Capitolo 1
Momento ZERO.
Non câĂš pathos, non câĂš brand. Non câĂš relazione
Quante volte avete esclamato âMamma mia, ma questa campagna Ăš una tragedia!â (magari accentuando il drama feel con una doppia âgâ nella parola tragedia per dare piĂč enfasi alla vostra frase)?
Beh, sappiate che in realtĂ alcune volte dovreste sperare ardentemente che la campagna marketing, il post o la strategia che state andando a produrre abbiano la forza di essere definiti tragedia.
Dal punto di vista squisitamente etimologico, la parola âtragediaâ deriva dallâespressione greca tragĆidĂa, composto di trĂĄgos, âcaproâ, e Ćidáž, âcantoâ. Con il termine tragedia si indicava quindi un atto o rappresentazione in grado, attraverso un sacrificio importante, di placare Dioniso e dare pace allâessere umano.
Nei riti dionisiaci il sacrificio era di solito costituito dallâuccisione di uno piĂč capretti, il cui canto disperato (quel tragos oi dei) rappresentava metaforicamente la purificazione dellâessere umano che donava il suo bene piĂč prezioso al dio del vino, della vite, del delirio mistico e della liberazione dei sensi. Dioniso in cambio, se soddisfatto del sacrificio ricevuto, poteva ricompensare gli autori con viti rigogliose, ottimo vino e ispirazione per le arti mistiche, quelle contrapposte alla dimensione apollinea, una dimensione fatta di luce e serenitĂ .
Le arti mistiche erano un insieme di attivitĂ in grado di produrre la zoe, lâaccensione di quella scintilla di vita incontrollabile che rende lâessere umano pervaso di energia. Non tutte le rappresentazioni erano degne di acquisire il nome di âtragediaâ: per essere assimilate allâeffetto vitale del canto dei capri, le rappresentazioni teatrali dovevano essere ricche di pathos, una forma di passionalitĂ ricca di concitazione che infuoca in modo drammatico lâessere umano, a differenza delle commedie, pervase invece dallâethos, ovvero da una passionalitĂ tenue. La carica di pathos di cui dotiamo una determinata narrazione ne decide la natura e la rende memorabile. Pensiamo a frasi celeberrime come: âEssere o non essere: questo il problemaâ. Pronunciata da un attore professionista e da un uomo comune, a seconda della carica emotiva, del contesto e dellâoccasione, la citazione diventa memorabile o banale, nonostante la cultura comune e condivisa in cui lâabbiamo appresa sia sempre la stessa.
La massima shakespeariana citata Ăš sintomo di uno stato o situazione di dubbio apparentemente irrisolvibile: tale frase puĂČ essere trasposta nella semplice quotidianitĂ , assumendo quindi i toni iperbolici del grottesco, o permanere allâinterno di spinose problematiche morali, mantenendo la sua austera complessitĂ . Al di lĂ del valore di uso di questa espressione (eh sĂŹ, Ăš necessario chiedere aiuto alla semiotica per spiegare questo percorso critico), il valore di base di questa massima ha come carica patemica lâessere brand di una scelta delicatissima, in cui tutte le opzioni disponibili sono cariche di dramma. Se non vi fosse una costruzione narrativa patemica, universale e condivisa allo stesso tempo, il brand di quellââessere o non essere: questo Ăš il problemaâ non esisterebbe. Sarebbero solo parole gettate al vento destinate a perdersi fra i meandri delle elucubrazioni mentali. Senza pathos narrativo universale e condiviso non esiste brand.
PerchĂ© alla fine, a che cosa serve creare un grande racconto, caricarlo di significato, strutturarlo per renderlo universale se poi lo si tiene chiuso a una ristretta Ă©lite e non si Ăš in grado di relazionarlo alla natura umana, in modo tale che lâessere umano stesso si rispecchi in quella narrazione facendola sua attraverso la condivisione quotidiana?
Il brand non Ăš altro che una narrazione condivisa universale, in cui la costruzione patemica fa la differenza di risultato.
In questo manuale, partendo dalle leve relazionali dellâuomo e non del prodotto, cercheremo di capire insieme che ciĂČ che importa per fare brand non riposa solo nella buona grafica, nella buona copertura e nella buona capacitĂ di distribuzione, ma nella costruzione della percezione di quel brand attraverso le relazioni.
Tra noia e fiducia nei ruggenti anni del brand liquido
Per sua definizione, il relationship marketing Ăš quella disciplina che si focalizza sulla crescita del business attraverso la fidelizzazione dei propri clienti. Per questo motivo, Ăš la piĂč socioculturalizzata fra le leve del marketing.
Il RM dovrebbe essere, in tutto e per tutto, una voce di investimento allâinterno dei piani marketing, da basare su:
costruzione di nodi di interesse;
sviluppo dei nodi di interesse;
valorizzazione dei nodi di interesse;
polarizzazione dei nodi di interesse;
fortificazione dei nodi di interesse;
trasferimento dei valori dalle âteste di arieteâ (influencer o KOL, Key Opinion Leader) dei nodi di interesse a âfattori moltiplicatoriâ esterni alla rete iniziale, sulla base della credibilitĂ .
