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Ripartenza o Apocalisse?
Pasquale Ciacciarelli
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Ripartenza o Apocalisse?
Pasquale Ciacciarelli
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Una grande voglia di riscossa.
Che va al di là dei disastri, sanitari ed economici, dovuti al Covid-19 e al modo in cui il governo Conte II ha gestito l’emergenza.
La pandemia non spiega tutto. E non giustifica niente. L’Italia era già malata da prima e se vogliamo guarire davvero dobbiamo partire da qui. Da un brutale inventario dei guasti e dei vizi che ci affliggono.
Il lato oscuro è questo. Quello luminoso, invece, è l’insieme degli straordinari talenti di noi italiani. Dobbiamo fare in modo che possano esprimersi appieno: la riscossa che vogliamo arriverà di conseguenza.
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Business allgemeinVII. I giovani: un entusiasmo da riaccendere
Una âquestione giovanileâ esiste davvero, qui in Italia.
Ed Ăš grave. O persino gravissima. In essa, infatti, si riversano sia le ombre del presente, dovute a una lunga serie di vizi maturati in precedenza e mai corretti, sia quelle che aleggiano sul futuro, sullâonda di un acuirsi della competizione economica internazionale e dellâavvento ormai incombente dellâIntelligenza Artificiale.
Il ventaglio di queste traversie Ăš molto ampio, e in un modo o nellâaltro se ne parla parecchio, ma un rapidissimo riepilogo va fatto. Chiarendo immediatamente, perĂČ, che il termine âgiovaniâ rischia di essere fuorviante: se Ăš vero come Ăš vero che la crescente insicurezza delle condizioni socioeconomiche investe i nati dagli anni Settanta in poi, Ăš molto piĂč corretto parlare di ânuove generazioniâ.
Basti ricordare, al riguardo, che lo stravolgimento del sistema pensionistico con il passaggio dal calcolo retributivo a quello contributivo risale a venticinque anni fa, con la Legge 8 agosto 1995, n. 335 (la cosiddetta Riforma Dini): un ciclone che si Ăš abbattuto su chiunque non avesse ancora maturato il diritto di lasciare il lavoro alle condizioni previgenti, ma che ha colpito in pieno chi abbia iniziato a lavorare dal primo gennaio 1996.
In pratica, quindi, chiunque sia nato dopo il 1970 si Ăš trovato a dover âgiocareâ una partita diversa e sempre piĂč difficile. Che nei decenni successivi si Ăš aggravata ulteriormente, sotto il peso di molteplici spinte: la âriforma Biagiâ del mercato
del lavoro introdotta dal Decreto Legislativo 10 settembre 2003, n. 276, la crisi mondiale del 2008, e via peggiorando.
del lavoro introdotta dal Decreto Legislativo 10 settembre 2003, n. 276, la crisi mondiale del 2008, e via peggiorando.
Lâasse portante di questo inasprimento senza fine Ăš la dilagante difficoltĂ nel trovare unâoccupazione stabile, in linea con gli studi compiuti e retribuita in maniera almeno decente. La precarizzazione dei contratti e le penose conseguenze sullâammontare delle pensioni non sono affatto delle difficoltĂ transitorie ma una realtĂ strutturale. CosĂŹ come lo Ăš il persistente divario tra Nord e Sud.
Un quadro desolante e autolesionista che induce troppi giovani, e spesso dei piĂč qualificati, ad andarsene allâestero.
Ă il noto e irrisolto problema dei âcervelli in fugaâ: connazionali che studiano qui, e quindi a carico, per lo piĂč, della Pubblica Istruzione e delle casse dellâErario, ma che una volta laureati se ne vanno a lavorare altrove. Facendo una scelta di sopravvivenza o di affermazione individuale che, per quanto comprensibile, segna una duplice sconfitta: per loro che si consegnano a una vita lontana dalle proprie radici; per lâItalia intera che perde delle energie di valore, che essa stessa ha formato e che potrebbero rafforzarla.
Che occuparsi di tutto questo sia doveroso e urgente non câĂš alcun dubbio. Ma per farlo come si deve bisogna subito sgombrare il campo da una mistificazione insidiosissima. Allestita, manco a dirlo, allo scopo di falsare i termini del problema nel tentativo, lâennesimo, di disconoscere qualsiasi responsabilitĂ âdi sistemaâ per gli squilibri sociali ed economici che si sono prodotti nel nostro Paese negli ultimi decenni. Quando, cioĂš, si sono venute a sovrapporre due tendenze di segno opposto.
