1Resilienza, trasformazione e futuro del lavoro
a cura di Carlo Chiattelli1
Nel volgere di una manciata di mesi il mercato del lavoro Ăš stato oggetto di un cambiamento estremamente rilevante, che potrebbe avere effetti destinati a durare nel lungo periodo.
La fotografia del mercato del lavoro scattata alla fine del 2019 vedeva i Paesi occidentali interessati da una fase di netta ripresa dopo la crisi finanziaria di inizio decennio e le imprese, come giĂ accaduto nelle precedenti fasi di âsaltoâ tecnologico, segnalavano un crescente disallineamento tra domanda e offerta di competenze (OCSE 2018).
In Italia in particolare si registrava un elevato livello di skill mismatch, che si verifica quando le qualifiche di un lavoratore non soddisfano quelle generalmente richieste per il suo ruolo (38,2% contro la media UE del 33,5%).
Nel 2020, del resto, piĂč di un terzo delle ricerche di personale delle imprese si scontrava con la difficoltĂ di reperimento di laureati, in primo luogo a causa del ridotto numero di candidati (per il 53% delle imprese) e, in secondo luogo, della loro impreparazione (per il 39% delle imprese). Secondo il Sistema informativo Excelsior, le professionalitĂ piĂč difficili da trovare per le imprese rientrano nel campo informatico e riguardano, quindi, i tecnici programmatori e gli analisti e progettisti di software (Rapporto Unioncamere 2020).
La resilienza del lavoro tra remotizzazione e nuovi divari
Questo disallineamento rischia di venire oggi aggravato dallâimpatto sul mercato del lavoro della pandemia da COVID-19, che ha avuto come primo e principale effetto lâaccelerazione di alcuni trend giĂ in atto e ha innescato mutamenti complessi che toccano le dimensioni tradizionali delle competenze, delle qualifiche e delle mansioni.
Guardando innanzitutto alla resilienza dellâoccupazione, Ăš da notare come il lavoro da remoto, definito anche impropriamente smart working (capiremo poi i corretti termini in gioco), che Ăš stato fino al 2019 una pratica piuttosto marginale nel contesto italiano (nel 2019 solo il 3,6% dei lavoratori dipendenti e il 12,9% dei lavoratori autonomi praticavano, anche sporadicamente, forme di lavoro da remoto, a fronte di dati europei rispettivamente del 5,4% e 19,4%),2 con lâirrompere della pandemia da COVID-19 e in seguito allâadozione delle misure di contenimento del contagio del marzo 2020, sia diventato una modalitĂ di lavoro molto diffusa sia nel settore privato, dove peraltro soprattutto le grandi aziende avevano giĂ avviato progetti di lavoro a distanza ancor prima che la legge italiana regolamentasse la materia, sia nella Pubblica Amministrazione3.
Sullâonda dellâemergenza, il problema dellâadoption di queste modalitĂ di lavoro e degli strumenti sottesi Ăš stato rapidamente superato.
Verso un consolidamento dello smart working
Secondo lâOsservatorio smart working del Politecnico di Milano, se durante il lockdown 6,58 milioni di lavoratori sono passati al lavoro da remoto (circa il 28,3% della forza lavoro occupata a marzo 2020 â ISTAT, 2020), pur a fronte di una lieve contrazione dovuta alle riaperture di settembre 2020, tale modalitĂ pare destinata ad affermarsi stabilmente nel post pandemia4, anche in ragione del fatto che, come evidenziato da alcune stime presentate allâinterno di una ricerca a cura della societĂ di consulenza EY, il numero di lavoratori in condizione di svolgere in tutto o in parte da remoto la propria attivitĂ Ăš ben piĂč ampio rispetto a quello di coloro che sono passati al lavoro da remoto durante lâemergenza pandemica: si tratta di oltre 9 milioni e mezzo di lavoratori potenzialmente âremotizzabiliâ (circa il 41,6% della forza lavoro occupata oggi).
