Capitolo IX
LâOriente
Lâuniverso non Ăš tenuto a essere bello, eppure lo Ăš.
(F. Cheng)
Inutile analizzare, pasticciare, rimediare mediante lâanalisi.
La sublime sintesi Ăš un regalo del caso, Ăš lâarmonia che ci deve essere.
(G. Parise)
9.1 La forma breve
Se Ăš vero che la visivitĂ risulta elemento distintivo per la pagina di reportage â come inviato, Parise si affida a uno sguardo il piĂč possibile depurato da residui ideologici â proprio in Oriente tale categoria sembra arricchirsi di elementi stilistici e metodologici, svelando âlâevidenza poetica della realtĂ , colta nel suo semplice mostrarsiâ.
Nellâautunno 1980 Parise si reca in Giappone su invito dellâambasciatore Boris Biancheri, e vi rimane per oltre un mese: gli articoli di corrispondenza appariranno sul âCorriere della Seraâ dal gennaio 1981 al febbraio 1982, per essere poi pubblicati da Mondadori nel novembre del 1982 in un volume corredato di storie illustrate, fotografie e dipinti dal titolo Lâeleganza Ăš frigida. Parise ha giĂ affinato, dalle esperienze precedenti, le sue capacitĂ di reporter e i suoi strumenti (lâocchio, la mente, il cuore). Il viaggio inizia con una dichiarazione di poetica valida per lâopera parisiana nel suo insieme: i sensi sono âil primo e sempre piĂč utile strumento di conoscenzaâ; poi, tra essi, che pure rimangono molto vivi in tutto il testo, si distingue quello della vista.
[âŠ] câerano assai pochi passanti che Marco naturalmente osservĂČ con attenzione: erano uomini, donne e bambini (scolari) dai tipici tratti giapponesi; alcuni dei quali mostravano negli occhi una grande attenzione e concentrazione. Lâespressione degli occhi tuttavia passava rapidamente attraverso due fasi: una di attenzione e unâaltra di stupore. Lâattenzione era attratta evidentemente dai propri pensieri mentre lo stupore, anche se minimo, lâaffare di un attimo, Marco lo attribuĂŹ alla propria persona che, anche dopo un secolo, costituiva una certa quale novitĂ per molti giapponesi. [âŠ] A Marco insomma parve di cogliere in quegli sguardi, del resto molto belli, e solo per fulminei istanti, la coscienza di una profonda diversitĂ .
O ancora:
Ma ciĂČ che colpĂŹ Marco sopra ogni cosa erano la gentilezza delle persone e lâinalterabilitĂ del loro volto che lasciava trasparire tuttavia lâemozione soltanto dagli occhi. âTutti gli occhi degli esseri umani traspaiono qualche cosa â si disse Marco â ma gli occhi dei giapponesi, che ho davanti ai miei, pure non facendo trasparire nulla, fanno sentire molte cose che si potrebbero riassumere in un solo sentimento: la timidezza infantileâ.
DallâOriente Parise impara un nuovo modo di posare lo sguardo, che non cerca lâanalisi ma solo la sintesi, perchĂ© âil Giappone non si presta allâanalisi ma quasi esclusivamente a una serie pressochĂ© infinita di elettroshock, di fulminee intuizioni, quello che i giapponesi chiamano satori, una specie di perdita di conoscenza, e niente altroâ. Da qui la critica allâImpero dei segni recensito nel 1984: secondo Parise, Barthes Ăš caduto nella trappola dellâanalisi, svuotando cosĂŹ di mistero ogni aspetto della cultura orientale, dallâhaiku alla confezione di pacchetti, allâinchino. Sebbene Barthes, in calce a una riflessione sullâhaiku, affermi che âle vie dellâinterpretazione non possono dunque che sciupare lo haiku: perchĂ© il lavoro di lettura che vi Ăš connesso Ăš quello di sospendere il linguaggio, non di provocarloâ, e piĂč avanti spieghi come lâhaiku non abbia alcuna finalitĂ letteraria, bensĂŹ faccia scomparire, al suo interno, le due funzioni fondamentali della nostra scrittura classica (la descrizione e la definizione), Parise afferma che il lettore dellâImpero dei segni viene ingannato da un labirinto concettuale che rischia di sfociare nel narcisismo. Il modello che vi oppone Ăš quello dellâEleganza Ăš frigida: proibendosi lâassuefazione alle abitudini visive e mantenendo sempre un altissimo livello di curiositĂ , lo sguardo si fa piĂč intimo e si abbandona allâintuito, che diviene in Oriente lo strumento di un giudizio liberato dal giudizio. Il reporter non cerca piĂč di comprendere, ma intuisce una grazia estetica che emerge nei momenti piĂč profondi del suo viaggio. A volte si rende conto di non poter fare piena esperienza di tale grazia, e prova rammarico per non aver studiato lo Zen al liceo, come scrive al professore di filosofia Giuseppe Faggin in una cartolina spedita da Kyoto. Non Ăš certo casuale che nellâEleganza Ăš frigida sia esplicitamente nominata lâopera di Eugen Herrigel, Lo Zen e il tiro con lâarco: da questo testo emerge, attraverso lâapprendistato di un occidentale (un professore tedesco di filosofia) alla disciplina del tiro con lâarco, lo stesso desiderio provato da Parise di liberarsi della speculazione, di superare la tecnica per far sĂŹ che diventi unâarte inappresa. La via Ăš quella di una diretta esperienza di ciĂČ che ânon puĂČ essere concepito intellettualmente, anzi non puĂČ essere afferrato e spiegato neppure dopo che se ne Ăš fatto esperienza, per quanto precisa e inoppugnabile: lo si conosce non conoscendoloâ. In questo senso, lâarco e la freccia dellâopera di Herrigel divengono nel viaggio di Parise gli occhi: la via verso un possibile approdo interiore, che, come lâarte, non conosce istruzioni o svelamenti. Come propone La Capria, il periodo tra gli anni Sessanta e Settanta fu per Parise âcome lâapprendistato del tiro dellâarco nella disciplina zenâ: attraverso lâOriente, il reporter dimentica la tecnica (o la interiorizza fino a farla rientrare in una zona inconscia) e, senza la presunzione di colpire il bersaglio, lascia partire la freccia, fino a centrare i Sillabari. Che davvero sembrano guidati da una âdistrazione zenâ (lâintuizione Ăš ancora di La Capria).
Dopo avere assimilato gli strumenti, Parise puĂČ riflettere sul viaggio stesso, come anticipa in una considerazione inserita nellâAvvertenza a Guerre politiche:
Scrivendo e pensando e guardando con enorme attenzione quello che lo circonda e talvolta, quasi sempre, soffrendo per lâimpossibilitĂ di mutarlo (le sole cose che sa veramente fare uno scrittore) lo scrittore che viaggia finisce per avere una sua idea di luoghi e persone diversi. Che analizza, con automatico piacere professionale, come insegnĂČ a fare allora Marco Polo, un grande fenomenologo ante litteram. La gioventĂč lo aiuta a guardare, perchĂ© lâocchio, la mente e il cuore sono forti e resistenti anche ai grandi dolori dellâumanitĂ . PiĂč avanti, nella maturitĂ , lo scrittore tende a riflettere e a ricordare e a vedere come si dice âin prospettiv...