Contro la meritocrazia
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Nicola da Neckir

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Nicola da Neckir

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"Questo nostro mestiere, che i grandi professori (non a caso chiamati maestri) hanno fatto con passione e rigore, Ăš un compito sociale.Non siamo venditori della merce 'sapere' e neppure i fornitori di un servizio.Siamo, o dovremmo essere, parte di una comunitĂ  di liberi e uguali, che ha lo scopo, uno scopo che piĂč degno e importante non si puĂČ: accompagnare giovani donne e giovani uomini a diventare cittadini colti e competenti, persone 'verticali', con la schiena dritta, capaci di pensare e di ribellarsi alle ingiustizie, e capaci di farlo perchĂ© competenti e istruiti, capaci di sviluppare le loro capacitĂ , i loro talenti, di proteggere le differenze, le relazioni, la cura, e i cui risultati devono dipendere, in ultima istanza, dai loro meriti."Con il Piccolo Dizionario disperato e demagogico dell'UniversitĂ  curato da Giovanni Azzena e Marco Rendeli e le illustrazioni di Vinicio Bonometto.

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Informations

Année
2011
ISBN
9788861532243

LA MERITOCRAZIA

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Si parla molto di meritocrazia, un termine che a me non piace: infatti l’unica “-crazia” che mi piace ù la democrazia. Il termine meritocrazia ù recente e ha una data di nascita e un padre: il 1958 e il sociologo Michael Young, il quale scrisse una satira sociale1, una sorta di distopia, che aveva la meritocrazia come bersaglio, cogliendone la natura perversamente classista e ingiusta.
Young Ú un interessante personaggio, purtroppo molto dimenticato; né poteva non essere dimenticato di questi tempi, visto che ha scritto:
Were we to evaluate people, not only according to their intelligence and their education, their occupations and their power, but according to their kindliness and their courage, their imagination and sensitivity, their sympathy and generosity, there would be no overall inequalities of the sort we have got used to. Who would be able to say that the scientist was superior to the porter with admirable qualities as a father, the civil servant to the lorry-driver with unusual skills at growing roses? A pluralistic society would also be a tolerant society, in which individual differences were actively encouraged as well as passively tolerated, in which full meaning was at last given to the dignity of man. Every human being would then have equal opportunity to develop his or her own special capacities for leading a full life which is also a noble life led for the benefit of others as well as the self2.
La spaventevole distopia della “meritocrazia in azione” ù descritta, inconsapevolmente e con tragicomica inconsapevolezza, nel libro di Roger Abravenel, Meritocrazia3, ed ù rappresentata dal fatto di prendere sul serio la demenziale equazione I + E = M, che ù stata sì proposta da Young, ma da lui in termini satirici; Abravanel, invece, la prende sul serio e scrive (godetevelo):
Sir Michael Young, il laburista inglese che nel 1954 creĂČ il termine “meritocrazia”, ha inventato l’“equazione del merito”: I+E = M, dove “I” Ăš l’intelligenza (cognitiva ed emotiva, non solo l’IQ) ed “E” significa “effort”, ovvero gli sforzi dei migliori. La “I” porta a selezionare i migliori molto presto, azzerando i privilegi della nascita e valorizzandoli attraverso il sistema educativo: Ăš l’essenza delle “pari opportunità”. La “E” Ăš sinonimo del libero mercato e della concorrenza che, sino a prova contraria, sono il metodo piĂč efficace per creare gli incentivi economici per i migliori4.
Ovviamente non tutti i “meritocratici” pensano in questo modo un po’ semplicistico, ma forse accoglierebbero la definizione che recita: “la meritocrazia ù un sistema di valori che valorizza l’eccellenza” (qui eccellenza non va intesa nel senso di Sua Eccellenza, ovviamente5).
