1. Lâorientamento e il lavoro
â⊠non so che cosa dire di me, mi aspetto che sia lâazienda a dirmi quello che so fare.â
(Un ragazzo in cerca del suo primo lavoro)
Vorrei introdurre questa riflessione sullâimportanza dellâuso corretto delle parole partendo da un episodio accaduto allâinizio degli anni Novanta, quando furono istituiti i nuovi Diplomi Universitari (L. 341 del 13 novembre 1990). Allâepoca lavoravo per unâazienda speciale della Camera di Commercio di Napoli e collaboravo alla gestione di un progetto formativo che affiancava con attivitĂ professionalizzanti i giovani che frequentavano questi nuovi percorsi accademici. Il progetto prevedeva lâincontro degli studenti con le realtĂ produttive attraverso visite, stage, testimonianze in aula, ed io ero la responsabile della relazione con le aziende. Tra le tante attivitĂ organizzate in quegli anni avevo previsto la visita del polo aerospaziale di Tolosa, un sito di grande interesse per i giovani studenti della FacoltĂ di Ingegneria. Arrivando al centro che testa i satelliti ci fecero accomodare in una sala con una grande vetrata: da quella vetrata potevamo vedere il futuro. Lâambiente circostante era di un bianco accecante interrotto solo dalla grande apertura della galleria del vento e anche le persone intorno al satellite erano a loro volta vestite di bianco dalla testa ai copri-scarpa, lâatmosfera era fantascientifica. Uno dei miei studenti, evidentemente impressionato da tale vista, mi guardĂČ e disse: âquesti sono tutti scienziati, avranno tutti tre lauree, a me basta che mi diano un posto di lavoroâ.
Io non risposi e invitai Luca a porre la domanda alle persone vestite di bianco per capire quali studi avessero seguito. Quel giorno la fortuna volle che il satellite che veniva testato fosse RAI SAT, dunque italiano, e la squadra di lavoro impegnata venisse da Roma, dallâAlenia Spazio. Luca si rivolse al caposquadra, un simpaticissimo signore romano, che alla domanda âQuante lauree avete?â con un sorriso prese sottobraccio il ragazzo e gli spiegĂČ che il satellite veniva progettato sĂŹ dagli ingegneri ma il test era effettuato da un team di tecnici con a capo un solo ingegnere.
Grazie a questa domanda Luca aveva ricevuto alcune informazioni fondamentali per il suo orientamento verso il mercato del lavoro: la prima, che in una realtĂ aziendale esiste una divisione del lavoro e che i processi produttivi richiedono livelli formativi differenti; la seconda, che si possono fare lavori (per me) interessanti, con titoli di studio differenti e la cooperazione fra gli stessi forma una squadra; la terza, che la costruzione di una professionalitĂ comprende molte variabili; la quarta, la piĂč importante, che anche lui poteva diventare uno âscienziatoâ. La sua espressione di soddisfazione nellâaccogliere quella risposta rappresentava un primo importante passo, per lui e i suoi coetanei, verso il mondo che li avrebbe attesi, il quale a sua volta stava e sta aspettando i giovani e i loro personali talenti.
Il percorso compiuto da Luca era partito da espressioni linguistiche scelte in modo generico come âquestiâ o âtuttiâ, oppure âbasta un lavoroâ, viziate allâorigine dalla mancata riflessione sullâimportanza di costruire frasi che permettano alle parole di definire correttamente la realtĂ che descrivono, in questo caso quella di un contesto lavorativo. Una situazione percepita come inavvicinabile diventa possibile se cresce la consapevolezza di che cosa essa rappresenti realmente, permettendo alla conoscenza di poter delineare il futuro delle persone. Oggi molti giovani e meno giovani faticano a compiere questo percorso di consapevolezza, ed Ăš per questo che ho cercato di indagare le origini di queste difficoltĂ , anche alla luce degli straordinari mutamenti del mercato del lavoro e piĂč in generale del vivere sociale. La domanda di Luca Ăš partita dallo stupore di unâesperienza reale che ha messo in moto le sue emozioni, la comprensione delle proprie risorse e lui stesso come persona. Come un astronauta ha iniziato a camminare verso il suo futuro, aiutato dalla riflessione sul significato delle sue affermazioni.
1.1. Perché le parole: come si esprimono i ragazzi
La genericitĂ delle espressioni verbali dei ragazzi rivela tutta la loro difficoltĂ nel descrivere la relazione tra se stessi e il mondo (del lavoro), lasciando indebolire un naturale orientamento. Metto tra parentesi âdel lavoroâ perchĂ© il nostro mondo contiene gli aspetti operativi delle attivitĂ lavorative, ma orientare i ragazzi significa innanzitutto estendere il loro sguardo sul mondo, sullo stare nel mondo, sulla loro vita. Per introdurre questo tema, mi sembra interessante partire dalle espressioni piĂč frequenti che ho ascoltato nelle mie aule: âmi sono laureato e adesso troverĂČ un lavoroâ; âho fatto tutto quello che potevo fare per cercare un lavoroâ; âho inviato curriculum dappertutto ma le aziende non rispondonoâ; âbasta che mi diate un lavoro, io mi accontentoâ; âmi aspetto che siate voi a darmi un lavoroâ; âsarĂ lâazienda a dirmi quello che so fareâ; ânon so quello che voglio fare, fino ad oggi ho solo studiatoâ; âla mia famiglia mi ha detto che Ăš meglioâŠâ; âmi hanno detto che bisogna fare un Masterâ.
