I Carracci e la loro riforma
Alessandro Brogi
Gli ultimi ventâanni del Cinquecento segnano, per la storia della pittura in Italia e dunque in Europa, una svolta profonda e dalle enormi conseguenze. Protagonisti di questa rivoluzione, inizialmente appartata e allâapparenza mite, tre artisti bolognesi: Ludovico, Agostino e Annibale Carracci, legati da uno stretto vincolo di parentela. Teatro della loro azione, Bologna, la seconda cittĂ dello Stato della Chiesa. Ă qui che nellâarco breve di un quindicennio, entro la metĂ degli anni Novanta, i tre pittori decretano â lavorando fianco a fianco, spesso in imprese comuni â lâarchiviazione definitiva della civiltĂ della Maniera, ormai giunta allâesaurimento. Capisaldi programmatici: unâattitudine osservativa inedita nei confronti dellâuomo e della natura e il recupero appassionato dei grandi maestri di inizio secolo, Correggio e i Veneziani in primis. Accanto alla sperimentazione nel campo della nascente pittura di genere, Ăš soprattutto la pittura di storia, piĂč che mai quella sacra, a uscirne del tutto rigenerata, per farsi di nuovo racconto, emotivamente connotato e di chiara leggibilitĂ . Dopo il trasferimento di Annibale a Roma nel 1595, che apre il grande capitolo dellâIdeale classico seicentesco, le strade dei tre pittori si separano, ma gli effetti del loro passaggio plasmeranno in vario modo la pittura dei due secoli a venire.
Gli esordi: il naturale e gli affetti
Allâaprirsi degli anni Ottanta, Ăš Ludovico, cugino maggiore dei due fratelli Agostino e Annibale, a fare con ogni probabilitĂ da apripista nellâostile ambiente artistico bolognese, permeato dai principi della tarda Maniera tosco-romana e dai rigori della Controriforma, che proprio a Bologna conta uno dei suoi piĂč zelanti portavoce: il cardinale Gabriele Paleotti, impegnato sul fronte caldissimo del controllo âmoraleâ delle immagini (suo un testo chiave come il Discorso sopra le immagini sacre e profane, pubblicato nel 1582). Sugli altari delle chiese o nelle case della nobiltĂ , la lingua comune Ăš quella della retroguardia manierista, e la pittura ben accetta quella di artisti giĂ scomparsi, come Orazio Samacchini e Lorenzo Sabatini, campioni di un formalismo normato, o tuttora attivi, come Ercole Procaccini il Vecchio e Prospero Fontana (primo maestro di Ludovico e pro tempore anche di Agostino), inclini ad accogliere in tarda etĂ il rigorismo cattolico promosso da Paleotti; e di altri ancora, tra cui Bartolomeo Passerotti, pittore dai toni grotteschi e umorali, e lâanversano-bolognese Denys Calvaert, latore di acutezze ottiche e grazie pungenti di origine nordica. Le prime cose di Ludovico segnano subito uno stacco nei confronti di quella tradizione. Il piccolo San Vincenzo martire del 1580 circa (Bologna, Unicredit) Ăš acceso da un fervore nuovo e umanissimo che si espande nel paesaggio, brano mirabile, invaso di luce naturale e battuto dal vento. La dimensione meteorologica e sentimentale, nella resa del soggetto sacro, straccia le maglie formali della Maniera e spalanca un orizzonte esitenziale inedito. Ma Ăš Annibale a esporsi per primo, nel 1583, su un altare cittadino con una grande pala per San NicolĂČ (il Crocefisso oggi in Santa Maria della CaritĂ ), e a generare scandalo per la rudezza scapestrata della stesura e lâirruenza del sentimento che suonano irriverenti, poichĂ© prive di ogni decoro. Proprio come, e qui sta lo scandalo, nella coeva produzione di genere: vedi le famose Macellerie a Oxford e a Fort Worth, connotate da identica foga. Nello stesso anno i tre artisti si misurano, in un palazzo senatorio, sul terreno della decorazione profana, affrontando la prima impresa comune: il fregio a fresco con Storie di Giasone per il conte Fava, terminato nel 1584. Un illusivo, semplice loggiato di finte statue â che fa piazza pulita dellâaccumulo di cartigli e cornici caro al gusto locale â introduce alle storie, di ineffabile freschezza. Il manichino manierista e la sintassi capziosa si sciolgono in un racconto piano; il gesto recupera senso, la carne calore, il paesaggio aria e luce. Allo stesso momento risale la prima pala certa di Ludovico, per lâaltare di un oratorio destinato allâeducazione dei fanciulli. PiĂč che mai in questa Annunciazione (Bologna, Pinacoteca Nazionale), concepita allâinsegna della semplicitĂ di cuore e di sguardo, la Maniera Ăš liquidata, in silenzio, ma una volta per tutte. Lâevento sacro si incarna nel quotidiano, nellâintima penombra di una camera da letto: vera, ordinata, modesta, quasi unâelegia borghese. E il sentimento si fa palpabile, tanto nelle personae, quanto nelle cose.