In queste stime rientrano i profili professionali piĂč tipicamente associati al lavoro in modalitĂ smart, ossia manager, ricercatori, quadri, professionisti, tecnici e impiegati dâufficio, incluse tutte le categorie di lavoratori che possono svolgere il proprio lavoro in sicurezza, restando a casa e/o spostandosi per andare a lavorare, ma mantenendo contatti sporadici con le altre persone.
La possibilitĂ di svolgere da remoto le attivitĂ che fino a poco tempo fa venivano sostenute sul posto di lavoro va ad aggiungersi alla netta accelerazione impressa ai processi di digitalizzazione e automazione delle professioni durante lâemergenza.
Lâinsieme di questi rapidi cambiamenti potrebbe portare con sĂ© un ampliamento del disallineamento tra le competenze richieste per svolgere alcune mansioni e quelle attualmente in possesso dei lavoratori, oltre a far emergere nuovi divari e approfondire quelli preesistenti.
Infatti, nel nostro Paese esiste in primo luogo un divario di tipo materiale, conseguenza del ritardo infrastrutturale di alcune aree â secondo lâindagine DESI della Commissione Europea una famiglia su dieci nelle zone periferiche non ha accesso alla banda larga fissa (Commissione Europea 2020) â ma ve ne Ăš anche uno che riguarda lâalfabetizzazione digitale.
Il divario tra chi possiede competenze digitali di base e chi ne Ăš privo Ăš uno dei principali gap di cui soffre il nostro Paese, come confermato dal DESI (solo il 42% delle persone tra i 16 e i 74 anni possiede competenze digitali di base, contro una media UE del 58%), ma Ăš tanto piĂč grave se si guarda alla forza lavoro specializzata da poter occupare in questi settori cruciali (solo lâ1% dei laureati lo Ăš in discipline ICT, il valore piĂč basso nellâUE, mentre gli specialisti ICT rappresentano solo il 2,8% della forza lavoro occupata).
Ă prevedibile, dunque, che lâaccelerazione di questi trend aumenterĂ nel medio periodo la quota dei lavoratori a rischio di spiazzamento a causa della digitalizzazione e dellâautomazione.
Lâevoluzione delle professioni: tre processi trasformativi
Le trasformazioni descritte porteranno molto probabilmente a una accentuazione del fenomeno della polarizzazione del mercato del lavoro, che vedrĂ nellâarco dei prossimi dieci anni la crescita occupazionale concentrarsi nelle professioni piĂč qualificate a detrimento di quelle meno qualificate.
Ă quanto emerge dagli esiti di uno studio condotto da EY, la nota societĂ di consulenza internazionale, insieme a Pearson e Manpower, che ha permesso di costruire, sulla base di tecniche di machine learning e intelligenza artificiale, un modello predittivo della domanda di professioni e competenze in Italia nei prossimi dieci anni. Secondo tale studio, circa il 36% della forza lavoro attuale svolge professioni destinate a crescere nel prossimo decennio, mentre rimarranno stabili il 20% delle professioni e si registrerĂ invece una decrescita per il restante 44%.
A crescere non saranno perĂČ solo le professioni legate a vario titolo alla tecnologia: aumenteranno anche quelle negli ambiti della cultura, della comunicazione, dei servizi di cura alla persona (di carattere sanitario e non), dellâinsegnamento e della formazione.
Un tratto distintivo si ritrova nella concentrazione della crescita dellâoccupazione nei livelli di qualifiche piĂč alti, segnando in parte unâinversione delle attuali dinamiche di polarizzazione che vedono sovrarappresentate le occupazioni a bassa qualifica.
Oltre la metĂ delle professioni evolverĂ inoltre in modo non lineare, tramite tre processi trasformativi che opereranno per:
1.fusione, ossia attraverso lâunione di due o piĂč professioni esistenti, con la conseguente distruzione delle professioni di origine (per esempio i âprogettisti di visite ed eventi virtualiâ);
2.scissione, ovvero con la creazione di nuove professioni per separazione di un nucleo di competenze, senza che ciĂČ implichi necessariamente la distruzione della professione di origine (per esempio gli specialisti di interfacce umane);
3.ibridazione, ossia copiando sottoinsiemi di competenze da set propri di altre professioni, come per esempio nel caso degli addetti allâassistenza personale, che dovranno imparare a usare device connessi per la telemedicina e allo stesso tempo acquisire competenze di psicologia e orientamento al servizio.