Oggi, a queste frasi, se ne aggiungono di nuove che riflettono la narrazione negativa che ha accompagnato la crisi economica negli ultimi anni: âso che di questi tempi mi devo accontentare di qualsiasi lavoroâ; âsĂŹ, studio ma non so se avrĂČ mai un lavoroâ; âho deciso di lasciare gli studi perchĂ© non câĂš lavoroâ.
Sono frasi che penalizzano in partenza il tipo di relazione con il mondo (del lavoro), allontanando i giovani dalla ricerca di risposte appropriate alle aspettative che nutrono per il loro futuro. In realtĂ , sono anche il segno piĂč evidente della grande confusione, direi di natura culturale, in cui versano, che rischia di separarli dai loro stessi desideri. Una cultura del lavoro nasce in una relazione tra noi e il mondo, da una riflessione che muove dal passato verso il futuro, dalle domande che scuotono la nostra intimitĂ per suscitare desideri, aspirazioni, visioni. Solo riconoscendo la nostra volontĂ possiamo poi costruire un progetto di vita e lavoro. Nella frase che apre il paragrafo il ragazzo delega allâazienda la conoscenza di se stesso, chiede a una realtĂ produttiva di dire di lui. La grammatica, dice Daniel Pennac, âĂš il primo strumento del pensiero organizzato e la famosa analisi logica (di cui serbavamo un ricordo abominevole) regola gli snodi della nostra riflessioneâ.
Se analizziamo le frasi degli esempi riportati sopra, i nostri giovani passano indifferentemente dallâasserzione vaga alla genericitĂ assoluta, con parole che evidenziano lâassenza di un pensiero compiuto, le proposizioni subordinate sono pressochĂ© assenti e questo impoverisce lâarticolazione del linguaggio, ovvero la base storica di ciĂČ che noi chiamiamo la civiltĂ umana. Lâaffermazione vaga, sostiene Claudio Luzzati, âcade su unâipotesi indecidibile, che non possiamo sapere in via di principio se sia vera o falsa, unâasserzione generica Ăš decidibile, anzi puĂČ essere molto spesso vera, ma lo sarĂ in modo banale, poco informativoâ e non sapremo che cosa farcene. Quando i giovani dicono: âmi sono laureato (o diplomato) e adesso devo trovare un lavoroâ, affermano in astratto una cosa vera: che hanno studiato, si sono impegnati e dunque possono trovare, anzi sicuramente, un giorno potranno trovare un lavoro. Tuttavia, in quanto affermazione estremamente generica, il risultato Ăš del tutto ipotetico, perchĂ© non tiene conto di alcuni aspetti fondamentali per qualificare una scelta: che tipo di lavoro voglio cercare, come si collega ai miei desideri, alle mie aspettative, alle mie risorse personali, infine con quali modalitĂ penso di arrivarci. Il rischio che corrono Ăš di restare imprigionati in una incertezza inutile e di essere visti dallâazienda come carenti nella capacitĂ di elaborare un pensiero e una scelta in autonomia. Le frasi vaghe sono: âcâĂš la crisi, non câĂš lavoro, devo accontentarmiâ, queste espressioni impediscono anche la piĂč piccola azione, la ricerca attiva. Non câĂš neanche il tentativo, perchĂ© cadendo su unâipotesi indecidibile, viene meno la condizione che dĂ vita allâazione. Per evitare tutto questo occorre essere consapevoli del fatto che la crescita delle persone Ăš un processo graduale, che normalmente si sviluppa negli anni degli studi, dove si apprende ad organizzare il linguaggio, le strutture sintattiche e i loro significati, per elaborare il pensiero e permetterne la sua espressione. Per il filosofo Massimo Cacciari, âsenza la grammatica il discorso si disarticola, la determinatezza dei significati vacilla e di conseguenza il pericolo del fraintendersi aumentaâ. Un linguaggio che perde il significato non permette di acquisire la conoscenza e restiamo fermi a collezionare dati, dando vita a incomprensioni insanabili.
In aula con i ragazzi mi sono trovata a ragionare sulla costruzione delle frasi che spesso iniziano con âtutte le impreseâ, ânessuna aziendaâ, âcerco un lavoroâ. In questâultimo caso il sostantivo Ăš retto dallâarticolo indeterminativo che ne rafforza la genericitĂ . Nella genericitĂ câĂš spesso una mancanza di informazioni, una ricerca che non Ăš mai stata avviata o un approfondimento che si Ăš perso nella difficoltĂ di capire quali sono le informazioni rilevanti, quelle che potrebbero portarci ad una elaborazione del nostro pensiero, considerando anche la soggettivitĂ di alcune valutazioni. Quando i giovani si confrontano con le parole che utilizzano per creare la loro storia iniziano a capire che la genericitĂ puĂČ rappresentare solo parzialmente la realtĂ , minando fortemente la capacitĂ di dare un significato alle informazioni. Apprendere della propria vita dovrebbe essere un processo naturale e la capacitĂ di esprimersi attraverso il linguaggio Ăš il suo nutrimento. Spesso in aula chiedo cosa intendano per âtutteâ, per âlavoroâ, per âcri...