In sostanza, in un buon piano marketing dovrebbe esserci una voce di costo e di obiettivo divisa fra âcarichi uomoâ e âspese esterneâ per attuare strategie di relationship marketing. Questa voce, a sua volta, dovrebbe avere non solo un âcostoâ, ma anche una mission da perseguire per stabilirne i parametri di successo.
Relationship marketing: no mission, no money
Ricordiamoci sempre: âNo mission no money. No money no missionâ. Se non si Ăš in grado di progettare la mission delle attivitĂ relazionali, vuol dire che si pensa di creare âpunti di interesseâ senza avere una reason why atta a sorreggere quel programma relazionale. E senza reason why, o meglio senza purpose, si puĂČ contare su mercenari ma non su patrioti del brand. La differenza sostanziale fra i due tipi di figure Ăš semplice: coi mercenari si sviluppano contratti. Con i patrioti del brand si sviluppa fiducia, ovvero una rete di interesse potenzialmente pronta a âcontagiareâ altre bolle sociali, in maniera piĂč o meno âpubblicitariaâ, perchĂ© le reti di branding sono in grado di far scomparire tutte le politiche di pricing per far posto a quelle esperienziali.
âCoi mercenari si sviluppano contratti. Con i patrioti del brand si sviluppa fiducia.â
Alla fine di questo manuale, al di lĂ di tutto, tenete a mente questo concetto: âPeople do business with people they know, like and trustâ (Bob Burg).
Relationship marketing: mission, money e misurabilitĂ
Una volta assegnati mission & money, il relationship marketing non puĂČ rimanere semplicemente una voce di costo. Come ogni leva di marketing, deve avere un suo obiettivo e una sua misurabilitĂ . E qui si apre la grande colpa del marketing relazionale: come si misura? Qual Ăš il suo reale ritorno? Quali sono i parametri?
Misurare il successo di una campagna di advertising Ăš una attivitĂ sicuramente non semplice ma numericamente attuabile. Faccio un esempio molto semplice: stabilisco un budget di investimento sul circuito pubblicitario Facebook di 100 euro al giorno su un determinato target. Dopo 60 giorni, consultando il pannello di controllo, vedo che non ho ancora avuto vendite. Posso cambiare dei parametri nella campagna, posso modificare la landing di atterraggio oppure posso scegliere di sospendere la campagna perchĂ© so, in maniera oggettiva, che se ho settato bene il tracciamento della campagna, il problema non Ăš in essa ma in ciĂČ che sto promuovendo. In sostanza, posso fare unâanalisi numerica con una metodologia scientifica.
Diverso Ăš lo scenario per il marketing relazionale: non Ăš immediato capire i parametri per cui il mio investimento in relationship marketing non mi sta portando i risultati sperati.
In molti, negli anni, hanno cercato di creare delle piattaforme per risolvere questo problema. Non sono forse like e reaction una primitiva forma di misurazione della propria apparente influenza sociale e quindi, per molti, di capacitĂ relazionale?
Facciamo un poâ di ordine sul tema. Il primo grande errore Ăš misurare una disciplina socioculturalizzata come questa attraverso parametri mutuati da altri ambiti. Come facciamo in una campagna commerciale di lead generation? Ă âsempliceâ: prendiamo lâinvestito e i lead ottenuti, valutiamo il costo per lead, dopo X mesi vediamo quanti lead si sono trasformati in contratti. E da lĂŹ capiamo che tipo di spesa e su che tipo di piattaforme dobbiamo andare per avere lead di qualitĂ .
Ma qual Ăš il valore di una relazione? Se siamo in ottimi rapporti con unâistituzione ma quella istituzione non ci firma contratti, vale la pena continuare a investire tempo per mantenere quel rapporto?
Per ottenere una risposta a queste domande, Ăš necessario guardare il relationship marketing dal punto di vista dellâassenza e della temporalitĂ . Il RM per essere messo in campo si muove sul budget piĂč raro in azienda: il tempo. Dire che si fanno campagne di marketing di relazione Ăš molto scorretto: si fa marketing relazionale. Punto. 12 mesi allâanno, 365 giorni su 365. Senza se e senza ma. PerchĂ© il valore del marketing relazionale e la chiave della sua misurabilitĂ riposano nella sua assenza: quanto vale essere in una foto di una conferenza stampa di un determinato ente territoriale? Molto, se vendiamo servizi territoriali, in quanto lâente ha dato fiducia alla nostra realtĂ e ha scelto di mostrarla in pubblico. I risultati del marketing relazionale si misurano in anni, non portano redditivitĂ immediata ma buona reputazione, che ci apre porte come nessun servizio di lead generation potrebbe mai fare.
âI risultati del marketing relazionale si misurano in anni.â
Sono...