I processi di trasformazione e crescita delle professioni del futuro riguarderanno alcune specifiche competenze.
Infatti, Ăš possibile identificare in primo luogo un set di competenze considerate âfondamentaliâ, strettamente associate alle occupazioni in crescita e che dovrebbero essere incluse in qualsiasi programma educativo e/o formativo che miri a contrastare la disemployability: apprendimento attivo, capacitĂ di adattamento e di anticipazione, comprensione degli altri, complex problem solving.
In secondo luogo, si puĂČ definire un ecosistema di competenze aggiuntive che agiscono in maniera âaumentativaâ rispetto alle capacitĂ fondamentali e a quelle specifiche di ciascuna professione: capacitĂ di analisi, conoscenze e abilitĂ tecniche, abilitĂ di base come le strategie di apprendimento, attitudini cognitive.
Vi Ăš infine un set di competenze ibridanti, che deriva da processi evolutivi di scomposizione e ricomposizione dei gruppi di competenze collegati alle professioni (per esempio, conoscenze in informatica, gestione di impresa, capacitĂ di valutazione sistemica, psicologia, ideazione e originalitĂ , adattabilitĂ ).
Nuove strategie di apprendimento continuo
Alla luce di questo grande processo trasformativo, saranno sempre piĂč richiesti profili di competenze compositi, caratterizzati da un elevato grado di adattabilitĂ e flessibilitĂ , in grado di gestire la complessitĂ tecnica, tecnologica, organizzativa e gestionale in contesti lavorativi che oggi riusciamo solo a stento a immaginare.
Garantire la resilienza dellâoccupazione a fronte delle trasformazioni in atto Ăš un compito che spetta in parte ai lavoratori stessi, in parte ai decisori e ai soggetti che erogano istruzione e formazione.
I primi possono diventare attori del cambiamento adottando un atteggiamento proattivo nei confronti del proprio lavoro. Tramite il job crafting, ovvero la pratica di (ri)modellare di propria iniziativa mansioni, relazioni, atteggiamenti cognitivi e, in generale, il proprio lavoro, possono orientare le proprie attivitĂ lavorative e formative per intercettare le evoluzioni del mercato, con esiti positivi anche in termini di motivazione, coinvolgimento e senso delle proprie azioni.
Allo stesso tempo, i decisori politici e i soggetti che erogano istruzione e formazione sono chiamati a uno sforzo di riprogettazione degli interventi e degli investimenti in istruzione e formazione sulla base della premessa che si tratta di interventi strategici e di investimenti competitivi essenziali per collocare il Paese lungo una traiettoria di crescita sostenuta e durevole.
Ă necessario quindi immaginare percorsi formativi di base, oltre che di up e reskilling dalle modalitĂ innovative, che puntino sĂŹ sulle competenze maggiormente in crescita ma a partire da un elemento âstrutturaleâ imprescindibile, ossia il talento delle persone, quella prima âpelleâ allâinterno della quale si raccolgono le abilitĂ , le attitudini e le caratteristiche fondamentali dellâindividuo, che vanno rafforzate e a partire dalle quali Ăš possibile sviluppare un set di competenze in grado di contribuire al miglioramento delle performance di gruppi e organizzazioni.
Prevedere processi formativi pensati per esprimere al meglio i talenti, che consentano a ciascuno di interagire al meglio con le organizzazioni presso cui verrĂ portato il proprio contributo di sapere e azione, implica ripensare i sistemi educativi attuali, âlineariâ e tarati su cicli lunghi, caratterizzati da processi di apprendimento standardizzati che non valorizzano le competenze fondamentali della persona.
Ă fondamentale inoltre favorire lâacquisizione, il rafforzamento e, in una seconda fase, la certificazione delle competenze fondamentali che, in quanto complesse da misurare, risultano difficilmente dimostrabili da parte dei lavoratori. Al contempo, occorrerĂ inserire nei percorsi di formazione le competenze aggiuntive specifiche per le diverse professioni, che sono in grado d...