CAPITOLO I
IDENTITĂ ALPINA O IDENTITĂ ALPINE?
«LeAlpi non sono barriere,
ma cerniere fra le popolazioni europee»3.
IDENTITĂ E IDENTITĂ CULTURALI
Allorquando ci si interroga sul problema dellâidentitĂ , si attua unâinterazione tra il piano individuale ed il piano sociale, trovandosi ad investigare il rapporto «io-mondo sociale». CiĂČ, nella consapevolezza che esiste una stretta relazione tra identitĂ come elemento individuale o personale, come esperienza essenzialmente soggettiva e identitĂ come elemento intersoggettivo, partecipato da piĂč soggetti, rilevante a livello sociale4.
Nellâambito sociologico, tre sono state le correnti teoriche piĂč rilevanti che si sono soffermate sul concetto di identitĂ : il funzionalismo, lâinterazionismo simbolico, la fenomenologia sociale.
Nella lettura funzionalistica suggerita da Talcott Parsons5, il concetto di identitĂ non puĂČ prescindere da una teoria della personalitĂ , cioĂš da una teoria dellâorganizzazione psichica complessiva dellâindividuo. LâidentitĂ viene dunque definita da Parsons in relazione alla funzione specifica svolta allâinterno del sistema di personalitĂ : quella di coordinare e controllare lâId (che si occupa della funzione di adattamento), lâEgo (che si rivolge al conseguimento degli scopi), il Super-Ego (che integra e coordina le norme, i valori, i ruoli che lâindividuo ha interiorizzato attraverso la socializzazione). Nella concezione di Parsons, lâidentitĂ Ăš una struttura stabile e coerente, che rappresenta il sistema dei significati attraverso cui lâindividuo si mette in relazione con lâuniverso culturale dei simboli e dei valori socialmente condivisi, consentendogli di dare senso alla propria azione, di operare scelte e di rendere coerente la propria vita. Attraverso la molteplicitĂ delle interazioni sociali, lâindividuo acquisisce una identitĂ che â se matura e normale â ha una struttura stabile, che puĂČ subire solo modifiche lievi nel corso dellâintera sua vita.
Secondo la prospettiva interazionista, lâidentitĂ non Ăš una struttura stabile della personalitĂ , ma entitĂ soggetta a continue trasformazioni, in relazione al processo di interazione sociale, realtĂ che si plasma a seconda dei ruoli che il soggetto assume. Si configura allora come la definizione che il soggetto offre di sĂ©, rappresentazione che il soggetto stesso formula e sulla base della quale egli agisce nelle continue interazioni che il suo vivere sociale gli impone. Irving Goffman6 ha sottolineato il carattere di «molteplicità » dellâidentitĂ , in relazione ai numerosi â spesso contrastanti â ruoli che lâindividuo ricopre, per ognuno dei quali adotta una specifica «maschera». Turner7 accentua il carattere sperimentale ed esplorativo dellâidentitĂ , prendendo le mosse dalla distinzione tra la concezione di sĂ©, o identitĂ , e lâimmagine di sĂ©, ipotizzando che lâidentitĂ sia paragonabile ad una congettura, che necessita di essere continuamente confermata. Ne consegue che, nel momento in cui si verifica un forte distacco tra concezione di sĂ© e immagine di sĂ© che gli altri rimandano, trattandosi di una seria minaccia per lâidentitĂ , lâindividuo Ăš spinto a non modificare la concezione di sĂ©, ma a metter in atto quelle che Turner definisce azioni di identity-directed, volte a cercare azioni di sĂ© che risultino confermanti.
Secondo lâapproccio fenomenologico8, lâidentitĂ Ăš un concetto essenziale per comprendere il processo mediante il quale la realtĂ oggettiva entra a fare parte della coscienza dellâindividuo, diventando realtĂ soggettiva. Attraverso la socializzazione primaria, il mondo della vita quotidiana â costituito da un insieme di conoscenze e di schemi interpretativi dati, attraverso cui lâazione si regola per risolvere i problemi quotidiani â viene interiorizzato, divenendo parte integrante dellâidentitĂ del singolo. In altre parole, lâidentitĂ Ăš struttura di organizzazione delle conoscenze, mediante la quale lâindividuo realizza un rapporto simmetrico tra realtĂ oggettiva e traduzione soggettiva di questa stessa realtĂ 9.
Nella prospettiva fenomenologica, dunque, lâidentitĂ Ăš concetto fondamentale per comprendere il processo attraverso il quale la realtĂ oggettiva diventa soggettiva, entrando a far parte della coscienza degli individui.
