Siamo davvero liberi? Le neuroscienze e il mistero del libero arbitrio
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Siamo davvero liberi? Le neuroscienze e il mistero del libero arbitrio

Mario De Caro, Lavazza A., Sartori G., Mario De Caro, Lavazza A., Sartori G., Mario De Caro

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Siamo davvero liberi? Le neuroscienze e il mistero del libero arbitrio

Mario De Caro, Lavazza A., Sartori G., Mario De Caro, Lavazza A., Sartori G., Mario De Caro

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La libertĂ  delle nostre scelte e delle nostre azioni ci sembra spesso il piĂč naturale e incontrovertibile dei dati. Recenti osservazioni neurobiologiche, tuttavia, suggeriscono che noi acquisiamo consapevolezza delle nostre intenzioni di agire solo dopo che il comando cerebrale del movimento Ăš giĂ  partito. Parrebbe dunque che, in linea di principio, le nostre scelte possano essere previste da un osservatore esterno prima che noi le compiamo: ma questo non indica forse che l'idea di libertĂ  e quella di responsabilitĂ  morale che ne dipende sono soltanto illusioni? In realtĂ  non Ăš detto che sia cosĂŹ. La discussione sul libero arbitrio, uno dei misteri piĂč antichi e affascinanti del pensiero umano, Ăš infatti ancora aperta, e oggi vede l'appassionata partecipazione non solo dei filosofi ma anche di neurobiologi, psicologi e scienziati cognitivi. In questo volume i massimi esperti italiani e internazionali analizzano il contributo che a questo dibattito offrono le sorprendenti e controverse acquisizioni della neuroscienza contemporanea. Edizione aggiornata con una nuova introduzione e tre nuovi saggi.

