Le smanie della villeggiatura
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Le smanie della villeggiatura

Carlo Goldoni

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Le smanie della villeggiatura

Carlo Goldoni

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Le smanie per la villeggiatura è un'opera teatrale in tre atti in prosa di Carlo Goldoni: scritta nel 1761 e rappresentata per la prima volta nel Teatro San Luca di Venezia durante l'autunno di quell'anno, costituisce la prima parte della cosiddetta Trilogia della villeggiatura.
La commedia non incontrò il favore del pubblico e fu replicata soltanto altre due volte.
Livorno. Tra ansie, gelosie, ripicche e arrabbiature, i preparativi per le vacanze a Montenero di alcuni borghesi che desiderano apparire agiati. Al centro della vicenda, la gelosia di Leonardo per la fidanzata Giacinta, corteggiata anche dal giovane Guglielmo. Carlo Goldoni (Venezia, 25 febbraio 1707 – Parigi, 6 febbraio 1793) è stato un commediografo, scrittore, librettista e avvocato italiano, cittadino della Repubblica di Venezia. Goldoni è considerato uno dei padri della commedia moderna e deve parte della sua fama anche alle opere in lingua veneta.

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Informations

Éditeur
Passerino
Année
2019
ISBN
9788835331216

ATTO SECONDO


SCENA PRIMA

Camera di Leonardo.
Vittoria e Paolo.
VITTORIA: Via, via, non istate piĂč a taroccare. Lasciate, che le donne finiscano di fare quel che hanno da fare, e piuttosto v'aiuterĂČ a terminare il baule per mio fratello.
PAOLO: Non so, che dire. Siamo tanti in casa, e pare ch'io solo abbia da fare ogni cosa.
VITTORIA: Presto, presto. Facciamo, che quando torna il signor Leonardo, trovi tutte le cose fatte. Ora son contentissima, a mezzogiorno avrĂČ in casa il mio abito nuovo.
PAOLO: Gliel'ha poi finito il sarto?
VITTORIA: SĂŹ, l'ha finito; ma da colui non mi servo piĂč.
PAOLO: E perché, signora? Lo ha fatto male?
VITTORIA: No, per dir la veritĂ , Ăš riuscito bellissimo. Mi sta bene, Ăš un abito di buon gusto, che forse forse farĂ  la prima figura, e farĂ  crepar qualcheduno d'invidia.
PAOLO: E perché dunque Ú sdegnata col sarto?
VITTORIA: Perché mi ha fatto un'impertinenza. Ha voluto i danari subito per la stoffa e per la fattura.
PAOLO: Perdoni, non mi par che abbia gran torto. Mi ha detto piĂč volte che ha un conto lungo, e che voleva esser saldato.
VITTORIA: E bene, doveva aggiungere alla lunga polizza anche questo conto, e sarebbe stato pagato di tutto.
PAOLO: E quando sarebbe stato pagato?
VITTORIA: Al ritorno della villeggiatura.
PAOLO: Crede ella di ritornar di campagna con dei quattrini?
VITTORIA: È facilissimo. In campagna si gioca. Io sono piuttosto fortunata nel gioco, e probabilmente l'avrei pagato senza sagrificare quel poco che mio fratello mi passa per il mio vestito.
PAOLO: A buon conto quest'abito Ăš pagato, e non ci ha piĂč da pensare.
VITTORIA: SĂŹ, ma sono restata senza quattrini.
PAOLO: Che importa? Ella non ne ha per ora da spendere.
VITTORIA: E come ho da far a giocare?
PAOLO: Ai giochetti si puĂČ perder poco.
VITTORIA: Oh! io non gioco a giochetti. Non ci ho piacere, non vo applicare. In cittĂ  gioco qualche volta per compiacenza; ma in campagna il mio divertimento, la mia passione, Ăš il faraone.
PAOLO: Per quest'anno le converrĂ  aver pazienza.
VITTORIA: Oh, questo poi, no. Vo' giocare, perché mi piace giocare. Vo' giocare, perché ho bisogno di vincere, ed Ú necessario che io giochi, per non far dire di me la conversazione. In ogni caso io mi fido, io mi comprometto di voi.
PAOLO: Di me?
VITTORIA: SĂŹ, di voi. Sarebbe gran cosa, che mi anticipaste qualche danaro, a conto del mio vestiario dell'anno venturo?
PAOLO: Perdoni. Mi pare che ella lo abbia intaccato della metĂ  almeno.
VITTORIA: Che importa? Quando l'ho avuto, l'ho avuto. Io non credo, che vi farete pregare per questo.
PAOLO: Per me la servirei volentieri, ma non ne ho. È vero che quantunque io non abbia che il titolo, ed il salario di cameriere, ho l'onor di servire il padrone da fattore e da mastro di casa. Ma la cassa ch'io tengo Ú cosÏ ristretta, che non arrivo mai a poter pagare quello che alla giornata si spende; e per dirle la verità, sono indietro anch'io di sei mesi del mio onorario.
VITTORIA: Lo dirĂČ a mio fratello, e mi darĂ  egli il bisogno.
PAOLO: Signora, si accerti che ora Ăš piĂč che mai in ristrettezze grandissime, e non si lusinghi, perchĂ© non le puĂČ dar niente.
VITTORIA: Ci sarĂ  del grano in campagna.
PAOLO: Non ci sarĂ  nemmeno il bisogno per fare il pane che occorre.
VITTORIA: L'uva non sarĂ  venduta.
PAOLO: È venduta anche l'uva.
VITTORIA: Anche l'uva?
PAOLO: E se andiamo di questo passo, signora...
VITTORIA: Non sarĂ  cosĂŹ di mio zio.
PAOLO: Oh! quello ha il grano, il vino e i danari.
VITTORIA: E non possiamo noi prevalerci di qualche cosa?
PAOLO: Non signora. Hanno fatto le divisioni. Ciascheduno conosce il suo. Sono separate le fattorie. Non vi Ăš niente da sperare da quella parte.
VITTORIA: Mio fratello dunque va in precipizio.
PAOLO: Se non ci rimedia.
VITTORIA: E come avrebbe da rimediarci?
PAOLO: Regolar le spese. Cambiar sistema di vivere. Abbandonar soprattutto la villeggiatura.
VITTORIA: Abbandonar la villeggiatura? Si vede bene che siete un uomo da niente. Ristringa le spese in casa. Scemi la tavola in cittĂ , minori la servitĂč; le dia meno salario. Si vesta con meno sfarzo, risparmi quel che getta in Livorno. Ma la villeggiatura si deve fare, e ha da essere da par nostro, grandiosa secondo il solito, e colla solita proprietĂ .
PAOLO: Crede ella, che possa durar lungo tempo?
VITTORIA: Che duri fin che io ci sono. La mia dote Ăš in deposito, e spero che non tarderĂČ a maritarmi.
PAOLO: E intanto?...
VITTORIA: E intanto terminiamo il baule.
PAOLO: Ecco il padrone.
VITTORIA: Non gli diciamo niente per ora. Non lo mettiamo in melanconia. Ho piacere che sia di buon animo, che si parta con allegria. Terminiamo di empir il baule. ( Si affrettano tutti e due a riporre il baule.)

