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Archangel
Robert Harris, Renato Pera
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- 350 pages
- Italian
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Archangel
Robert Harris, Renato Pera
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Fluke Kelso, professore inglese in viaggio di studio a Mosca, ascolta incredulo la storia che gli racconta Papu Rapava. Papu era presente la notte in cui Stalin morĂŹ e giura di aver assistito al furto delle sue carte. Poche ore dopo Papu viene ucciso, e tutto lascia pensare che stia accadendo qualcosa di incredibile. Forse il dittatore piĂč crudele della storia o qualcuno che gli era molto vicino sta per ritornare.
Un thriller magistrale costruito su un'inquietante ipotesi fantapolitica.
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Sujet
LiteraturSous-sujet
Historische LiteraturParte seconda
ARCHANGEL
Se hai paura dei lupi, staâ alla larga dai boschi.
J.V. STALIN, 1936
16
Prima di lasciare Mosca dovettero rifornirsi di benzina perchĂ©, come diceva OâBrian, fuori cittĂ non potevi mai sapere quale piscio annacquato di cavallo ti avrebbero rifilato. Si fermarono quindi al nuovo distributore Nefto Agip di Prospekt Mira, dove il giornalista riempĂŹ, oltre al serbatoio della Land Cruiser, quattro grosse taniche da trenta galloni ciascuna di benzina senza piombo ad alto numero di ottani. Fece poi controllare olio e pneumatici e, quando finalmente si rimisero in strada, si trovarono in piena ora di punta, con file di auto che procedevano nella fanghiglia sollevando spruzzi.
Impiegarono quasi unâora per raggiungere la circonvallazione esterna, ma, una volta lĂŹ, fortunatamente, il traffico si fece meno intenso, scomparvero i monotoni palazzoni alternati a fabbriche e dâimprovviso si ritrovarono in piena campagna, con i suoi campi grigioverdi, i giganteschi piloni e un cielo sconfinato come quello del Kansas. Erano passati oltre dieci anni dallâultima volta in cui Kelso si era avventurato a nord, sulla M8. Molte chiese dei villaggi, adibite a granai sin dai tempi della Rivoluzione, erano avvolte in incastellature di legno per essere restaurate. Vicino a Dvoriki, una cupola dorata sembrava assorbire la debole luce del sole, splendendo allâorizzonte come un falĂČ autunnale.
OâBrian era nel suo elemento. «Sulla strada, via dalla città » ripeteva di tanto in tanto, «Ú splendido, non ti sembra? Semplicemente splendido.» Manteneva una velocitĂ costante di 110 allâora, parlava in continuazione, con una mano stringeva il volante e con lâaltra batteva il tempo ascoltando una cassetta di musica rock.
«Semplicemente splendidoâŠÂ»
La cartella con il quaderno, avvolta nella plastica, era appoggiata sul sedile posteriore insieme con uno stravagante campionario: due sacchi a pelo, biancheria intima termica («Ce lâhai i termici, Fluke? Sapessi come servono, quei termici!»), due giacconi imbottiti impermeabili, stivali di gomma (per Kelso) e militari (per OâBrian), binocolo normale, binocolo notturno a infrarossi, una vanga, una bussola, bottiglie dâacqua, pastiglie per potabilizzare lâacqua, due confezioni da sei lattine di birra Budweiser, due thermos pieni di caffĂš, fettuccine, una torcia elettrica, una trasmittente a onde corte, batterie di scorta, un pentolino elettrico da viaggio la cui spina poteva essere infilata nella presa dellâaccendino dellâauto. A questo punto Kelso perse il conto e non riuscĂŹ ad andare avanti.
Nel vano portabagagli della Toyota erano state sistemate le taniche piene di benzina e quattro valigie metalliche con il logo dellâSns. OâBrian ne enumerĂČ il contenuto con orgoglio professionale: una videocamera digitale Camcorder miniaturizzata; un telefono satellitare Inmarsat; una moviola video Dvc-Pro delle dimensioni di un computer portatile e infine qualcosa che il giornalista chiamĂČ Toko Video Store and Forward Unit. Valore complessivo di quelle quattro apparecchiature: 120.000 dollari.
«Ti Ú mai capitato di spostarti con una semplice borsa da viaggio?» gli chiese Kelso.
«Vuoi scherzare?» OâBrian sorrise. «Guarda che il peso Ăš ridotto al massimo. A me bastano quattro valigie per portarmi dietro materiale che una volta prevedeva lâimpiego di sei uomini e un camion. Se câĂš del bagaglio in eccesso, amico mio, questo sei tu.»