Quella degli affetti Ăš forse la molla profonda che muove il rinnovamento. Affetti che i tre artisti, soprattutto Annibale e Ludovico, studiano dal vero, sullâumanitĂ piĂč comune, di cui registrano sulla carta pose, gesti, attitudini, fisionomie, che serviranno a rendere nuovamente autentico il racconto per immagini. PerchĂ© infatti il portato di questa esplorazione travasa direttamente, cuore della âriformaâ carraccesca, nella pittura a soggetto alto, quella di storia, che Ăš ancora la pittura. Ă qui che si combattono le battaglie vere, come sarĂ di lĂŹ a qualche anno per Caravaggio. A guidare Annibale in questa direzione Ăš lâastro di Correggio, il sublime poeta degli affetti quasi dimenticato durante la dittatura manierista ma al quale giĂ si era rivolto un manierista di fronda come Federico Barocci. Lâincontro con le opere dellâAllegri a Parma, e poi a Reggio, accende un amore intenso i cui effetti si misurano giĂ nel fregio Fava o nellâincantevole Allegoria oggi a Hampton Court, e debordano nel Battesimo di Cristo in San Gregorio (1585) e nella coeva PietĂ per Parma (Parma, Pinacoteca Nazionale).
Il disegno e lâAccademia degli Incamminati
Strumento principe del loro operare, secondo una prassi consolidata nel Cinquecento, il disegno, praticato in abbondanza dai Carracci (lo dimostra la mole dei fogli superstiti) in tutte le sue varianti tecniche, espressive e funzionali; ma non solo, comâera consuetudine, a scopo progettuale, per elaborare e perfezionare unâinvenzione, e quasi mai come mero esercizio anatomico. Esso Ăš piuttosto un mezzo di indagine sullâinfinita varietĂ , appunto, del teatro umano, anche a prescindere dalle necessitĂ progettuali. Fin dal 1582 i Carracci aprono bottega, la famosa âstanzaâ, e fondano unâAccademia, detta delli Desiderosi, poi del Naturale, quindi degli Incamminati. Il disegno Ăš praticato lĂŹ, sul modello, nudo o abbigliato, ma dotato spesso â cosa nuova â di una concreta identitĂ : a volte uno di loro, piĂč spesso un lavorante o un garzone della bottega stessa. I tanti fogli sparsi con teste di giovani o di fanciulli, veri e propri ritratti, testimoniano perĂČ che il disegno Ăš praticato anche al di fuori dellâatelier, in mille altre occasioni, per strada, in osteria. NellâAccademia si discute di tutto, ma piĂč che altro si mette alla berlina la Maniera tosco-romana, svelandone gli abusi e lâinsinceritĂ , in nome della natura e della grande tradizione settentrionale, ingiustamente emarginata; lo testimoniano le sarcastiche âpostilleâ alle Vite del Vasari, stilate da Annibale. Il contributo di Agostino Ăš soprattutto sul fronte erudito ed Ăš lui, abile incisore (la sua prima formazione avviene proprio in questâambito, presso Domenico Tibaldi), che da subito inonda la stanza di una quantitĂ di stampe di traduzione: dalle glorie locali, ma anche, quel che piĂč conta, dai grandi testi della pittura veneziana moderna. Che il fratello e il cugino imparano a conoscere cosĂŹ.
Una nuova pittura di storia e la scoperta di Venezia
Negli ultimi anni Ottanta Ludovico, in anticipo sugli altri, rompe le resistenze in cittĂ . Prima, sul 1585, due capolavori misurano gli estremi del suo arco espressivo: la grande Flagellazione oggi a Douai, quasi un annuncio di Caravaggio per la violenza cruda della luce e della realtĂ che essa svela; e la piccola Visione di san Francesco (Amsterdam, Rijksmuseum), idillio notturno ai margini di un bosco, dalla sintassi elementare, dove il poverello di Assisi accoglie fra le braccia il piccolo GesĂč come uno zio impacciato e premuroso. Questa capacitĂ di adattare il registro espressivo alla situazione iconografica guida lâartista nelle prime commissioni di prestigio, destinate a un altare pubblico: la Conversione di Saul per gli Zambeccari (1587-88 ca.) e la Madonna in trono e santi (1588) per Cecilia Bargellini Boncompagni (entrambe a Bologna, Pinacoteca Nazionale). Dopo il bagno di ânaturaâ dei primi tempi, Ăš del tutto fugato il rischio di ricadere nel formalismo astratto affrontando la grande misura di una pala dâaltare e i soggetti canonici dellâiconografia sacra. Ă nata una nuova lingua ufficiale, capace di ridare senso e forza alla rappresentazione. Il miracolo della Conversione si trasforma in un evento in atto, di fulmineo impatto meteorologico, in unâazione aperta e continua, per certi versi giĂ barocca. Nella Pala Bargellini, viceversa, unâaura cordialmente familiare conferisce veritĂ a questa accolita di sacri personaggi dalle fattezze riconoscibili, sotto il battito sincero di una luce tuttâaltro che spettacolare. Sul fondo, Bologna spunta caliginosa con le sue torri. Lâeffetto Ăš quello di unâaccostante presenza, un senso tangibile del qui e ora, nel quale spira la malinconia del presente, capace di ridurre a misura confidenziale, prossima al fedele, persino lâaulica impostazione diagonale d...