DallâIlluminismo al presente
10. Nostalgia del Secolo dâOro, rinascita nazionale e modernitĂ
âEro soltanto un commerciante; non pensiate perĂČ che io disdegnassi il mio mestiere; nessunâaltro al mondo Ăš altrettanto utile! â un uomo che deve intendersene di un poâ di tutto e di un poâ di tutti â un uomo che deve avere coraggio per imprese di ogni tipo; coraggio in guerra, in mare e in terra, come se ne andasse dei suoi stessi interessi â un uomo che deve avere il senso della scienza e delle arti, per restare al pari dei propri concorrenti e al corrente della propria epoca, â in una sola parola, un commerciante come lo ero io, â soltanto un commerciante, ripeto. Ma non mi trovavo forse io, raggiunto il sommo sviluppo del mio carattere, esposto alla peggiore degenerazione della mia indole? â Il benessere indebolisce, rammollisce, evira, Jan Salie Ăš figlio della mia abbondanza! Come posso lamentarmene, io che non dovrei accusare che me stesso! Invece dello spirito elevato e nobile che mi aveva animato nei giorni della mia crescita, mi ritrovavo preda dellâannichilimento della ragione e dellâindifferenza del cuore tipici dellâarricchito! Superbo e viziato, arrogante e fiacco, ecco cosa sono diventato!â
Nel passaggio in questione, tratto dal racconto Jan, Jannetje e il loro figlio piĂč piccolo (Jan, Jannetje en hun jongste kind) di Everhardus Potgieter, uno dei protagonisti della vita culturale olandese a partire dagli anni Trenta dellâOttocento, a esprimersi Ăš Jan sr., personificazione della gloria politica, economica e artistica dei Paesi Bassi. Laddove il padre si Ăš sempre distinto per amore della libertĂ e spirito dâintraprendenza, il giovane figlio Jan Salie, passivo e compiaciuto di sĂ©, ne rappresenta lâesatto opposto, simboleggiando cosĂŹ la decadenza in cui i Paesi Bassi sono piombati una volta esauritisi i fasti e il prestigio del Secolo dâOro. La citazione, cosĂŹ come lâintero testo da cui proviene, puĂČ essere considerata come un apologo, volto a denunciare il grigiore e la mancanza di vitalitĂ della societĂ olandese e, allo stesso tempo, a proporre una strategia di rilancio nazionale. Il testo Ăš ovviamente prima di tutto espressione delle riflessioni e delle aspirazioni del gruppo di giovani intellettuali riformatori che tennero a battesimo la celebre rivista mensile De Gids (La Guida), apparsa per la prima volta nel 1837 e in cui il racconto di Potgieter uscĂŹ nel 1842. Ma Ăš anche un racconto in cui riecheggia un doppio movimento, di nostalgia per un passato perduto da un lato e di aspirazione a un nuovo slancio dallâaltro. Doppio movimento che era diventato da oltre un secolo una costante del dibattito pubblico olandese e che, benchĂ© destinato a rimanere in buona parte frustrato, era entrato â ed era destinato a restare in qualche misura fino a oggi â al cuore del âracconto nazionaleâ dei Paesi Bassi.
Da questo punto di vista, puĂČ ben dirsi che la fine del Secolo dâOro era stata vissuta dalla societĂ della Repubblica delle Province Unite come un vero e proprio trauma. Due momenti appaiono particolarmente significativi. Innanzi tutto, il 1672, lâannus horribilis in cui le Province si erano ritrovate sotto attacco da parte delle truppe provenienti dalla Francia, dallâInghilterra e dai principati vescovili di Colonia e MĂŒnster. Il linciaggio del Gran Pensionario Johan de Witt e del fratello Cornelis e il ritorno al potere degli Orange nella persona dello statolder Guglielmo III, che occupava al contempo il trono inglese, misero i Paesi Bassi in condizione di mantenere la propria conformazione territoriale, compresa la roccaforte militare di Maastricht, tanto agognata da Luigi XIV. Tuttavia il Paese non si riprese mai del tutto dai costi sostenuti per lo sforzo bellico e, soprattutto, dalle relative ricadute in termini di limitazione delle attivitĂ commerciali. La perdita della supremazia commerciale della Repubblica venne annunciata nel 1713 con la stipula del Trattato di Utrecht che mise fine alla Guerra di Successione Spagnola. BenchĂ© parte della coalizione inglese uscita vincitrice dal conflitto, i Paesi Bassi riuscirono soprattutto a rafforzare militarmente i propri confini europei, ma a un costo finanziario enorme che lasciĂČ il Paese sullâorlo della bancarotta. Sul piano internazionale, inoltre, fu soprattutto lâInghilterra ad affermarsi quale indiscussa potenza marittima, con unâinversione di ruoli con la Repubblica che sarĂ poi definitivamente sancita nel 1784, alla conclusione della cosiddetta Quarta guerra anglo-olandese, con lâattribuzione allâInghilterra del monopolio sul commercio internazionale delle spezie.