Sono del resto consapevole che molti usano il termine meritocrazia in un senso piĂč generico, non in quello letterale di “potere al merito”, ma nel senso di “riconoscimento del merito come criterio unico, o largamente prevalente, per occupare delle posizioni o per fare carriera”; anche in questa concezione tuttavia – a mio avviso – la parola Ăš un po’ pericolosa (a meno di non “stirare” troppo il concetto di merito) e comunque si puĂČ tranquillamente scrivere in questi casi: “riconoscimento del merito”, “premio a chi ha merito, Ăš meritevole”, invece che usare la parola meritocrazia (anche l’uso di tali locuzioni comporta perĂČ il definire di che “merito” si tratti nel contesto dato).
Sottolineo che Ăš scritto “come criterio unico o largamente prevalente”, perchĂ© – in moltissimi casi – dal merito non si puĂČ prescindere e – in alcuni casi – esso ha un ruolo preminente nello scegliere le persone cui affidare alcuni compiti.
Mi piace pensare che, dopo piĂč di due millenni, si sia tutti d’accordo che il potere spetti al popolo, ovvero che, come dicevo, l’unica “-crazia” degna di essere ammessa sia la democrazia, magari nella versione radicale di Aldo Capitini dell’omnicrazia o onnicrazia6, e non spetti invece a chi ha meriti, eccellenza (aristocrazia7), denaro (timocrazia8 o plutocrazia9), facondia (logocrazia10), bellezza (callistocrazia11), convinzioni religiose (teocrazia12), apparati sessuali (fallocrazia13), conoscenze tecniche (tecnocrazia14), saggezza (noocrazia15), capacitĂ  di intimidazione di massa (oclocrazia16), diritto divino o altro principio analogo (autocrazia17), predominio di un’ideologia (ideocrazia18), delega assoluta (monocrazia19), conoscenza delle leggi (critocrazia20), controllo dell’organizzazione (burocrazia21), dominio o controllo delle opinioni (doxocrazia22), controllo nascosto, occulto del potere (criptocrazia23), privilegio di classe (oligarchia24), anzianitĂ  (tenurocrazia25, gerontocrazia26), giovinezza (neocrazia27) o estrema giovinezza (paidocrazia28), genere femminile (ginocrazia29), accesso o controllo dei media (teatrocrazia, videocrazia o telecrazia30), attitudine al furto (cleptocrazia31), origine meticcia o mulatta (pardocrazia, ovvero governo di chi ha la pelle scura32), pentitocrazia (governo basato sulla gestione dei “pentiti” 33), capacitĂ  di fare cose brutte e cattive (cacocrazia34), capacitĂ  di prostituirsi (pornocrazia35), influenza del sesso mercenario e dei suoi procacciatori (mignottocrazia, prossenetocrazia36), organizzazione politica (partitocrazia37), adesione alle scelte di un capo (leadercrazia38), ignoranza e rozzezza (onagrocrazia39).
È bene ricordare che non raro Ăš il caso in cui forme diverse di governo si sono compenetrate o giustapposte, in modo regolato e istituzionalizzato o, all’opposto e piĂč frequentemente, in modo informale basato, sulla negoziazione e sui rapporti di forza e quindi sui provvisori e precari equilibri da essi determinati.
Tra l’altro sono piĂč belle le parole composte in cui i due termini usati derivano dalla stessa lingua (solo greco in questo caso, o – in altri – solo latino) e democrazia Ăš tra queste, meritocrazia no.
Il merito ù una delle qualità degli esseri umani che vivono in società (ce ne sono altri?) che vanno premiate, specie se ù socialmente orientato, ma ù una qualità da lodare e premiare assieme ad altre, ad esempio: la capacità di relazione, l’empatia, la solidarietà, l’umorismo, le doti organizzative, la facondia, la saggezza, la generosità, la bellezza (intesa soprattutto nel senso di “ù una bella persona”), la capacità di far gruppo, la tenacia.
Non Ăš, e non puĂČ essere, un feticcio, anche perchĂ© il merito Ăš sovente un concetto sfuggente e non facile da definire. E tuttavia – Ăš certo – i meriti devono essere una delle componenti alla base della selezione e delle progressioni di carriera dei docenti e della valutazione degli studenti.
