I LIBRI DEL 2016 / 2
Pietro Adamo, Lâanarchismo americano nel Novecento. Da Emma Goldman ai Black Bloc, Milano, FrancoAngeli, 319 pp., ⏠34,00
Ă uno sguardo empatico e al contempo rigoroso quello che Pietro Adamo volge alla storia dellâanarchismo americano del secolo scorso. I dodici capitoli del volume sono organizzati secondo un classico criterio cronologico, partendo dallâanarco-comunismo degli immigrati europei di fine â800 e arrivando fino ai movimenti antiglobalizzazione emersi in occasione delle proteste contro il vertice del 1999 della World Trade Organization a Seattle e giunti fino ai giorni nostri. In questo lungo â900 americano si succedono lâanarchismo sindacale dei wobblies (gli Industrial Workers of the World di inizio â900) e quello eccentrico di Randolph Bourne, quello delle riviste degli anni â40 («Retort», «Why», «Politics», «Resistance») e quello degli hippies, fino allâavvento della New Left negli anni â60 e poi alla stagione dellâanarco-capitalismo.
Da storico del pensiero politico, lâa. Ăš molto attento alle genealogie e alle svolte teoriche che segnano il pensiero e la pratica anarchica. Al centro della sua ricostruzione critica vi Ăš la distinzione tra un periodo classico di derivazione europea, fondato su una lettura del processo storico di tipo materialista e sulla rivoluzione come rottura che distrugge lâesistente e introduce una nuova era, e un periodo postclassico tipicamente nordamericano definito «gradualista e secessionista» (p. 13 ) in cui prevale la ricerca quasi impolitica di spazi alternativi interni a un quadro dominato da un capitalismo internazionale che non viene sfidato frontalmente. Ă questa la differenza tra una radice europea, spesso assunta da studiosi e militanti come la tradizione, e quella americana, innestatasi sulla prima per poi seguire traiettorie eccentriche e periferiche. Tuttavia, argomenta lâa., sarebbe proprio lâanarchismo americano postclassico, affermatosi dopo gli anni â30, a mostrare da alcuni decenni una vitalitĂ e capacitĂ di critica e mobilitazione tale da «spingerci a riconsiderare il complesso della storia dellâanarchismo» (p. 17).
Tra i motivi che rendono il volume di sicuro interesse ben oltre la nicchia degli studi sullâanarchismo câĂš proprio lâindagine del rapporto euro-americano. Lâa. mette in luce la rivendicazione di americanitĂ di un anarchismo che si Ăš spesso visto come parte integrante di una tradizione radicale e libertaria che annovera nel suo pantheon il dissenso protestante del periodo coloniale, Thomas Paine e gli abolizionisti radicali della prima metĂ dellâ800. Ma i passaggi di maggior interesse del volume, che avrebbe potuto giovarsi di un confronto piĂč serrato con la letteratura statunitense degli ultimi ventâanni, sembrano essere quelli da cui emergono le interazioni e connessioni tra le due sponde dellâAtlantico, come la traiettoria politica e personale di Emma Goldman dallâanarco-comunismo rivoluzionario a quello individualista ed esistenziale della maturitĂ , e lâinfluenza di figure europee di spicco come Nicola Chiaromonte sui New York intellectuals di metĂ â900 nel quadro della critica allo Stato totalitario.
Marco Mariano
Giovanni Agostini, La periferia del partito. La Dc trentina negli anni del centro-sinistra (1955-1968), Milano, Le Monnier, 296 pp., ⏠22,50
Il volume â approfondimento di una tesi di dottorato in «Politica, istituzioni e storia» dellâUniversitĂ di Bologna â Ăš organizzato in quattro capitoli che ripercorrono lâintreccio della vicenda della Dc trentina con quella del partito a livello nazionale scandito secondo i tempi delle tre legislature regionali del Trentino-Alto Adige tra la metĂ degli anni â50 e il 1968. Si tratta di una stagione che vede il panorama regionale mutare col passaggio da una realtĂ prevalentemente legata alle attivitĂ agricole allâapprodo allo sviluppo dellâindustria e del terziario.
Il partito trentino che ha espresso personalitĂ di statura nazionale â basti pensare a De Gasperi, Piccoli e Andreatta, pur nelle loro differenze â ha una serie di particolaritĂ che lo distinguono, nel periodo analizzato, da quello nazionale. Ă un partito ampiamente egemone (regolarmente tra il 60 e il 68 per cento dei voti a livello provinciale), fortemente identitario, erede di una compattezza e rappresentativitĂ maturata allâinterno del movimento cattolico locale in tensione con le dinamiche politiche dellâImpero asburgico. Non Ăš un caso che lâarchivio della Dc regionale del Trentino-Alto Adige e del partito a livello provinciale di Trento e Bolzano sia custodito presso lâArchivio diocesano trentino.