Il rafforzamento militare interno e la perdita di prestigio internazionale furono origine e al tempo stesso sintomo di un ripiegamento su se stessa della Repubblica, che caratterizzĂČ in buona parte la vita politica e culturale del Paese per tutto il Settecento. In questo contesto Ăš indubbiamente vero che lâesplosione del numero di pubblicazioni a stampa di cui diede prova la Repubblica nel Seicento, in parte sfruttando anche la sua relativa tolleranza di fronte alla censura dei Paesi circostanti, non si riprodusse nel secolo successivo, stagnando grosso modo agli stessi livelli, per quanto di per sĂ© giĂ rimarchevoli. Tale ripiegamento non deve perĂČ intendersi quale chiusura a tutte le influenze esterne, ma piuttosto come un degradarsi dellâautoimmagine del proprio peso politico e culturale, pessimista sul piano interno ma proprio per questo fruttuoso in termini di ricettivitĂ alle influenze esterne. La trasformazione da potenza degli oceani a realtĂ economica e culturale europea di medie dimensioni rese quindi comunque possibile una modernizzazione e un ripensamento dellâidentitĂ nazionale olandese. Due in particolare furono gli effetti di questa evoluzione. In primo luogo, un lento spostamento di quelle che potremmo definire gerarchie testuali, con il lento avanzamento della prosa sui generi tradizionali della poesia e del teatro. Successivamente, le tradizionali linee di frattura della vita politica olandese, pur restando ben presenti, vennero modificate dallâimportazione di nuove idee âdemocraticheâ in cui erano soprattutto â ma non esclusivamente â gli input dellâIlluminismo francese a farsi sentire.
Top 10
Negli ultimi centâanni di esistenza del vecchio Teatro (Schouwburg) di Amsterdam, fino a quando non bruciĂČ nel 1772, a dominare le scene fu la teoria classicista, una serie di regole che significativamente venivano dette âleggi teatraliâ. Ferma restando la teoria, Ăš tuttavia legittimo domandarsi fino a che punto quelle leggi avessero un influsso sulla pratica rappresentativa e sul repertorio. Prenderemo come caso di studio la top 10 delle tragedie messe in scena allo Schouwburg almeno una volta allâanno tra il 1700 e il 1772.
Colpisce innanzi tutto il fatto che sei su dieci abbiano debuttato tra 1638 e 1668, tre tra 1683 e 1701 e una soltanto nel 1714: evidentemente il rinnovamento del repertorio era cosa tuttâaltro che semplice e la maggior parte dei drammi âmoderniâ â modellati cioĂš in senso classicista â non fece davvero concorrenza al repertorio noto. La pratica resisteva alla teoria, per tanti motivi.
La regola dellâunitĂ di luogo implicava che al pubblico venisse offerta poca varietĂ visuale: idealmente, quel pubblico avrebbe dovuto guardare per tutti e cinque gli atti la stessa scenografia. Tuttavia, giĂ alla fine del Seicento i classicisti dovettero constatare che âla maggior parte degli spettatori trae diletto da scenari differentiâ. Si pensĂČ quindi a dei sotterfugi: unâopera teatrale, si ragionava, puĂČ anche svolgersi in piĂč luoghi, purchĂ© tra loro vicini, ad esempio il primo atto in una casa, il secondo nel giardino sul retro e il terzo dai vicini. Nelle tragedie settecentesche troviamo spesso questââunitĂ di luogo per attoâ, che rende possibile la sostituzione delle scenografie tra un atto e lâaltro.