Per gli studenti il merito Ăš un criterio particolarmente rilevante quando sono all’universitĂ 40, molto meno quando sono nella scuola secondaria, irrilevante nella scuola dell’obbligo. Ho scritto particolarmente rilevante, ma aggiungo non unico, infatti vi sono studenti particolarmente refrattari ai modelli culturali consolidati e dominanti, che hanno grandi qualitĂ  e spirito critico, ma non vogliono sottomettersi ai percorsi ufficiali e che tuttavia meritano di esserci e sono anche importanti, perchĂ© ci costringono a metterci in discussione e a ricordarci di essere sempre critici: saper fare i conti anche con questi studenti Ăš un compito irrinunciabile dei docenti e dell’istituzione universitaria (magari li bocciamo, ma non dovremmo farne a meno).
Mi si consenta una nota personale: essere, come io sono, contro la meritocrazia, non vuol dire non rendere onore al merito: del resto amare la bellezza, non significa che vorrei dare il potere a Marilyn Monroe41 (per quanto!).
1. Cfr. Young M., The Rise of the Meritocracy, Penguin Books, Harmondsworth 1961.
2. “Se valutassimo le persone non solo sulla base della loro intelligenza ed educazione, le loro occupazioni e il loro potere, ma sulla base della loro gentilezza e del loro coraggio, della loro immaginazione e della loro sensibilitĂ , della loro simpatia e della loro generositĂ , non avremmo nessuna disuguaglianza di quelle cui siamo abituati. Chi potrebbe sostenere che un scienziato sarebbe superiore a un facchino che ha la dote di essere un ottimo padre, il funzionario pubblico al camionista con un’abilitĂ  particolare per coltivare rose? Una societĂ  pluralistica dovrebbe essere una societĂ  tollerante, in cui le differenze individuali dovrebbero essere incoraggiate piĂč che tollerate passivamente, in cui sia dato pieno significato alla dignitĂ  delle persone. Ogni essere umano avrebbe cosĂŹ uguali opportunitĂ  per sviluppare le sue speciali capacitĂ  per condurre una vita degna nell’interesse e in beneficio degli altri come di se stesso”. Young M., Equality and Public Service, Speech to Sociology Section, British Association for the Advancement of Science, 11 September 2000, Fabian Society.
3. Abravanel R., Meritocrazia, Garzanti, Milano 2008.
4. www.meritocrazia.com/index.php?option=com_content&view=article&id=62&Itemid=67. Per capire come e quanto Abravanel si appropri indebitamente della fama di Michael Young, basta leggere l’articolo di Young M., Down with Meritocracy: The Man Who Coined the Word Four Decades Ago Wishes Tony Blair Would Stop Using It, in “The Guardian”, Friday 29 June 2001. L’articolo ù inoltre disponibile presso la pagina www.guardian.co.uk/politics/2001/jun/29/comment.
5. Mi permetto di citare questa piccola chicca da “Miti di oggi e miti di ieri” de “Il Sole 24 ore”: “Eccellenza. Una volta l’Eccellenza era Sua, ora di chi se la prende. Non Ăš piĂč una persona ma una condizione virtuosa nei secoli del virtuale. Essere vincenti, non serve. Dov’ù la vittoria? È una realtĂ  insopportabile per tutti gli altri. È giusto essere eccellenti. L’eccellenza Ăš una convinzione di stato, una ricchezza gassosa, confermata dal vanto. Rare universitĂ , pochi centri di ricerca o di produzione, illuminate assise del sapere, in fase di proselitismo, vantano per sĂ© l’eccellenza come un invidiabile fatturato. Tutti coloro che fanno spallucce e non riconoscono questa eccellenza si condannano da soli a non poter assaggiare nemmeno un briciolo di un’eccellenza qualsiasi. Gli increduli diventano all’istante come la casta degli intoccabili, la cui condizione non puĂČ che eccellere verso il basso. L’eccellenza perĂČ Ăš piĂč dicibile che (di)mostrabile, ma trionfa come un requiem sopra ogni possibile lutto di classe”. Tratto da Brusatin M., Eccellenza, in www.ilsole24ore.com/art/SoleOnLine4/dossier/Tempo%20libero%20e%20Cultura/2008/miti-di-oggi/miti-lettori/miti-lettori-finale_2.shtml?uuid=0c8697a2-84bb-11dd-a8ca-1db806f95cce&DocRulesView=Libero. Sempre a Brusatin devo il ricordo di questa citazione tratta da Collodi, Le avventure di Pinocchio: “Pinocchio alla vista di quello spettacolo straziante, andĂČ a gettarsi ai piedi del burattinaio, e piangendo dirottamente e bagnandogli di lacrime tutti i peli della lunghissima barba, cominciĂČ a dire con voce supplichevole ‘PietĂ , Signor Mangiafuoco!’ ‘Qui non ci son signori’ replicĂČ duramente il burattinaio. ‘PietĂ  signor Cavaliere!’. ‘Qua non ci son cava...

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