Ă questa la prospettiva che condivido riconoscendomi debitore dellâapproccio fenomenologico, meta-teorico, per il suo carattere di radicalitĂ e concretezza, anteriore ad ogni schematizzazione e rigiditĂ dottrinale10.
Lo sviluppo di fenomeni sempre piĂč diffusi di ricerca di identitĂ attraverso forme di partecipazione e di appartenenza a gruppi, ha spinto la ricerca sociale ad interrogarsi sul tema dellâidentitĂ quale elemento costitutivo delle identitĂ collettive.
Se diversi autori11 ritengono che il concetto di identitĂ sia attribuibile solamente ad un soggetto individuale e non sia trasferibile ad un soggetto collettivo â se non come multiplo di identitĂ individuali â altri12 evidenziano lâurgenza di intervenire in un ambito di studio pur problematico, quale quello delle identitĂ collettive (etniche, religiose, razziali, associazionistiche, politiche, ecc.) anche in considerazione del rapporto complesso che lega lâidentitĂ collettiva allâazione collettiva. Questa ultima Ăš oggetto di studi approfonditi, rilevandosi la crescente difficoltĂ â nellâattuale realtĂ sociale globalizzata â di analizzare e valutare comportamenti collettivi che appaiono fortemente instabili. Si Ăš cosĂŹ evidenziato che lâinstabilitĂ dipende dal fatto che il tessuto che compone lâinconscio collettivo (ossia, lâinsieme di caratteri su cui si basa lâidentitĂ culturale di ogni comunitĂ ) nelle societĂ sviluppate non Ăš piĂč abbastanza forte e non consente di capire e di prevedere i mutamenti degli orientamenti collettivi, quantomeno utilizzando i metodi e i sistemi di misurazione di cui le scienze sociali attualmente dispongono.
Di qui, il convincimento, da parte di taluni studiosi13, della possibilitĂ che si accentui la mutabilitĂ nelle opinioni e nei convincimenti, a tal punto da giungere a livelli patologici di insoddisfazione, di insicurezza e di assenteismo. Proprio tale degenerazione patologica dellâinsoddisfazione sarebbe alla base dei comportamenti anti solidaristici e anti sociali che caratterizzano una parte consistente dellâagire collettivo contemporaneo.
Le scienze umane â in particolare la sociologia e la psicologia sociale â non possono esimersi dallo studio delle poliedriche forme che assumono questi comportamenti di disaffezione e di spaesamento collettivo, anche presenti nelle forme di paura e di rifiuto con cui il cittadino globalizzato cerca di sfuggire alle angosce e alla solitudine della vita quotidiana14.
Ritorna dunque il problema della definizione di cosa sia, oggi, lâidentitĂ di gruppo, giungendo a constatare â come suggerisce Etienne Balibar15 â che sovente lâidentitĂ di un individuo, di un popolo, si desume attraverso il suo non essere, o meglio attraverso lâinsieme dei suoi non essere, attraverso, cioĂš, marcatori negativi: «bisogna cercare coloro rispetto ai quali si Ăš del tutto differenti per poter scoprire (o promulgare) lâevidenza della propria interna similarità »16. Peraltro, mentre lâidentitĂ rimane comunque catalogabile per differenze, lâidentitĂ culturale resiste al semplice cambiamento per assumere difensivamente forme di invarianza verso qualsiasi trasformazione.
Ma â dobbiamo chiederci â ha senso parlare, al giorno dâoggi, di identitĂ culturale? Non Ăš forse piĂč ragionevole sottolineare la pluralitĂ delle identitĂ culturali che convivono sul pianeta e che â se Ăš vera lâaffermazione di Balibar a proposito dellâintrinseco carattere invariante di ogni cultura â si configurano anzitutto come differenze culturali?
Ed in effetti, la perdita di centralitĂ di quelle concezioni filosofiche che fondavano la realtĂ ed il sapere sul postulato di una ragione universale e unitaria, ha indotto a porre lâaccento sulla pluralitĂ , sullâautonomia delle culture, sulle differenze culturali.
Negli anni Sessanta del secolo scorso, si sono affermati non solo il pensiero «sessantottino», ma anche i movimenti di donne e di omosessuali, fonte di rivendicazioni attorno ad unâidentitĂ di genere, e â su un piano affatto differente â i gruppi che ponevano il problema di unâidentitĂ regionale, contribuendo al cosiddetto ethnical revival17 o la variante ecologista, con le battaglie per la preservazione della natura. Ancora, la medesima volontĂ di riscoperta di una propria identitĂ culturale si Ăš manifestata nei settori della malattia, dellâhandicap, della determinazione razziale (movimenti dei neri americani) o etnico-religiosa (esperienza degli ebrei della diaspora a confronto con lo Stato di Israele).