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Informations

Parte II. Orizzonti teorici e prospettive sociali

Capitolo 5

Decisioni libere e giudizi morali: la mente conta

di Filippo Tempia
Introduzione
Il libero arbitrio si puĂČ definire come la possibilitĂ  di un soggetto di operare, almeno in alcune situazioni, scelte che nascano dalla propria volontĂ  e che non siano quindi predeterminate dagli antecedenti fisici. Il punto critico Ăš il processo con cui una scelta cosciente viene operata mentalmente e trasformata in azione. Molte critiche all’esistenza del libero arbitrio nascono dall’osservazione che, per la scienza, nulla nell’universo puĂČ sfuggire alle leggi della fisica, che dunque determinerebbero tutto, compresa l’attivitĂ  cerebrale e l’attivitĂ  mentale. In effetti, le neuroscienze degli ultimi decenni hanno dimostrato una relazione molto stretta tra l’attivitĂ  cerebrale e tutti gli eventi mentali1. Questa relazione comprende le percezioni sensoriali come il dolore, il tatto, la vista, l’udito, il gusto, l’olfatto, le sensazioni vestibolari. In questo caso uno stimolo proveniente dal mondo esterno, fisico o chimico (in realtĂ  la chimica puĂČ essere ricondotta a fenomeni fisici), tramite i recettori sensoriali e il sistema nervoso genera l’evento mentale della percezione sensoriale. Un secondo tipo di eventi mentali, come ad esempio i pensieri e i ricordi, non Ăš in relazione diretta con il mondo esterno presente. Infine, un terzo tipo di eventi mentali agisce sul mondo esterno tramite le connessioni del sistema nervoso con l’apparato motorio, che ci permette di spostarci e di agire sull’ambiente in cui viviamo. Nel primo caso, della percezione, la libertĂ  non Ăš messa in discussione, perchĂ© gli eventi mentali vengono evocati da stimoli fisici che producono un’attivazione cerebrale che a sua volta sarebbe responsabile della sensazione cosciente. Nel secondo caso, dei pensieri e dei ricordi, Ăš possibile ipotizzare o negare la loro libertĂ  dal determinismo della fisica, ma Ăš difficile sottoporre la questione a una verifica sperimentale. Il caso della libera azione eseguita dal sistema motorio Ăš stato finora l’unico in cui i risultati sperimentali hanno messo in dubbio la libertĂ  umana.
La relazione mente-cervello nel movimento volontario
Gli esperimenti che hanno piĂč direttamente influenzato la concezione della libertĂ  di decisione dell’uomo sono quelli in cui sono state studiate l’attivitĂ  mentale e l’attivazione cerebrale che precedono il movimento volontario. Nella concezione comune, l’evento mentale della volontĂ  Ăš la causa che genera l’evento fisico del movimento. In realtĂ , il passaggio critico Ăš quello dalla volontĂ  del soggetto, che Ăš un evento mentale appartenente alla sfera dei fenomeni coscienti, all’attivazione fisica dei neuroni, che appartiene agli eventi fisici del mondo indagabili con il metodo scientifico. Una volta che Ăš cominciata una prima attivitĂ  neuronale, questa puĂČ tranquillamente seguire le leggi della fisica fino a dare luogo ai segnali nervosi e muscolari che mettono in atto l’azione motoria.
Negli anni Sessanta il gruppo di ricerca di Hans H. Kornhuber cercĂČ di identificare l’area cerebrale che si attiva per prima nella preparazione dei segnali nervosi necessari per comandare il movimento volontario (Kornhuber e Deecke, 1965). L’idea alla base di questo esperimento Ăš che la prima area ad attivarsi non puĂČ avere ricevuto segnali da altri centri nervosi, ma la sua attivazione puĂČ solo derivare dall’evento mentale della volontĂ  del soggetto. La concezione alla base invece Ăš un dualismo in cui la causa (mentale) deve precedere l’effetto (fisico o piĂč precisamente cerebrale). La tecnica che Kornhuber utilizzĂČ per rilevare l’attivitĂ  cerebrale Ăš l’elettroencefalografia (EEG), che permette di temporizzare in modo molto preciso i segnali misurati. Per questo esperimento Kornhuber scelse un movimento molto semplice e riproducibile come la flessione di un dito che preme un tasto, che il soggetto doveva eseguire volontariamente, senza nessun segnale precedente. Il tracciato elettroencefalografico fu analizzato a ritroso partendo dall’istante in cui iniziava il movimento, per evidenziare l’attivitĂ  cerebrale che lo precedeva. Kornhuber trovĂČ un’attivazione cerebrale che chiamĂČ potenziale di preparazione (Bereitschaftspotential, in seguito piĂč comunemente noto come potenziale di prontezza), che nella regione del vertice del cranio precedeva di quasi un secondo (circa 800 ms) l’inizio del movimento volontario.
Si trattava della regione cerebrale detta area supplementare motoria (SMA), che anatomicamente si trova all’interno della scissura interemisferica, nel lobo frontale, area 6 di Brodmann.
Quest’area Ăš strettamente connessa con la generazione dei movimenti volontari, come Ăš dimostrato dal fatto che, quando viene sperimentalmente stimolata da una corrente elettrica o da un intenso campo magnetico, ne risultano movimenti, detti evocati, che insorgono in modo involontario. Nei movimenti evocati, il soggetto ha la sensazione che il movimento sia comandato da una qualche forza a lui estranea. Il coinvolgimento della SMA nei comandi motori volontari Ăš confermato dal fatto che i pazienti con lesioni cerebrali di questa regione presentano deficit di programmazione e di esecuzione dei movimenti volontari e una particolare difficoltĂ  a organizzare sequenze di movimenti. La diminuzione dei movimenti spontanei coinvolge sia il linguaggio, sotto forma di una riduzione dell’eloquio spontaneo, sia i movimenti degli arti, per i quali si osserva una generale riduzione dell’iniziativa motoria volizionale. È quindi ampiamente dimostrato che la SMA svolga un ruolo importante nella generazione dei movimenti volontari. Se questa Ăš l’area cerebrale che si attiva piĂč precocemente prima di un movimento volontario, ci si puĂČ ora chiedere da che cosa a sua volta tragga origine la sua attivazione. Un’ipotesi Ăš che essa sia generata dall’evento non fisico ma mentale della volontĂ  di compiere il movimento.