Nemmeno le regole del decoro, che prescrivevano cosa si poteva e non si poteva mettere in scena, vennero rispettate pedissequamente. Il divieto di mostrare atti di violenza creava difficoltĂ , trattandosi di scene accattivanti, capaci di attirare il pubblico. Per questo si escogitĂČ una soluzione, unica nel panorama europeo: il tableau vivant, chiamato anche rappresentazione muta, allestito tra un atto e lâaltro, talvolta perfino allâinterno di uno stesso atto. Celebre Ăš quello dellâassassinio delle Clarisse nel Gysbreght van Aemstel (1637) di Vondel, fino a inizio Ottocento elemento imprescindibile della messinscena. Anche le due tragedie piĂč popolari di materia storico-patriottica â Assedio e liberazione della cittĂ di Leida (Beleg en ontzet der stad Leiden, 1645) di Reinier Bontius e La morte dei conti Egmond e Hoorne (De dood van de graven Egmond en Hoorne, 1685) di Thomas Asselijn â prevedevano piĂč di un tableau vivant. In quella di Bontius si assisteva alla scena agghiacciante di uno Spagnolo che gettava nel fuoco un bambino in fasce, mentre il dramma di Asselijn si chiudeva mostrando le teste mozzate dei nobili Egmond e Hoorne, infilzate su una picca. Decine e decine sono i tableaux a noi noti, non sempre cosĂŹ terrificanti, pensati dai drammaturghi stessi o, piĂč spesso, aggiunti in un secondo momento da altri poeti, dagli allestitori o dagli attori.
Câerano poi le tragedie con marchingegni di ogni tipo, un genere che non rispondeva minimamente alle leggi classiciste, poichĂ© vi comparivano maghi, spiriti e divinitĂ . Era il caso degli Incanti di Armida (Toverijen van Armida, 1695) di Adriaan Peys, che presentava altri elementi contrastanti con le âleggi teatraliâ, come animali parlanti in scena. Altre opere di gran successo hanno unâorigine prettamente non classicista, come La donna incoronata dopo la morte (De gekroonde na haar dood, 1701), Don Luis de Vargas (1668) e Sigismondo (Sigismundus, 1647), in origine comedias spagnole. Per quanto nel corso del secolo si cercasse di adattarle il piĂč possibile al corsetto normativo, âspagnoloâ rimase sinonimo di irregolare, non in linea con le leggi del teatro, come nel caso de Lâinvidia mortale dâamore (De doodelijke minnenyd, 1714) di Willem van der Hoeven. Alla top 10 appartiene anche Aran e Tito (Aran en Titus, 1641) di Jan Vos, sanguinoso dramma della vendetta e obiettivo privilegiato degli strali della critica classicista che lo bollava come blasfemo, indisciplinato e âdeliranteâ.
Solo unâopera della top 10, che poteva misurarsi con le altre quanto a popolaritĂ , veniva giudicata allâepoca rispondente alle regole classiciste: Il Cid di Corneille. Ma in Olanda si ebbe lâardire di allestire dei tableaux vivants anche per Il Cid...
La rivalutazione della prosa si espresse sia sul piano letterario che su quello giornalistico, due livelli non sempre chiaramente distinti. Con il Settecento fecero infatti il loro ingresso nel panorama culturale della Repubblica nuove riviste e nuove forme di sociabilitĂ culturale. Le prime furono spesso modellate sullâesempio dei periodici spettatoriali inglesi, di cui The Tatler (1709-1711) e The Spectator (1711-1712) restano le manifestazioni piĂč note. Esempi di breve durata, certo, ma che non mancarono di generare numerosi epigoni sia in patria che oltremanica. A farsi carico di importare questa nuova forma di espressione nei Paesi Bassi fu, tra gli altri, Justus van Effen che intitolĂČ programmaticamente il suo periodico piĂč noto Hollandsche Spectator (Spettatore Olandese). Per quanto di esistenza non molto piĂč lunga dei modelli inglesi (1731-1735), lo Spectator di Van Effen ben mostra alcuni sviluppi interessanti che si consolideranno ulteriormente a partire dalla metĂ del secolo.
