1. Dalla crisi di fronte alla guerra alla ricerca di un nuovo internazionalismo
1. La crisi
La rivoltellata che, per usare le parole di Stefan Zweig, «in un attimo solo mandĂČ in frantumi, quasi fosse un vaso vuoto di coccio, il mondo della sicurezza e della ragione creatrice», colpĂŹ con la sua forza improvvisa e devastante anche le protagoniste dellâassociazionismo femminile. Appena un mese prima lâInternational Women Council (IWC) aveva tenuto a Roma il suo congresso quinquennale e nulla in quella sede era stato neppure adombrato. Organizzato dallâassociazione affiliata, il Consiglio Nazionale delle Donne Italiane (CNDI), lâincontro si era articolato lungo i tre filoni propri della visione dellâInternational Council, in particolare della sua parte italiana: la casa, il lavoro e la sua conciliazione con lâessenziale missione domestica e familiare, le opere di assistenza sociale. Unâaltra questione da sempre centrale nella politica dellâassociazione internazionale, e cioĂš la ricerca di mezzi per perseguire la pace, non aveva trovato, nelle giornate romane, il grande spazio a essa riservato in appuntamenti precedenti, come quando le parole della pacifista austriaca Bertha von Suttner sulle terribili conseguenze della guerra moderna erano risuonate nel grande Congresso di Londra del 1899.
Nel dibattito occorso nellâapposita commissione i lavori si concentrarono sullâopera da svolgere nei confronti della pubblica opinione, dellâeducazione dei giovani e sulla possibilitĂ di pressione nei confronti degli Stati perchĂ© facessero effettivamente proprie le politiche di arbitrato e mediazione discusse nellâassociazionismo pacifista e negli appuntamenti governativi. Questi ultimi erano iniziati con la prima Conferenza dellâAia dello stesso 1899, organizzata nella capitale olandese in seguito allâinvito dello zar Nicola II, per affrontare la questione del progressivo incremento degli armamenti e dei mezzi migliori per una pace durevole. A essa, che era stata vista con favore dal movimento pacifista, ne era seguita una seconda nel 1907 e ne era in preparazione una terza per il 1915. Nella prospettiva di quellâappuntamento, le appartenenti allâIWC proposero che venisse stabilita per il 18 maggio, giorno di apertura della prima conferenza, una âgiornata della paceâ a livello internazionale. Ma lâatto piĂč significativo fu lâapprovazione di una risoluzione da inviare ai governi per prevenire «the horrible violation of womanhood» che accompagna tutte le guerre. Lâavvertimento poteva suonare largamente profetico alla luce delle conseguenze sulla popolazione civile della grande guerra. In realtĂ questâultima era fuori dallâorizzonte delle previsioni e la novitĂ di quella risoluzione consistette nel nominare e rendere visibile sulla scena internazionale la violenza sessuale come aspetto specifico e drammatico dellâesperienza femminile di ogni guerra.
Per il resto, i lavori proseguirono sui binari giĂ impostati negli incontri precedenti e in vista dei successivi appuntamenti, tra cui il nuovo congresso quinquennale, che si sarebbe dovuto tenere a Cristiania, capitale della Norvegia, nel 1919.
Negli atti pubblicati a pochi mesi di distanza, alla fine del 1914, Ishbel Aberdeen, presidente dellâInternational Council, aggiunse una prefazione sulla drammatica situazione che in un breve torno di tempo, dopo la conclusione del congresso, aveva coinvolto lâEuropa:
At the very moment when this volume was at the point of publication, many of the countries represented by our National Councils were suddenly plunged into war, and the principles for which the International Council stands appear for the time being to have passed to oblivion.
Aberdeen non andava oltre a questa presa dâatto e si limitava ad esprimere la speranza che i legami internazionali esistenti potessero rimanere «unbroken», accompagnando le sue parole a un messaggio di ispirazione religiosa in cui la condanna alla guerra si univa allâinvito di preparare un futuro di pace. E in effetti la questione della pace, che pure aveva contrassegnato il primo periodo di esistenza dellâassociazione, fu ripresa dallâIWC soltanto a guerra terminata e i singoli consigli nazionali presero autonomamente posizione.