Negli anni successivi alla pubblicazione dei risultati di Kornhuber, molti ricercatori si chiesero quanto tempo intercorresse tra l’evento mentale della volontĂ  di eseguire un movimento e la prima attivazione cerebrale, localizzata nella SMA. Si aspettavano che, come molti altri processi fisiologici, l’attivazione cerebrale dovesse seguire con una determinata latenza la volontĂ  di agire che ne era la causa. Il problema sperimentale, che per alcuni anni rimase irrisolto, era quello di temporizzare l’evento mentale della decisione volontaria di compiere il movimento. Solo una ventina di anni piĂč tardi, un ricercatore statunitense, Benjamin Libet, risolse questo problema tecnico (Libet et al., 1983; vedi Introduzione in questo volume). Sorprendentemente, il tempo riportato dal soggetto corrispondeva a soli 200 ms prima dell’inizio del movimento. Il potenziale di prontezza cominciava sempre prima, e non dopo come ci si aspettava, rispetto all’istante della presa di coscienza della volontĂ  di agire. La latenza del movimento rispetto all’inizio del potenziale di prontezza poteva variare da 800-1000 ms, nei casi in cui il soggetto riportava di avere in qualche modo pianificato l’azione prima di agire, a circa 550 ms quando il soggetto riferiva di aver deciso ed eseguito istantaneamente il movimento. Quindi il potenziale di prontezza anticipava di almeno 350 ms l’istante della presa di coscienza del soggetto.
Questo risultato inatteso, che l’attivazione cerebrale preceda la decisione cosciente che ne dovrebbe essere la causa, portĂČ molti a pensare che in realtĂ  a decidere fosse l’attivitĂ  non conscia del cervello e non l’evento mentale della volontĂ  del soggetto (Wegner, 2002; Wegner in questo volume). Molti studiosi sostengono ancora oggi che la sensazione di essere gli arbitri delle proprie azioni sia soltanto un’illusione generata dal cervello subito dopo aver dato il via al comando motorio2. Secondo questa prospettiva, la sensazione di essere gli agenti delle nostre azioni dovrebbe essere considerata alla stregua di una percezione, simile alle percezioni sensoriali come il dolore o la vista. Quindi, il soggetto che decide sarebbe un organo, il cervello, che Ăš soggetto alle leggi della fisica ed Ăš quindi completamente determinato a priori dalla propria struttura e dalle leggi che la governano. Secondo questa concezione, non esisterebbe libertĂ  nell’universo (sempre escluso il compatibilismo). È interessante notare che lo stesso Libet non si arrese mai a quest’interpretazione, e cercĂČ di offrire una teoria, l’ipotesi del veto cosciente, che salvaguardasse la libertĂ  dell’azione (Libet, 2004, pp. 141-144 trad. it.): la mente potrebbe impedire che l’azione, programmata in modo non conscio dal cervello, venga compiuta.
Un recente studio del gruppo di ricerca di John-Dylan Haynes, basato sulla tecnica della risonanza magnetica funzionale (fMRI), ha confermato ed esteso il concetto che l’attivazione cerebrale precede la presa di coscienza della volontà di compiere un movimento (Soon et al., 2008; Haynes in questo volume). È bene notare che i risultati mostrati in questo studio non sono semplici misurazioni del segnale BOLD dell’attività cerebrale, ma sono il risultato di una decodifica degli schemi di variazione locale dei segnali BOLD ottenuta mediante tecniche statistiche di riconoscimento3. Per ogni soggetto, il programma di decodifica veniva ottimizzato ai fini della predizione della decisione motoria, mediante il riconoscimento del particolare schema di attivazione cerebrale locale associato a ogni scelta. Il primo risultato mostrato in questo studio consiste nel fatto che nella SMA ù possibile decodificare l’istante in cui inizierà il movimento già 5 secondi prima che abbia inizio, spostando indietro nel tempo, rispetto alle osservazioni di Libet, il presunto inizio dell’attività cerebrale responsabile del movimento. Il secondo risultato ù che, in un’area prefrontale detta frontopolare, contenuta nell’area 10 di Brodmann, la decisione se premere il tasto destro o quello sinistro ù decodificabile addirittura 10 secondi prima dell’azione. È un tempo che anticipa di circa 9 secondi la consapevolezza della scelta. In questo lasso temporale il cervello avrebbe già deciso, ma la percezione soggettiva di essere l’agente della scelta verrebbe generata solo un secondo prima dell’esecuzione motoria. Quindi, solo 9 secondi dopo la decisione cerebrale la coscienza verrebbe informata dell’esito di tale scelta, generando allo stesso tempo la sensazione di esserne la libera autrice.