«Non Ăš stata mia lâidea di venire.»
Ma OâBrian non lo stava nemmeno ad ascoltare. Grazie a quelle quattro valigie, diceva, aveva mandato servizi da tutto il mondo. La carestia in Africa. I genocidi in Ruanda. La bomba in un villaggio dellâIrlanda del Nord che era riuscito a filmare mentre esplodeva (e grazie alla quale aveva vinto un premio giornalistico). Le fosse comuni in Bosnia. I missili che sorvolavano le case di Baghdad e sembravano seguire le strade, a destra, poi a sinistra, da quale parte per il palazzo presidenziale, per favore? Poi, naturalmente, la Cecenia. In Cecenia, purtroppoâŠ
(Sei un uccello del malaugurio, pensĂČ Kelso. Giri il mondo e dove ti fermi câĂš carestia, morte, distruzione: in unâaltra epoca, piĂč semplice e credulona, i cittadini si sarebbero radunati ai primi segnali del tuo arrivo e ti avrebbero messo in fuga a sassate.)
⊠in Cecenia, purtroppo, stava dicendo OâBrian, era giĂ tutto finito quando lui era arrivato. Aveva deciso quindi di fermarsi per qualche tempo a Mosca, una cittĂ da far paura. «Mille volte meglio Sarajevo, credimi.»
«Quanto pensi di rimanere a Mosca?»
«Non molto, fino alle elezioni presidenziali. Immagino che saranno divertenti.»
Divertenti?
«E poi dove pensi di trasferirti?»
«Chi lo sa? Perché me lo chiedi?»
«CosÏ, per poterti stare alla larga.»
OâBrian rise e pigiĂČ il piede sullâacceleratore. La lancetta del contachilometri si fermĂČ sui 120.
Mantennero quella velocitĂ , mentre calavano le ombre della sera e OâBrian continuava a parlare senza interruzione (GesĂč, ma non si stancava mai?). Allâaltezza di Rostov la strada costeggiava un grande lago, con un imbarcadero ai due lati del quale erano ormeggiate le barche giĂ ricoperte dai teli per lâinverno, accanto a una fila di capanne di legno. Kelso seguĂŹ con lo sguardo, al centro del lago, unâimbarcazione isolata, con la luce giĂ accesa a poppa, che dondolava al vento puntando verso riva, e si sentĂŹ assalire da quella leggera depressione che provava sempre quando si faceva sera.
Alle sue spalle avvertiva la presenza materiale delle carte di Stalin, come se il Segretario Generale fosse seduto dietro di loro. Era preoccupato per Zinaida e aveva voglia di uno scotch e una sigaretta, ma nella Toyota OâBrian aveva messo il fumo al bando.
«Sei nervoso» disse il giornalista, interrompendo il suo monologo. «Si vede.»
«E ti meravigli?»
«Perché? Per Mamantov? Non mi spaventa.»
«Non hai visto come ha ridotto quel povero vecchio.»
«Posso immaginarlo. Ma se non Ú completamente pazzo si guarderà bene dal riservare lo stesso trattamento a noi. A un inglese e un americano, voglio dire.»
«Forse. Ma potrebbe prendersela con Zinaida.»
«Non mi preoccuperei tanto per Zinaida. Anche perchĂ©, ormai, quelle carte non le ha piĂč lei. Le abbiamo noi.»
«Sei proprio simpatico, lo sai? E se non le credono?»
«Sto solo dicendo che non câĂš alcun motivo di preoccuparsi di Mamantov, tutto qui. Lâho intervistato due volte e posso dirti che Ăš uno pneumatico sgonfio. Vive nel passato, quello, come te.» Sorrise alla sua battuta.
«E tu? Tu non vivi nel passato, immagino.»
«Io? Neanche per sogno, non potrei permettermelo facendo questo lavoro.»
«Ah, sĂŹ? E allora vediamo un poâ.» Kelso stava idealmente aprendo un cassetto per scegliere il coltello piĂč affilato. «Se ho capito bene, secondo te il passato non Ăš importante in quei Paesi dei quali ti sei riempito la bocca nelle ultime due ore, Africa, Bosnia, Medio Oriente, Irlanda del Nord. Vero? Credi che vivano tutti nel presente? Che si siano svegliati una mattina e, vedendo OâBrian e le sue quattro valigie, abbiano deciso di fare una guerra? Non era, per caso, giĂ in corso quando sei arrivato? âEhi, guardate tutti, sono R.J. OâBrian e ho appena scoperto questi Balcani del cazzoâŠâ»
«Okay» biascicĂČ il giornalista, «ora perĂČ non câĂš bisogno di essere offensivi.»
