pitagora, le distanze AB e AC:
Figura 1.2 â La distanza nella âmetrica euclideaâ Ăš quella a cui siamo abituati.
Osservando la figura e facendo i conti otteniamo:
Quindi, rispetto...