Vorrei ancora rimarcare che queste attività cerebrali così precoci non sono visualizzabili direttamente, ma la loro presenza ù inferita dall’esito di un’analisi molto complessa che utilizza paradigmi statistici di previsione degli eventi (decodifica multivariata di schemi locali di attività). Per una corretta comprensione di questo risultato, bisogna aggiungere che Haynes si propone, come fine ultimo delle sue ricerche, di arrivare a una “lettura del pensiero” mediante la fMRI cerebrale (Haynes in questo volume). Questo spiega l’utilizzo, insolito nelle procedure scientifiche, di algoritmi che non operano una semplice deconvoluzione o un altro genere di miglioramento della qualità del segnale, ma che sono progettati per inferire qualunque tipo di codifica predittiva dell’esito che viene misurato. Rimane sorprendente il fatto che il potere di predizione dell’esito di un’attività cerebrale che precede di così tanto tempo la presa di coscienza e l’esecuzione dell’atto motorio riesca a essere statisticamente significativo.
Bisogna tuttavia precisare che l’accuratezza della predizione Ăš ben lungi dall’essere perfetta. Ad esempio, nelle scelte destra/sinistra, i successi dovuti al caso hanno una correttezza del 50%, come quando si deve indovinare se una moneta lanciata darĂ  testa o croce: la complessa analisi di Haynes, nella regione frontopolare in cui la predizione Ăš massima, raggiunge a stento un’accuratezza del 60%. Questo significa che, oltre al 50% di risposte esatte azzeccate per caso, il sistema aggiunge uno striminzito 10%; ovvero che, del 50% di risposte che a caso vengono date in modo errato, il 40% di errori persiste anche nell’analisi di Haynes. Il valore scientifico della predizione di Haynes risiede quindi nella significativitĂ  statistica, espressa come p < 0,05, che certifica che 60% Ăš un valore veramente piĂč alto di 50% e la loro differenza non Ăš attribuibile al caso. Un valore di p < 0,05 significa che, se si ripete l’esperimento 20 volte, potrĂ  accadere che al massimo una sola volta (1 volta su 20! 0,05) il risultato venga significativo solo per caso, senza che vi sia un reale effetto. Questo livello di sicurezza (di 19 su 20) viene comunemente accettato per suffragare un dato scientifico. È chiaro che siamo molto lontani da una lettura del pensiero e da un’applicabilitĂ  per prevedere le decisioni di un soggetto cosciente.
Riflessioni sugli esperimenti di temporizzazione dei movimenti volontari
Dal punto di vista neuroscientifico ù bene porsi alcune domande prima di accettare qualunque conclusione conseguente ai dati scientifici che indicano un’attivazione cerebrale precedente alla presa di coscienza, da parte del soggetto, della propria volontà di agire o della propria scelta.
Il tempo mentale
Il primo fattore da considerare ù la temporizzazione della prima consapevolezza della volontà di agire, che viene annotata mentalmente durante ogni decisione di compiere il movimento e che viene riportata retrospettivamente dal soggetto non appena terminata l’esecuzione dell’atto motorio prescritto dallo sperimentatore. Fu proprio questa strategia sperimentale che permise a Libet di superare il problema della temporizzazione dell’evento mentale della volontà. Si tratta quindi del tempo vissuto in prima persona dal soggetto. Dunque, occorre innanzitutto approfondire le proprietà di tale tempo mentale, soprattutto quando deve essere messo in relazione con il tempo misurato tramite metodi fisici. Si tratta in definitiva di valutare l’affidabilità della temporizzazione dell’istante in cui avviene l’evento mentale della presa di coscienza della volontà di agire. A questo fine ù utile passare in rassegna le situazioni in cui ù stata dimostrata una differenza tra il tempo soggettivo rispetto al tempo misurato con metodi fisici.
Il tempo mentale: il fenomeno della cronostasi
Quando fissiamo un’immagine, gli occhi non rimangono fermi, ma compiono continui movimenti rapidi, detti saccadi o movimenti saccadici, che ci permettono di spostare lo sguardo da un punto a un altro dell’immagine, in modo da analizzarne tutti i dettagli con l’area centrale della retina (la fovea), che possiede la massima acuità visiva. Durante i movimenti saccadici, la visione rileverebbe un rapido scivolamento delle immagini sulla retina, che darebbe un’immagine offuscata. Per evitare la formazione di immagini offuscate, per tutta la durata del movimento saccadico i segnali visivi sono inibiti da determinati centri nervosi che generano un segnale in grado di bloccare il flusso di informazioni visive che dagli occhi sta viaggiando verso l’area visiva primaria della corteccia cerebrale. Pertanto i segnali visivi, nei brevi periodi di tempo in cui gli occhi stanno eseguendo un movimento saccadico, non raggiungono la corteccia cerebrale e di conseguenza non arrivano a livello cosciente. In altre parole, abbiamo episodi di cecità temporanea. È interessante notare che non siamo coscienti di tali periodi di cecità.
Quale esperienza visiva abbiamo in sostituzione della cecitĂ ? Nel 2001 il gruppo di ricerca di Kielan Yarrow dimostrĂČ che, durante il breve episodio di cecitĂ  che accompagna il movimento saccadico, abbiamo la percezione visiva dell’immagine acquisita alla fine del movimento oculare, quando la visione ricomincia a raggiungere il livello di coscienza (Yarrow et al., 2001). CiĂČ produce un’illusione temporale: il tempo speso dallo sguardo sul punto di arrivo ci appare piĂč lungo di quanto sia realmente. Nell’esperimento di Yarrow e colleghi, i soggetti estendevano l’istante, in cui pensavano d’aver iniziato a vedere l’immagine, indietro nel tempo a circa 50 ms prima dell’inizio del movimento oculare. Nel caso di un movimento saccadico di 55° di rotazione oculare, per ottenere una percezione temporale della durata soggettiva di un secondo, l’immagine doveva essere presentata per soli 811 millise...

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