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ConvivialitĂ delle differenze. Omelie crismali
don Tonino Bello
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ConvivialitĂ delle differenze. Omelie crismali
don Tonino Bello
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Che cosa ci manca: la convivialitĂ o la differenza? Lo stare insieme o la genialitĂ pastorale? L'essere solidali attorno a un progetto comune o la fantasia di quegli originali percorsi alternativi che nascono dall'amore? Consumiamo pasti prelibati ma chiusi nei nostri bunker, o mangiamo, seppure attorno a un'unica tavola, ogni giorno pietanze uniformi e senza sapore? Ci stringiamo a tavola perchĂš gli altri stiano piĂč comodi? O ci infastidisce ogni arrivo fuori orario? Spezziamo il pane di grano della comunione e mesciamo il vino della letizia, o serviamo le "erbe amare" del tradimento, con l'aceto del disprezzo e la mirra dell'indifferenza?
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Sous-sujet
ReligionTorchio e Spirito
(1993)
Olio fluente che sembra gemere ancora sotto la stretta dei frantoi.
Olio che lampeggia ai raggi del sole e provoca riflessi di santitĂ .
Olio che inonda, come negli antichi trappeti, tinozze di legno con un carico di tenerezza.
Ă lâolio oggi il protagonista di questa liturgia.
Olio che provocava, piĂč di ogni altro segno sacramentale, lo stupore delle moltitudini che si raccoglievano nelle Cattedrali del Medio Evo, tra alitare di infule e tra volteggi di note gregoriane: Ave Sanctum oleum (Olio Santo, Ti saluto).
Lâolio proviene dal tormento dei torchi. PerciĂČ, oggi, Ăš inesorabile che si debba parlare del gemito del mondo che, in questi giorni, ci sta lacerando lâanima.
Ma siccome lâolio che tra poco con la preghiera consacratoria del vescovo brillerĂ nellâiride del crisma profumato Ăš simbolo dello Spirito, Ăš altrettanto inesorabile parlare di gioia, di speranza, di luce, di attese, perchĂ© lo Spirito non ha abbandonato la Terra, ma la riempie ancora della sua potenza e della sua gloria.
Alcuni anni fa ho visto, in un santuario della Calabria, un singolare Crocifisso proveniente dal Centro America. La Croce era costituita da un torchio pesante stritolato da schiavi. Tra una barra e lâaltra che si stringevano in una morsa mortale, câera Lui dai cui fianchi e dalle cui membra schizzavano fiotti di lacrime e di olio.
Lâolio andava a toccare tutte le realtĂ umane ferite dal dolore: le terre dei campesinos, il pianto dei deportati e degli oppressi, la disperazione torchiata ogni giorno dalla cattiveria degli uomini o dalle intemperie dellâatmosfera.
Ma scendeva anche a illuminare albe di Risurrezione, mondi riscattati dalle ingiustizie, spazi sconfinati su cui si tocca la presenza di Dio.
Torchio e Spirito, dunque.
Giorno del torchio, e giorno dello Spirito.
Il giorno del torchio
Non sfugge a nessuno che stiamo vivendo âdies amaritudinisâ quali ci Ăš sembrato di non vivere mai. Perfino ad adattarsi sulla rievocazione delle violenze si dĂ lâimpressione di essere stancamente ripetitivi.
La situazione internazionale, gli eccidi, gli spettacoli della fame ci sfilano davanti agli occhi come grondaie inconsumabili, e si ha la tentazione di pensare a situazioni senza sbocco.
La condizione nazionale ci fa a volte dubitare perfino del nostro equilibrio mentale, a tal punto si sono allontanati i parametri del nostro comune sentire da comportamenti non piĂč inquadrabili in un minimo di moralitĂ .
La nostra coscienza morale ne esce schiacciata da questa temperie di dolore.
Ă il tempo del torchio. Ă il tempo della pressura. I frantoi scrosciano delirio. Il nostro animo si gonfia di turbamento. Siamo presi dallo sconforto.
âMagna sicut mare contritio meaâ (âGrande come il mare Ăš la mia sofferenzaâ â Ger. 2, 13). Ă lâespressione di Geremia che la Chiesa adatta sulla bocca di Maria schiacciata un tempo anchâessa dal torchio del Figlio e oggi desolata per i frantoi dei figli.
Quando poi, a questa pressura provocata dalla barbarie degli uomini, si aggiunge lo sgocciolare della sofferenza personale permessa dal disegno provvidenziale di Dio, si percepisce il torchio come ceppo che ti incatena e ti inchioda al legno della ineluttabilitĂ .
Il giorno dello Spirito
Ma oggi Ăš anche il giorno dello Spirito.
Senti nellâaria rintocchi arcani di felicitĂ i quali annunciano che non Ăš finita per il nostro vecchio mondo: lâaroma dellâolio misto a balsamo inonderĂ tra poco il tempio, e dal tempio le strade, e dalle strade le case, e dalle case i campi, il mare, il cielo.
Ă il crisma, segno dello Spirito che si riprende i suoi spazi, che rioccupa le zone da cui si pensava fosse stato rimosso, che sembrerĂ come patina dâoro sulla superficie delle cose, anzi ne squarcerĂ lâanima e le consacrerĂ , orientandole giĂ da ora verso lâomega della nostra esistenza redenta.
Celebrando, allora, la âGloria di Colui che tutto muove e lâuniverso penetra e risplendeâ, celebriamo la festa della speranza. Certo, non possiamo nasconderci la gravitĂ del momento. I segni dei tempi sono minacciosi. Il rosso di sera non compare allâorizzonte. Ă giĂ tardi.
Ma, davanti allâampolla del crisma, che volete che sia il precariato del nostro disagio?
