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Vite in quarantena
Giuliana Attanasio, Riccardo Matlakas
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Vite in quarantena
Giuliana Attanasio, Riccardo Matlakas
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Un resoconto di respiro internazionale sul 2020, anno tristemente funestato dalla pandemia di Covid-19. Oltre alle testimonianze della psicologa Giuliana Attanasio e dell'artista Riccardo Matlakas, raccontano le proprie idee ed esperienze anche artisti, dottori e scienziati provenienti da tutto il mondo (tra i quali Sadhguru, ma anche artisti storici come ORLAN e Stelarc), ognuno con un occhio diverso su un dramma che sta colpendo tutti senza fare distinzioni.
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Ciencias socialesSous-sujet
Ensayos en sociologĂaCapitolo 1
A cura di Riccardo Matlakas
In questo capitolo, mi limito a descrivere esperienze e pensieri personali connessi al periodo vissuto durante il lockdown del 2020 in Inghilterra.
Durante la mia carriera artistica, ho avuto lâoccasione di viaggiare in molti Paesi del mondo e persino risiedervi, in alcuni casi. Ho vissuto per molti mesi in nazioni con costumi, modi di vivere e problematiche molto differenti rispetto ai miei. Siccome il mio lavoro da artista molto spesso si avvale di nozioni di ricerca antropologica, ho sempre, in modo naturale e con curiositĂ , studiato a fondo la cultura degli altri, anche se la mia piattaforma di partenza Ăš, e sarĂ sempre, lâarte, che mi ha dato la libertĂ di sperimentare.
Infatti, per me lâarte non Ăš solo estetica, ma un modo per capire il senso della vita e i rapporti umani, trovando tecniche innovative per la crescita della mia coscienza come individuo. Lâarte per me Ăš, quindi, âscoprire la vitaâ attraverso il mio pensiero, nonchĂ© il mio personale modo di essere. Lâarte Ăš un linguaggio che arriva dritto allâessenza, toccando le emotivitĂ di altri individui. Uso lâarte, dunque, per comunicare con un linguaggio universale, intrinsecamente riconosciuto da tutti gli esseri umani.
Viviamo in un mondo di vibrazioni, attraverso cui comunichiamo lâuno con lâaltro. Lâarte visiva, la scrittura, la musica, lo sport, le passioni, i dialoghi, i silenzi, le assenze e le presenze sono tutte onde che percepiamo sia inconsciamente che consciamente. Lâarte Ăš presente non solo sul piano visivo, uditivo e percettivo, ma ovunque esista il mistero, la creativitĂ , il gioco, la serietĂ , la scienza, creando magia su tutti i fronti.
1.1 Prima del lockdown
Per anni, ho viaggiato molto per mostrare le mie opere e le mie azioni performative. Ho avuto lâoccasione di capire profondamente molte culture, a me precedentemente estranee. Incredibilmente, sono riuscito a cogliere lâessenza di altre civiltĂ attraverso il mio operato artistico.
Nel 2014 fui inviato alla Biennale di Gwangju in Corea del Sud per creare una performance sulla rivolta di Gwangju in favore della democrazia, avvenuta nel 1980. La Corea del Sud oggi Ăš un paese libero, ma ha dovuto affrontare molte questioni di carattere repressivo.
Per creare una performance sulla rivolta di Gwangju, mi sono dovuto immedesimare, come se fossi stato io stesso uno dei civili coinvolti nel massacro. In occasione della biennale del 2014, ho creato la mia performance intitolata Idem Quod.
Idem Quod Ăš una performance multidisciplinare che va a coinvolgere la danza, le arti performative, lâarte visiva e la musica. Durante la performance assunsi la posa dellâinfante, classica posizione della danza tenebrosa giapponese Butoh, accompagnandola a una risata interiore per simboleggiare la nascita e rappresentare la purezza. La risata viscerale dopo svariati minuti diventĂČ quasi come un lamento di dolore, ciĂČ per simboleggiare la crescita e lâapertura verso il mondo adulto, pieno di avversitĂ . Alla fine, suonai il piano a coda del musicista coreano Lim Dong-Chang (con aggiunta di soldatini giocattolo sui tasti del piano e la cassa armonica). Suonai, poi, un pezzo in onore delle persone che hanno combattuto per la propria libertĂ , cominciando dai toni alti fino a quelli piĂč bassi, evidenziando cosĂŹ il tocco drammatico della vita.