Elemento comune a movimenti e identitĂ culturali tanto differenti era (e rimane a tuttâoggi) la volontĂ di invertire lo stigma, attraverso un processo che conduce unâidentitĂ â sino a quel momento nascosta e rimossa â a volersi affermare come identitĂ culturale, assunta come connotativa18.
Negli anni successivi, tali richieste di riconoscimento si sono evolute in vario modo, caricandosi di una maggiore e piĂč netta valenza sociale, sovente unendo significati religiosi ad aspettative sociali, ma sempre sottolineando la differenza culturale.
Nellâattuale societĂ globalizzata, la differenza culturale assume sempre piĂč marcatamente il connotato di differenza etnica, nel senso che spesso lâidentitĂ culturale viene confusa con lâidentitĂ etnica (etnicismo), anche se â parallelamente â sempre si affaccia lâintento di mettere in guardia contro i tentativi di ridurre forzatamente lâidentitĂ culturale a carattere nazionale. Ambivalenza, questa, particolarmente presente in contesti in cui si ricerca lâidentitĂ tra nazione e cultura (le istituzioni internazionali, ad esempio).
LâidentitĂ Ăš sempre comunque in movimento, costruita e inventata: assistiamo, attualmente, ad un grosso fenomeno di enfatizzazione identitaria che sta producendo etnocentrismi, esasperazioni volte a rafforzare unâappartenenza di sĂ©, in opposizione allâappartenenza degli altri19.
Il dibattito antropologico piĂč recente si interroga e discute su questi problemi interpretativi: se vogliamo dare una definizione di identitĂ , dobbiamo dire che lâidentitĂ Ăš il precipitato della diversitĂ ; che non si puĂČ pensare unâidentitĂ senza la relazione con la diversitĂ . Ecco â allora â il discorso sulle minoranze, o meglio sulle «comunitĂ linguistiche». Lâidea di minoranza Ăš, nellâestensione stessa dellâuso semantico, debole ed inadeguata in una societĂ che ha come modello e paradigma di riferimento il modello quantitativo, cioĂš il numero che genera il consenso.
LâidentitĂ Ăš il prodotto del consenso, cioĂš della condivisione intorno a determinate idee, modelli di comportamento, visioni del mondo. Orbene, se il discorso sulle minoranze deve essere analizzato nelle sue profonditĂ , non si puĂČ non affrontare tale tema. Nella societĂ della globalizzazione ed omologazione planetaria, e quindi attraversata dallâansia identitaria, si afferma sempre piĂč il bisogno â da parte dei gruppi sociali, da parte di enclave dissidenti quali sono le minoranze (secondo la definizione dellâantropologa inglese Mary Douglas20) â di essere riconosciuti, di superare la «crisi della presenza», ovvero la paura di non esserci piĂč, secondo lâanticipatrice visione di Ernesto De Martino21.
In una societĂ dellâomologazione totale, che senso ha parlare di gruppi che si vogliono autodiversificare? Ă qui in gioco il meccanismo dellâautopercezione: lâidentitĂ va riportata allâambivalenza tra come i gruppi si autopercepiscono e come sono eteropercepiti.
Il senso di sĂ©, che un gruppo sociale o una minoranza etnica possiede, Ăš spesso diverso, in alcuni casi contrapposto, rispetto a quello che lâetnoantropologo ricostruisce; si apre quindi una forbice tra lâidentitĂ autopercepita e lâidentitĂ eteropercepita, distinzione sulla quale occorre fermarsi a riflettere.
Nel mondo industriale moderno, la cultura alta non Ăš piĂč privilegio di una minoranza, ma patrimonio della maggioranza della popolazione. Lâaccesso allâalta cultura attraverso lâistruzione Ăš â secondo Gellner22 â lâelemento che consente allâuomo moderno di comunicare al di fuori del ristretto gruppo della sua cerchia di appartenenza, rendendo la societĂ moderna potenzialmente cosmopolita. Per contro, sottolinea ancora Gellner, la realtĂ attuale mostra unâenfatizzazione del sentimento nazionale che contraddice lâipotesi dellâavanzare di una sorta di internazionalismo, di una fratellanza universale, resa possibile dallâestensione della cultura e dellâistruzione.
Il concetto alto di cultura, nellâaccezione attribuita a questa espressione da John Tomlinson23, Ăš la cultura come bene globale, che consente di approssimarsi allâaltro, favorendo lâabbattimento degli steccati ed una piĂč ampia solidarietĂ .
IDENTITĂ ALPINA
Alla luce dei piĂč recenti dibattiti socio-antropologici Ăš ancora lecito parlare di «cultura» t...