Non vedete quanti fiori spuntano sulle piante dei nostri giardini? Se câĂš un rammarico in coloro che le condizioni di salute rendono preoccupati della loro vita, Ăš proprio il prevedere di non vivere a sufficienza per poter assistere alla raccolta dei frutti i cui semi piangendo abbiamo sepolto nei solchi, e le cui spighe traboccheranno da silos di felicitĂ .
Non vedete quanta gente lavora per il Regno di Dio?
Non vi accorgete di quanta gente, pure apparentemente fuori dai nostri perimetri cristiani (atei, miscredenti), assume la solidarietĂ , la gratuitĂ , la lotta per la pace come criteri supremi della propria vita morale?
Ă vero che camminiamo tutti sui fili infĂŹdi delle tangentopoli, ma chi non si accorge che la trama del volontariato (casalingo, nazionale ed internazionale) ci avvolge sotto spirali dâamore?
Ă vero che il processo di violenza non puĂČ lasciarci tranquilli ma Ăš anche vero che andiamo sperimentando la presenza di turbe di gente che non si sono arrese alla barbarie dei cavernicoli.
Ă vero che rispuntano rigurgiti di guerra; ma Ăš anche vero che gli stimoli di pace li si puĂČ cogliere ad ogni svolta di siepe.
Ă vero che i giovani fanno problema per la loro indifferenza di fronte ai mali della terra; ma Ăš anche vero che non sanno a chi rivolgersi piĂč per chiedere luce. Quante loro lettere mi parlano di cieli nuovi e terre nuove, in cui lo slancio dellâutopia si coniuga con la praticitĂ dei progetti e con il coraggio di portarli a buon fine.
E poi la gente. Quando viene a trovarmi, in questi giorni della mia Pasqua, io rimango sempre piĂč colpito dalle spalle. Come sono evocatrici di speranza le spalle degli ospiti quando prendono congedo da un ammalato e tu ti lasci prendere dalla invocazione: grazie Signore, perchĂ© al mondo hai messo questa gente. E ce nâĂš tanta; e sono i piĂč!
I progetti dello Spirito
E ora, in questa situazione di marasma generalizzato, abbiamo il dovere di chiederci quali compiti oggi lo Spirito Santo ci affida per rendere piĂč felice la gente.
Qual Ăš il nostro posto? La chiusura, il ritiro nella sicurezza dei nostri rigidi principi, la presa di distanze dal mondo al quale siamo chiamati a portare la nuova Evangelizzazione?
Oggi non dovremmo uscire da questo Tempio se nella cartella non abbiamo chiaro il diario dei nostri compiti a casa che, proprio in questa Messa Crismale, lo Spirito ci assegna.
E allora io penso che lâindicazione fluente dal Sacramento dellâOlio sia questa: oggi, come non mai, si sta prendendo coscienza dellâorigine e del destino âunicoâ dellâumanitĂ . Ne deriva che devono cambiare, decisamente, i nostri rapporti con lâaltro, non solo con i terzomondiali ma anche con chi abita al pianerottolo di fronte. Se non ci diamo una regolata al riguardo, con che faccia torneremo, stasera, nelle nostre ComunitĂ dicendo che abbiamo celebrata la festa dello Spirito che unifica, che lega, che rompe i sistemi, che dĂ sapore di famiglia alle nostre convivenze?
Amiamo il mondo e la sua storia. Vogliamogli bene. Prendiamolo sotto braccio. Usiamogli misericordia. Non opponiamogli sempre di fronte i rigori della legge se non li abbiamo temperati prima con dosi di tenerezza. Dalle nostre comunitĂ si sprigioni tanta simpatia nei confronti delle Istituzioni pubbliche. Siamo chiamati a collaborare non a contrapporci, a incoraggiare non a guardare unicamente con occhio critico, a gioire quando i progetti degli altri vanno a buon porto e a rattristarci quando falliscono.
Apriamo le nostre Chiese. Anche esteriormente siano segni, sia pur lontani, dellâaccoglienza di Dio.
Si faccia sempre piĂč pressante sulle vostre labbra il canto di Pentecoste: âemitte coelitus lucis tuae radiumâ.
Tanti auguri popolo di Dio
Il Signore ti accompagni in questo tuo viaggio dellâesodo. Non temere la defezione dei capi o lâassalto dei lupi o la fame nel deserto o i serpenti velenosi. Il Signore, di notte, ti starĂ vicino sotto la nube luminosa e, durante il giorno, ti preparerĂ una tenda sotto cui riposare le tue membra sfinite.
E tanti auguri a voi, carissimi presbiteri e diaconi.
Solo il Signore sa come vorrei ripagarvi di tutte le premure pastorali, dellâalto senso di responsabilitĂ e della grande âaffectio collegialisâ con cui avete continuato a far profumare il pane nella madia di casa. Lâunico modo con cui posso sdebitarmi Ăš offrire a voi le mie sofferenze e la mia preghiera.
Brilli sulla vostra fronte e nelle vostre mani il Santo Crisma.
Profumate il mondo.
Il popolo, rinnovato dal vostro esempio e sospinto dal vostro entusiasmo, vi cinga di solidarietĂ , di affetti e di collaborazioni sincere. Aiutatelo nel compito a casa che oggi gli viene assegnato.
Siate felici per lâoffertorio della vostra vita.
Possiate godere lâintimitĂ del Signore e sentirvelo vicino nei momenti piĂč tribolati.
Incrementate la letizia della Chiesa quando vi vede uniti negli incontri periodici oppure per ricreare nellâamicizia i vostri fraterni rapporti.
Cantate la speranza. E se io non potrĂČ immergermi nel vostro concerto posso darvene ancora lâintonazione.
La Vergine Santa ci prenda per mano.
8 aprile 1993
(Omelia dettata da don Tonino
e letta da un sacerdote)
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