Un momento di connessione con un popolo apparentemente âdiversoâ dal mio, ma che in quel frangente ha saputo riconoscersi in me, uno straniero, il quale, almeno per un instante, Ăš riuscito a diventare parte della sensibilitĂ collettiva locale.
I viaggi si facevano sempre piĂč intensi, portandomi successivamente in molte cittĂ europee, ma anche in Russia, Palestina, Africa del Sud, Giordania, Ucraina, Corea del Sud, nellâarea demilitarizzata tra le due coree (DMZ area), nelle Mauritius, in Armenia, Nagorno-Karabakh, Iran, Stati Uniti e tanti altri luoghi.
Alcune delle performance piĂč iconiche che ho portato in spazi urbani sono state: Sweet Thorn, Melting Borders, The Last Soldier e Pyjamas Party, centrate sulla destrutturazione della forma esistente. Sentivo che, al giorno dâoggi, a causa di tutti gli eventi a cui siamo esposti, stiamo vivendo una sorta di destrutturazione.
In Sweet Thorn, ho creato una struttura in filo spinato di 100 metri, che mi ricopriva tutto il corpo, la struttura era adornata da 100 rose. Durante la performance, che Ăš durata circa unâora, tagliavo pian piano pezzi di filo spinato, mentre gonfiavo palloncini bianchi con su scritte parole che rappresentano tutto ciĂČ che nuoce alla societĂ : razzismo, guerra, economia, etc. I palloncini, incastrati tra il filo spinato, scoppiavano. Con ogni palloncino rotto e un pezzo di filo spinato creavo, quindi, un fiore artificiale che, insieme a una delle rose, andava in regalo a un passante, come simbolo di trasformazione. Con lâatto di donare mi liberavo dalla struttura in ferro spinato.
In Melting Borders, ho costruito un elmetto che reggeva 5 gelati. A seconda del paese in cui mi trovavo, cambiavo il colore dei gelati in base alla bandiera della nazione stessa. Dopo circa unâora di cammino in cittĂ principali o confini, mi ritrovavo sul capo e sulla camicia bianca una sorta di dipinto astratto, creato dai gelati sciolti. Le camicie, che tuttora conservo, rappresentano le âbandiere dolciâ, ossia bandiere astratte, non piĂč con un riferimento diretto a una particolare nazione. Le nuove bandiere non hanno razza nĂ© provenienza, esse sono lâastrazione disciolta del concetto di identitĂ nazionale. Un concetto che non fa altro che creare muri.
In The Last Soldier, ho chiesto in prestito a un giovane soldato la sua divisa armena e, sul confine con lâAzerbaijan, precisamente
a Artsakh, Stepanakert, ho camminato in slow motion per tre ore, tenendo una pietra di tufo rosso sulla spalla (parte di una chiesa distrutta durante un attacco da parte degli Azeri), che rappresentava le macerie dei dolori passati, e un fiore bianco in una mano, a rappresentare speranza per il futuro.
a Artsakh, Stepanakert, ho camminato in slow motion per tre ore, tenendo una pietra di tufo rosso sulla spalla (parte di una chiesa distrutta durante un attacco da parte degli Azeri), che rappresentava le macerie dei dolori passati, e un fiore bianco in una mano, a rappresentare speranza per il futuro.
The last Soldier (letteralmente Lâultimo soldato) mostra la parte piĂč intima di un giovane soldato, non la parte del combattente, ma quella di colui che ha sogni, amore e sensibilitĂ . Lâultimo soldato sarĂ forse il militare che non servirĂ piĂč la guerra, ma che, camminando molto lentamente, rifletterĂ sul futuro di una societĂ migliore, senza armi nĂ© guerre. Anche se ero solo durante la performance, mi sentivo in una marcia di pace, con le anime di tutti i morti di guerra dietro di me.
In Pyjamas Party a Kharkiv in Ucraina, con lâaiuto di persone locali ho cucito un pigiama per un carro armato della Seconda guerra mondiale. Dopo un periodo di preparazione tecnica e una settimana di duro lavoro, ho dato vita a unâazione della durata di due ore, in cui Ăš avvenuta la vestizione del carro armato. Da una macchina di sterminio mi sono ritrovato a creare un essere docile e dormiente. Un modo catartico di mandare guerre e conflitti a nanna.
Al ritorno di tutta una lunga serie di viaggi tra mostre e performance, ho sentito un grande bisogno di rimanere a casa e lavorare in studio, riflettere e godermi un poâ di routine.
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