Anche il meeting del board dellâInternational Woman Suffrage Alliance (IWSA) riunitosi a Londra nel luglio del 1914 a cui furono presenti, oltre alla presidente â la statunitense Chapman Catt â rappresentanti tedesche, austriache, francesi, belghe, inglesi e olandesi, non affrontĂČ la questione che stava esplodendo in Europa. Al centro dellâincontro vi fu la discussione sui metodi della lotta suffragista. Il numero di agosto dello «Jus Suffragii», il periodico dellâassociazione, appare sintomatico della difficoltĂ di prendere coscienza di quanto stava avvenendo. Sulla prima pagina campeggiava un manifesto censurato dal governo inglese poichĂ© confrontava le statistiche sulla mortalitĂ infantile, mettendo in evidenza come questâultima diminuisse lĂ dove câera il voto alle donne, mentre lâInghilterra (considerata tra lâaltro come Impero) figurava con un tasso altissimo di mortalitĂ . Nelle pagine successive compariva lâannuncio del XXII Congresso universale per la pace che doveva tenersi a Vienna in quello stesso 1914. La notizia era accompagnata da un breve commento in cui la suffragista austriaca Ernestine von Furth auspicava che in quellâoccasione perseguimento della pace e rivendicazione del suffragio si potessero finalmente intrecciare. Paradossalmente accanto a questo trafiletto si trovava un duro articolo dellâungherese Rosika Swimmer sulla guerra appena avviata: The bankruptcy of the man made world-war era il titolo. La catastrofe della guerra europea, scriveva Swimmer, non lâaveva colta di sorpresa: era il risultato di un mondo che aveva messo al centro lo Stato, il militarismo, la violenza, piuttosto che il diritto. Uomini e donne erano entrambi colpevoli: gli uni per aver considerato lo spirito di odio e di distruzione come un istinto umano inestinguibile, le altre per aver assistito a tutto questo senza usare «all our constructive forces to counterbalance the fatal spirit of destruction». La vicinanza di Rosika Swimmer ai movimenti pacifisti assai piĂč sensibili allâescalation militarista dĂ ragione della sua analisi sulla prevedibilitĂ dellâevento, ma nellâimmediato la sua appariva una voce isolata.
Certamente i tempi di stampa del periodico determinarono la contraddittorietĂ di quel numero: alla fine del mese di luglio, infatti, il quadro era completamente mutato. Negli stessi uffici dove pochi giorni prima si era svolto lâincontro di donne provenienti da paesi che di lĂŹ a poco sarebbero entrati in guerra, venne presa la prima iniziativa: la stesura e la diffusione di un Manifesto internazionale delle donne.
We, the women of the world, view with apprehension and dismay the present situation in Europe, which threatens to involve one continent, if not the whole world, in the disasters and horror of war. In this terrible hour, when the fate of Europe depends on decisions which women have no power to shape, we realizing our responsibilities as the mothers of the race, cannot stand passive by. Powerless though we are politically, we call upon the Governments and Powers to avert the threatened unparalleled disaster.
Sono le parole iniziali del testo, unâapertura solenne in cui lâuso del soggetto collettivo esprime lâargomentazione di fondo per cui le donne, nel loro insieme, facevano appello alla pace: lâessere le madri della specie umana; condizione comune cui si aggiungeva lâaltra, che riguardava tutti i paesi coinvolti dalla guerra: lâessere politicamente attive, ma prive di potere decisionale. Diversamente da quanto aveva sostenuto Swimmer, qui le donne sono rappresentate come innocenti, in quanto confinate in posizione di «irresponsabilità »; ma per le autrici del manifesto il problema andava oltre. Diffusa era la convinzione, per altro largamente usata come argomentazione retorica, che se le donne avessero ricoperto posizioni di responsabilitĂ la crescita del militarismo e le aggressivitĂ nazionaliste si sarebbero potute fermare. Di qui, in uno slittamento del soggetto da un noi comprensivo di tutte le donne del mondo a un noi piĂč ristretto relativo alle rappresentanti dellâIWSA, la scelta di formulare lâappello agli uomini di governo come unica azione possibile da parte di donne che, in realtĂ , avrebbero voluto contribuire a determinare il destino delle nazioni:
We women of twenty-six countries, having banded ourselves together in the International Woman Suffrage Alliance with the object of obtaining the political means of sharing with men the power which shape the fate of nations, appeal to you to leave untried no method of conciliation or arbitration for arranging international differences which may help to avert deluging half the civilized world in blood.
Il Manifesto, lanciato il 31 luglio 1914, fu portato al Foreign Office e a tutte le ambasciate presenti a Londra e diffuso tra le associazioni affiliate. GiĂ in questa fase un ruolo cruciale ebbero Aletta Jacobs e lâassociazione olandese: a esse fu richiesto di portare il testo alla sovrana dello Stato dove era stato costruito il Palazzo della pace e dove si erano svolte le conferenze diplomatiche che avevano messo a punto quegli accordi sullâarbitrato, divenuti punti di riferimento anche per lâassociazionismo femminile internazionale.
La prima reazione, coerentemente con le posizioni espresse nei congressi fu, dunque, di opposizione alla guerra o, per meglio dire, di richiamo alle possibilitĂ di mediazione nella preveggente consapevolezza che, se il processo avviato non fosse stato interrotto, quella guerra nel cuore dellâEuropa sarebbe stata «unparralleled disaster» e avrebbe lasciato, come si legge in altra parte del testo, lâumanitĂ piĂč povera in un arretramento complessivo della civilizzazione.
Questa reazione fu condivisa con il pacifismo politico europeo impegnato anchâesso a lanciare appelli per una rapida soluzione del conflitto scoppiato nei Balcani e per lâapplicazione della machinery messa a punto nelle conferenze del...