Ă un partito periferico e di confine che fa i conti con le particolaritĂ del suo territorio e che tra la fine degli anni â50 e la metĂ degli anni â60 attua una politica riformatrice pragmatica a livello regionale in un quadro politico in cui il rapporto dialettico significativo Ăš con la SĂŒdtiroler Volkspartei (Svp). La progressiva riduzione di competenze della Regione a vantaggio delle Province autonome di Trento e Bolzano ne sono il risultato. Il Psi a livello regionale Ăš il terzo partito, ed Ăš il maggiore della sinistra, mentre il Pci arranca. Quando il partito nazionale avvia la collaborazione coi socialisti, quella intesa a livello provinciale non risulta necessaria, e sarĂ implementata solo per la parentesi dal 1964 al 1968. Lâa. scrive: «Al contrario di quanto avviene a livello nazionale, dove il centrosinistra implode per lâimpossibilitĂ di realizzare quella politica riformatrice per cui era nato, a Trento il centrosinistra sfuma perchĂ© Ăš giunto al potere quando la politica riformatrice Ăš giĂ stata sostanzialmente realizzata» (p. 216).
Il partito nel periodo del postConcilio perde il contatto col retroterra giovanile delle organizzazioni cattoliche, e la FacoltĂ di Sociologia di Trento â la prima in Italia â diviene lâavanguardia della contestazione. La Dc trentina vede incrinare la sua compattezza alla fine degli anni â60 col graduale nazionalizzarsi delle sue dinamiche interne. Flaminio Piccoli, coi dorotei, ascende alla vicesegreteria del partito nazionale con Rumor nel 1964, e diviene segretario nazionale nel 1969; Bruno Kessler, presidente della Provincia autonoma di Trento dal 1960 al 1974, viene ascritto al gruppo dei morotei e progressivamente ridotto in minoranza. La peculiaritĂ trentina va in crisi col superamento dello schema, pur semplificato, della formula «Kessler a Trento e Piccoli a Roma».
Augusto DâAngelo
Andrea Ambrogetti, Aldo Moro e gli americani, Roma, Studium, 214 pp., ⏠19,00
Il volume di Ambrogetti non Ú una monografia, quanto una raccolta di quattro testi a sé stanti dedicati al rapporto fra alleanza occidentale e Italia negli anni che vanno dal 1976 al 1979.
Il primo capitolo costituisce sostanzialmente unâintroduzione al volume, mentre il secondo testo, Italia 1976: nessuna opzione esclusa, Ăš la parte piĂč interessante del volume: consiste nella presentazione in ordine cronologico di documenti diplomatici britannici custoditi presso il Centro documentazione Archivio Flamigni. Lâintero saggio consiste nella semplice sintesi e pubblicazione di ampi estratti di documenti del 1976. La documentazione britannica fornisce molte informazioni sugli atteggiamenti dei vari Stati occidentali verso lâevoluzione politica interna italiana, caratterizzata dallâingresso del Partito comunista nellâarea di maggioranza. Emergono cosĂŹ le diversitĂ di opinioni esistenti in seno al governo statunitense riguardo il da farsi di fronte allâapertura al Pci messa in atto dalla Democrazia cristiana: se il segretario di Stato Kissinger propende per iniziative eclatanti di punizione ed esclusione del governo di Roma dalla Nato, i vertici militari preferiscono una strategia soft, che miri a «tenere lâItalia dentro», perchĂ© «i vantaggi sarebbero superiori agli svantaggi e perchĂ© i generali italiani sono in grado di continuare a tenere la situazione sotto controllo âvista la debolezza della politicaâ» (p. 59). Vi Ăš poi una diversitĂ di atteggiamenti fra gli Stati europei di fronte alle vicende interne italiane. Se il governo laburista britannico Ăš abbastanza indifferente alla questione italiana ed Ăš reticente a iniziative interventiste, lâesecutivo tedesco guidato da Helmut Schmidt e i partiti socialdemocratico e cristiano democratico della Repubblica federale sono molto preoccupati dallâaumento di potere dei comunisti e mettono in atto azioni dâinfluenza e di minaccia per convincere in primis i socialisti e i democristiani a bloccare lâingresso del Pci nellâarea governativa, con risultati perĂČ deludenti.
Il capitolo terzo del volume (Le loro memorie) Ăš una rassegna di quanto Ăš stato scritto sullâItalia nella memorialistica politica occidentale. Ă una rassegna piuttosto lacunosa, in quanto non analizza importanti opere quali il diario di Jimmy Carter e gli scritti memorialistici di Henry Kissinger e Helmut Schmidt.