Va precisato innanzi tutto che la pubblicazione e tutti i contributi in essa contenuti apparivano in forma anonima, a firma spesso di personaggi fittizi quali Il Filosofo o Il Patriota, dietro ai quali si celava di solito lo stesso Van Effen. Il carattere spettatoriale della pubblicazione risiedeva poi nella sua vocazione moralistica, vale a dire di osservatore dei mores della societĂ (borghese) neerlandese e di segnalazione dei vizi da correggere. Due principi si impongono come necessari agli occhi di Van Effen, sia a livello morale che sul piano prettamente stilistico:
Per prima caso vigilerĂČ ad evitare i periodi allungati, nei quali si Ăš soliti, alla maniera latina, porre alla fine il verbo da cui dipende lâintera frase; [âŠ] Per chiarezza, inoltre, rinuncerĂČ accuratamente alle parentesi o agli incisi troppo lunghi che in alcuni dei nostri scrittori, [âŠ] racchiudono a loro volta altre incidentali, provocando inevitabilmente confusione nel pensiero del lettore e costringendolo a rileggere piĂč volte la medesima frase. [âŠ] Essendo mio obiettivo procurare diletto e utilitĂ ai miei concittadini, mi applicherĂČ particolarmente al perseguimento di comprensibilitĂ e chiarezza.
Da questi principi di chiarezza e comprensibilitĂ deriva una prosa leggera, con frasi relativamente brevi, pochi incisi e lâaspirazione â in gran parte non realizzata â a ridurre il numero di gallicismi, di uso crescente nella lingua neerlandese. Per il resto, cosĂŹ come i presunti autori dello Spectator erano protetti dallâanonimato, lo stesso accadeva anche con i soggetti delle loro critiche, che si rivolgevano alla fustigazione, spesso sotto forma di apologhi o di satire, dei vizi osservati nella societĂ , senza perĂČ mai lasciarsi andare ad attacchi ad personam. Interessante Ăš inoltre il modus operandi di Van Effen che, pur essendo un aristocratico, sceglie esplicitamente di rivolgersi ad un pubblico di estrazione media, frequentatore di caffĂš e societĂ , a cui desidera trasmettere nuovi valori, come tolleranza e fiducia nella ragione. Per farlo sceglie perĂČ non di addentrarsi in discussioni filosofiche astratte ma di presentare ai propri lettori casi specifici, a volte fittiziamente mascherati da lettere alla redazione, di cui il giornale espone poi in dettaglio i pro e i contro, secondo un approccio empirico figlio della Rivoluzione scientifica e dellâevoluzione filosofica che ne era seguita.
Va inoltre sottolineata la scelta di Van Effen di redigere lo Spectator in lingua neerlandese, in controtendenza rispetto agli inizi della propria attivitĂ di giornalista segnati, nel 1713, dalla fondazione del Journal LittĂ©raire de la Haye. In questo cambiamento si puĂČ scorgere tra lâaltro, sotto lâinflusso della tolleranza settecentesca e dellâIlluminismo, un segnale del rafforzamento di una proto-societĂ civile, fondata sullo scambio e sulla discussione delle idee, e della maturazione di una coscienza nazionale di cui la lingua, con le sue capacitĂ espressive, divenne una delle manifestazioni piĂč evidenti. Vi si puĂČ rintracciare anche lâaspirazione alla creazione di un compendio universalistico delle conoscenze disponibili sullâuomo e sulla societĂ , di cui lâEncyclopĂ©die di Diderot e dâAlembert diventerĂ , nella seconda metĂ del secolo, un esempio eloquente. Le due tendenze â nazionale ed enciclopedica â sono ben presenti nella realtĂ culturale settecentesca e non faranno che convergere ancor piĂč nei decenni a seguire. Unâevoluzione ben dimostrata dalla popolaritĂ della cosiddetta caratteriologia, antesignana degli studi etnografici e folkloristici, di cui il notaio, pastore e politico Wilhelm Antonie Ockerse con la sua Caratteriologia della storia patria (Characterkunde der Vaderlandsche geschiedenis, in tre parti uscite tra il 1788 e il 1797) puĂČ essere considerato il principale esponente. Il tono delle riflessioni di Ockerse resta di genere fortemente empiristico anche se lâautore rivendica il carattere amoralistico e oggettivo della propria ricerca. Obiettivo dichiarato Ăš quello di ricercar...