«E invece sĂŹ che câĂš.» Kelso si stava scaldando. «PerchĂ© questo Ăš il grande mito della nostra epoca, capisci, il grande mito dellâOccidente. Lâarroganza del nostro tempo si Ăš personificata, scusami, in te. Quellâarroganza che porta a ritenere che, siccome in un Paese ci sono i McDonaldâs e la Mtv e accettano lâAmerican Express, questo Paese Ăš uguale agli altri, non ha un passato, Ăš allâAnno Zero. E invece no!»
«Ti senti migliore di me, vero?»
«No.»
«PiĂč intelligente, allora?»
«Nemmeno. Staâ a sentire, hai detto che Mosca Ăš una cittĂ spaventosa e hai ragione. Ma lo sai perchĂ©? Te lo dico subito. PerchĂ© in Russia non esiste una tradizione di proprietĂ privata. Allâinizio i lavoratori e i contadini non possedevano nulla e il Paese era in mano alla nobiltĂ . Poi lavoratori e contadini continuarono a non possedere nulla e il Paese divenne proprietĂ del partito. Ora ci sono ancora i lavoratori e i contadini a mani vuote e il Paese Ăš, come sempre, di chi ha i pugni piĂč grossi. Se non capisci questo, non capisci la Russia. Non puoi cogliere il senso del presente se una parte di te non vive nel passato.» Kelso tornĂČ ad appoggiarsi allo schienale. «Fine della lezione.»
E per mezzâora, mentre OâBrian meditava sulle parole del compagno di viaggio, nella Toyota scese un delizioso silenzio.
Arrivarono poco dopo le nove di sera a Jaroslavl, cittĂ di una certa dimensione, e attraversarono il Volga. Kelso riempĂŹ due bicchieri di caffĂš e se ne versĂČ una parte addosso mentre percorrevano una strada dissestata, OâBrian lo bevve continuando a guidare. Mangiarono della cioccolata. La fila di fari in senso contrario che avevano trovato sulla circonvallazione era quasi completamente scomparsa.
«Vuoi che guidi io?» chiese Kelso.
OâBrian scosse il capo. «No, sto bene, diamoci il cambio a mezzanotte. Tu dovresti dormire un poâ.»
Ascoltarono il notiziario radio delle dieci. Alla Duma, la maggioranza comunista e nazionalista stava bloccando le ultime misure decise dal presidente e câera quindi la minaccia di una nuova crisi politica. Alla Borsa di Mosca le azioni avevano perduto in una sola settimana un quarto del loro valore. «Aurora» pubblicava, grazie a una soffiata, un rapporto segreto del ministro dellâInterno al presidente relativo alla concreta minaccia di una ribellione armata.
Di Rapava, di Mamantov e delle carte di Stalin non si faceva alcun cenno.
«Non dovresti essere a Mosca a seguire questi avvenimenti?»
OâBrian fece un gesto infastidito. «Cosa? âNuova crisi politica in Russiaâ, sai che novitĂ ? Con roba del genere R.J. OâBrian non andrĂ mai in onda ogni ora.»
«Con le carte di Stalin invece sÏ?»
«âAbbiamo scoperto lâamante segreta di Stalin, la ragazza del mistero.â Che te ne pare?»
OâBrian spense la radio. Kelso si girĂČ sul sedile e prese da quello posteriore un sacco a pelo, stendendoselo addosso come una coperta. Poi premette un pulsante e abbassĂČ lo schienale.
Chiuse gli occhi ma non riusciva a prendere sonno, la sua mente era gradualmente invasa da immagini di Stalin. Stalin nella descrizione che ne aveva fatto Milovan Gilas subito dopo la guerra, seduto accanto allâautista nella berlina ufficiale che lo riportava al BliĆŸnij, mentre accendeva una lucina per leggere lâora su un orologio da polso appeso a un gancio sul cruscotto. â⊠avevo davanti ai miei occhi la sua schiena giĂ incurvata e la pelle raggrinzita della nuca sopra il colletto duro dellâuniforme da marescialloâŠâ (Gilas, quella sera, aveva trovato Stalin molto invecchiato: a tavola il Segretario Generale si ingozzĂČ di cibo, perse piĂč di una volta il filo del discorso, raccontĂČ barzellette sugli ebrei.)
E lâimmagine di Stalin, meno di ...