Il capitolo quarto (Sacrificare lâItalia?) Ăš un tentativo di riflessione storiografica sul rapporto fra Stati Uniti, alleanza occidentale e Italia. Una riflessione condotta perĂČ in maniera approssimativa, senza un confronto comparato fra fonti di diversi Stati (grave Ăš il mancato uso della raccolta dei Foreign Relations of the United States e degli Akten zur AuswĂ€rtigen Politik der Bundesrepublik Deutschland), senza riferimenti alla letteratura storica internazionale e con una conoscenza lacunosa della storiografia italiana sulle relazioni internazionali dellâItalia nellâepoca di Moro.
Non si capisce poi il perchĂ© del titolo Aldo Moro e gli americani, in quanto lâargomento prevalente Ăš lâanalisi della politica britannica verso lâItalia nel 1976 e il politico pugliese non Ăš il protagonista principale delle vicende raccontate dallâa.
Luciano Monzali
Massimo M. Augello, Marco E.L. Guidi, Giovanni Pavanelli (a cura di), Economia e opinione pubblica nellâItalia liberale. Gli economisti e la stampa quotidiana; I. Gli economisti, 382 pp., II. I dibattiti, 220 pp., Milano, FrancoAngeli, ⏠48,00
Punto terminale di un ampio e importante progetto sulla «storia istituzionale» dellâeconomia liberale â concretizzatosi sin qui in diversi volumi e opportunamente ripercorso da Augello nellâIntroduzione â il lavoro, centrato su economisti e stampa, poggia su 21 studi (13 nel I vol., 8 nel II vol.) inevitabilmente diseguali e variamente interessanti. Lâattenzione si focalizza, nel I vol., su Gli economisti, prendendo in esame penne note e meno note: Einaudi, Pareto, Luzzatti, Pantaleoni, Borgatta, Flora, Giretti, Cabiati, Leone, Cognetti de Martiis De Viti de Marco, Nitti, Luzzatti; nel II vol., ad essere affrontati sono alcuni dei principali problemi e dibattiti dellâepoca: la questione meridionale, il monopolio di Stato per le assicurazioni sulla vita, lâemissione monetaria, il cambio, la politica commerciale, le crisi di borsa, la politica coloniale. Attraverso attori e temi i curatori provano dunque a far luce (e a tenere assieme) su un periodo compreso fra lâultimo trentennio dellâ800 e il primo ventennio del â900, una fase densa â Ăš quasi superfluo ricordalo â di cambiamenti e contraddizioni.
Acclarato che la relazione tra stampa ed economisti sia questione cruciale e meritevole di essere indagata, non tutti i saggi evidenziano rilevanza e novitĂ e, rischio ineludibile dei lavori a piĂč mani, non manca qualche debolezza. Spiccano tra i profili degli economisti delineati nel I vol. quelli che, grazie alla penna e alla perspicacia dei singoli autori, aprono una finestra sul periodo: Ăš il caso di Bientinesi con Cabiati (economista del quale distilla posizioni e argomentazioni delineando un profilo compatto e senza sbavature); di Gozzolino con Leone (il sindacalista rivoluzionario avversario risoluto del protezionismo, di rado inserito e tematizzato tra gli economisti dellâepoca); di Maccabelli con Pareto (fin troppo studiato ma qui efficacemente inquadrato nellâalveo delle scienze sociali e della sua biografia scientifica); di Pavanelli con Einaudi (capace di far emergere elementi dâinteresse in un personaggio largamente esplorato); di Travagliante con Flora (colto nelle vesti di occhiuto osservatore della guerra e dei suoi effetti).
Nel II vol. il rapporto si capovolge: ad essere protagonisti sono infatti i temi e i problemi vagliati e discussi dalla stampa â nei loro risvolti sociali, economici e politici â ed essi a guidare la ricerca. Gli spunti, naturalmente, sono numerosi in tutto il volume e anche se in alcuni casi un poâ di rimasticamento si avverte â conseguenza di unâesplorazione trentennale «in lungo e in largo» nel mondo degli economisti â si leggono con sicuro interesse i contribuiti dedicati alla crisi di borsa del 1907, ai problemi della finanza pubblica, della politica coloniale, della politica doganale.
Nellâinsieme gli interventi degli economisti e lâindividuazione dei nuclei tematici piĂč dibattuti, oltre a restituire contorni e contenuti di un universo mobile e contraddittorio, offrono anche interessanti elementi di riflessione sulla cultura del tempo.
Rosanna S...