Di qua lâimpostazione tipica della Prima Repubblica, che un poâ per idealismo e molto per clientelismo, o quantomeno per demagogia elettorale, aveva spinto verso unâespansione accelerata del benessere diffuso, a colpi di innalzamento dei livelli di reddito e di ampliamento delle misure di welfare.
Di lĂ lâaffermarsi sulla scena internazionale di una controffensiva liberista, sorta tra Inghilterra e USA sullâasse Thatcher-Reagan, che ha iniziato a enfatizzare il ruolo dei Mercati mitizzandone le capacitĂ di autoregolazione e apprestandosi cosĂŹ a erodere, qui in Europa, le tutele in chiave socialdemocratica che erano state introdotte dagli anni Cinquanta in poi.
Questa mistificazione, talmente ripetuta e strombazzata da essere diventata un luogo comune, Ăš la cosiddetta âguerra generazionaleâ. O addirittura la âguerra civile generazionaleâ. Qualcuno ci aggiunge anche lâaggettivo per sottolineare la natura fratricida di uno scontro che avviene allâinterno della medesima nazione. Tra padri e figli, diciamo cosĂŹ. O tra nonni e nipoti.
Secondo i sostenitori di questa pseudo spiegazione, infatti, la responsabilitĂ delle enormi difficoltĂ con cui sono costrette a misurarsi le nuove generazioni Ăš di chi Ăš nato in precedenza e ha dilatato eccessivamente i propri benefici, dapprima lavorativi e poi pensionistici. Dopo di che, appellandosi al principio giuridico per cui i diritti acquisiti non possono essere toccati, si sarebbero rifiutati di riconoscere che quei vantaggi si sono via via trasformati in favoritismi. Il cui prezzo, ormai insostenibile, ricade appunto sui piĂč giovani.
Che cosa câĂš che non va?
Ă presto detto: quello che non va â e che dovrebbe balzare agli occhi â Ăš che gli artefici di questa situazione non sono affatto le generazioni precedenti, prese in blocco e senza distinguere tra chi ha avuto un potere decisionale e chi invece si Ăš limitato a fruire delle normative esistenti. Mettere la cosa in questi termini significa colpevolizzare una miriade di cittadini che non hanno fatto nulla di deliberato contro le nuove generazioni e che ancora meno hanno progettato quel divario a proprio vantaggio.
Lâesito Ăš paradossale. Ma per nulla casuale.
Colpevolizzando la massa indistinta dei cittadini, infatti, le classi dirigenti si autoassolvono dallâavere operato male. O dal non avere operato affatto, lasciando che certe dinamiche si snodassero da sĂ©. Si aggravassero da sĂ©.
Delle due lâuna: o quegli sviluppi socioeconomici non si potevano prevedere, e figuriamoci pianificare, e in tal caso il torto per quello che Ăš accaduto in seguito non Ăš di nessuno, ma men che meno della generalitĂ di quelli che sono nati prima degli anni Settanta; oppure si tratta di tendenze che era possibile immaginare, o persino predisporre, e quindi la responsabilitĂ ricade in massima parte su chi ha governato, senza assolvere al compito di prospettare gli scenari futuri e di individuare le soluzioni ai problemi che ne sarebbero scaturiti.
Certo: nel corso degli anni non sono mancati coloro i quali hanno approfittato di determinate situazioni e di determinate norme. Come quella, per citarne solo una, delle assurde âbaby pensioniâ che grazie a un Dpr di fine 1973 consentivano
ai dipendenti pubblici di lasciare il lavoro con enorme anticipo, fino al caso estremo delle donne sposate e con figli che potevano farlo con appena quattordici anni sei mesi e un giorno di contributi versati. Ma lâopportunismo dei privati non basta certo a ribaltare i termini della questione: la colpa degli immani squilibri che si sono manifestati in seguito Ăš innanzitutto di chi, rivestendo delle cariche pubbliche, quelle situazioni collettive le ha assecondate e quelle norme le ha emanate. Non dei singoli cittadini, ancorchĂ© numerosi, che se ne sono avvalsi.
ai dipendenti pubblici di lasciare il lavoro con enorme anticipo, fino al caso estremo delle donne sposate e con figli che potevano farlo con appena quattordici anni sei mesi e un giorno di contributi versati. Ma lâopportunismo dei privati non basta certo a ribaltare i termini della questione: la colpa degli immani squilibri che si sono manifestati in seguito Ăš innanzitutto di chi, rivestendo delle cariche pubbliche, quelle situazioni collettive le ha assecondate e quelle norme le ha emanate. Non dei singoli cittadini, ancorchĂ© numerosi, che se ne sono avvalsi.
Lâonere del governare consist...