SCENA SECONDA

Leonardo e detti.
LEONARDO: (Ah! vorrei nascondere la mia passione, ma non so se sarĂ  possibile. Sono troppo fuor di me stesso).
VITTORIA: Eccoci qui, signor fratello, eccoci qui a lavorare per voi.
LEONARDO: Non vi affrettate. PuĂČ essere che la partenza si differisca.
VITTORIA: No, no, sollecitatela pure. Io sono in ordine, il mio mariage Ăš finito. Son contentissima, non vedo l'ora d'andarmene.
LEONARDO: Ed io, sul supposto di far a voi un piacere, ho cambiato disposizione, e per oggi non si partirĂ .
VITTORIA: E ci vuol tanto a rimettere le cose in ordine per partire?
LEONARDO: Per oggi, vi dico, non Ăš possibile.
VITTORIA: Via, per oggi pazienza. Si partirĂ  domattina pel fresco; non Ăš cosĂŹ?
LEONARDO: Non lo so. Non ne son sicuro.
VITTORIA: Ma voi mi volete far dare alla disperazione.
LEONARDO: Disperatevi quanto volete, non so che farvi.
VITTORIA: Bisogna dire che vi siano de' gran motivi.
LEONARDO: Qualche cosa di piĂč della mancanza d'un abito.
VITTORIA: E la signora Giacinta va questa sera?
LEONARDO: PuĂČ essere ch'ella pure non vada.
VITTORIA: Ecco la gran ragione. Eccolo il gran motivo. PerchĂ© non parte la bella, non vorrĂ  partire l'amante. Io non ho che fare con lei, e si puĂČ partire senza di lei.
LEONARDO: Partirete, quando a me parerĂ  di partire.
VITTORIA: Questo Ăš un torto, questa Ăš un'ingiustizia, che voi mi fate. Io non ho da restar in Livorno, quando tutti vanno in campagna, e la signora Giacinta mi sentirĂ  se resterĂČ a Livorno per lei.
LEONARDO: Questo non Ăš ragionare da fanciulla propria, e civile, come voi siete. E voi che fate colĂ  ritto, ritto, come una statua? ( A Paolo.)
PAOLO: Aspetto gli ordini. Sto a veder, sto a sentire. Non so, s'io abbia a seguitar a fare, o a principiar a disfare.
VITTORIA: Seguitate a fare.
LEONARDO: Principiate a disfare.
PAOLO: Fare e disfare Ăš tutto lavorare. ( Levando dal baule.)
VITTORIA: Io butterei volentieri ogni cosa dalla finestra.
LEONARDO: Principiate a buttarvi il vostro mariage.
VITTORIA: SĂŹ, se non vado in campagna, lo straccio in centomila pezzi.
LEONARDO: Che cosa c'Ăš in questa cassa? ( A Paolo.)
PAOLO: Il caffĂš, la cioccolata, lo zucchero, la cera e le spezierie.
LEONARDO: M'immagino che niente di ciĂČ sarĂ  stato pagato.
PAOLO: Con che vuol ella ch'io abbia pagato? So bene che per aver questa roba a credito, ho dovuto sudare; e i bottegai mi hanno maltrattato, come se io l'avessi rubata.
LEONARDO: Riportate ogni cosa a chi ve l'ha data, e fate che depennino la partita.
PAOLO: SĂŹ, signore. Ehi! chi...

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