Non si vendono piĂč bambole
PapĂ fece scattare ancora il comando delle portiere. Click. Come una pistola che fa cilecca invece di sparare. Ă un rumore che da quel giorno non sopporto piĂč.
«Andiamo» disse.
Guardai la collina, poi il cartello con il nome di Giovanni e di tutti quelli che sono morti nellâattentatuni del 23 maggio 1992. Feci un lungo respiro verso il mare e risalii in macchina. PapĂ non tornĂČ verso Palermo, ma guidĂČ fino allâaeroporto di Punta Raisi.
«Poche settimane dopo la morte di Giovanni, il mostro fece fuori anche Paolo.»
«Il suo grande amico?»
«SĂŹ, quello che era in squadra con lui contro la mafia, il compagno con cui andava piĂč dâaccordo e che continuĂČ la battaglia di Giovanni dopo la strage di Capaci. Ma la continuĂČ solo per un paio di mesi. Era una domenica pomeriggio, una domenica di luglio. Paolo arrivĂČ con cinque uomini della scorta in via DâAmelio, dove abitava sua mamma. Era passato per salutarla. Non fece caso alla piccola macchina che era posteggiata davanti al cancello: una 126. Quella macchina era imbottita di tritolo come un panino. Lo stesso esplosivo usato per Giovanni, piĂč o meno alla stessa ora. Sono le 16.55 quando Paolo e la sua scorta sâincamminano nel vialetto del palazzo di via DâAmelio. Fanno solo pochi passi, poi la 126 esplode.»
«Come Rocco.»
«Uguale.»
«Hanno usato anche lÏ un radiocomando a distanza?»
«SĂŹ. Per Paolo e la sua scorta non câĂš nulla da fare. I loro corpi bruciano come pezzi di legno in un camino. Leggi lĂ sopraâŠÂ»
Eravamo arrivati a Punta Raisi. Papà aveva fermato la macchina nel parcheggio. Lessi la scritta sul tetto: «Aeroporto Giovanni Falcone e Paolo Borsellino.»
«à giusto cosÏ» spiegĂČ papĂ . «Chi arriva a Palermo deve saperlo subito: questa non Ăš la cittĂ della mafia, questa Ăš la cittĂ di Giovanni e di Paolo.»
Non disse piĂč nulla fino alle porte di Palermo. Ci guardammo soltanto quando ripassammo davanti al cartello di Capaci. Osservai unâaltra volta la collina del maiale e cercai di immaginare le ultime cose che aveva visto Giovanni prima di chiudere gli occhi per sempre: il verde dei campi, i tronchi dei vecchi olivi, il mare lĂ in fondo, verso lâorizzonte. Una specie di cartolina della sua Sicilia che amava tanto. Una bella cartolina. PapĂ dice che Giovanni non ha fatto neppure in tempo ad accorgersi della bomba, perciĂČ ha chiuso gli occhi con un sorriso. Credo.
Mentre ci avvicinavamo alla cittĂ , ripensai a tutta la sua vita, dal sasso bianco nel prato della Magione che avevo visto al mattino fino ai serpenti di ferro nella foto del giornale. E mi accorsi di una cosa ancora piĂč strana della colomba bianca che era entrata dalla finestra il giorno che era nato: Giovanni, da piccolo, si era trasferito a Corleone per sfuggire dalle bombe della guerra e da grande Ăš stato ucciso dalle bombe di Corleone. Ă vero: la mia Ăš proprio una cittĂ capovolta.
Nel traffico della cittĂ papĂ ricominciĂČ a raccontare: «La gente riempĂŹ la chiesa di San Domenico per i funerali di Giovanni. Câera tutta Palermo davanti a quella chiesa. Probabilmente anche la signora che aveva scritto al giornale per lamentarsi dei rumori. Magari ha pure pianto.»
«SĂŹ, lacrime di coccodrilloâŠÂ»
«E câerano anche le grandi autoritĂ dello Stato, arrivate da Roma, che non furono accolte tanto bene dalla gente: urla, fischi, insultiâŠÂ»
«Perché, papà ?»
«Coccodrilli anche loro. Certo, piangevano, ma prima dovâerano quando Giovanni e la sua squadra combattevano contro il mostro? Quando viveva come un topo in gabbia? Giovanni non ha dovuto difendersi solo dalla mafia: ha dovuto lottare anche contro lâinvidia, contro lâindifferenza, contro i corvi, contro i sospetti, contro i propri colleghi; ha dovuto abbandonare Palermo perchĂ© non lo lasciavano piĂč lavorare e si Ăš ritrovato a Roma, dove non gli lasciavano guidare la macchina da guerra che aveva inventato lui⊠Giovanni aveva scoperto che tante persone perbene stavano dalla parte del mostro, e alcune di quelle persone erano lĂŹ nella chiesa di San Domenico a dire che Giovanni era un eroe. Per questo la gente che voleva bene a Giovanni era arrabbiata. Ă come se la tua maestra andasse da Simone a dirgli: âPoverino, mi spiace per il tuo braccio rottoâ dopo aver aiutato Tonio a spingerlo giĂč per le scale. Capisci?»
«Ma se tutta quella gente si fosse arrabbiata un poâ prima e avesse aiutato Giovanni, forse sarebbe stato piĂč facile sconfiggere il mostro? Non Ăš la stessa gente che usciva dai ristoranti quando entrava Giovanni?»
«Bravo. Hai ragione. Hai perfettamente ragione. Ma vedi, Ăš un poâ come se tutta Palermo si fosse svegliata di colpo dopo la morte di Giovanni, Ăš come se lâesplosione sullâautostrada avesse aperto gli occhi a tanta gente che prima dormiva. Durante la cerimonia nella chiesa di San Domenico, una ragazza vestita di nero va al microfono e si rivolge ai mafiosi. Dice tra i singhiozzi: âSo che siete anche qui dentro: io vi offro il mio perdono, ma voi inginocchiatevi e cambiateâ. Ă una ragazza giovane, ha solo ventidue anni, si chiama Rosaria, ha gli occhi pieni di lacrime. Suo marito Vito era uno dei ragazzi della scorta morti con Giovanni. Poi Rosaria scriverĂ anche una lettera ai mafiosi e dirĂ : âUomini senza onore, avete perduto. Avete commesso lâerrore piĂč grande perchĂ©, tappando cinque bocche, ne avete aperte cinquanta milioniâ. Ha ragione, Rosaria. Ă proprio cosĂŹ. La bomba di Capaci Ăš un gran botto che sveglia un poâ tutti, non solo a Palermo. Tutta lâItalia apre gli occhi: non si puĂČ vivere cosĂŹ, prigionieri di un mostro del genere. Troppa Ăš la rabbia che suscitano le immagini di quellâautostrada ribaltata come un tappeto. E infatti in pochi mesi verranno arrestati tutti gli autori della strage.»
«Anche il maiale della collina e TotĂČ, il capo?»
«Anche loro. Finiscono in gabbia. E sai chi dĂ informazioni preziose per farli arrestare? Santino, il papĂ di Giuseppe. Anche lui ha partecipato allâattentatuni: era tra i mafiosi che avevano portato lâesplosivo nel cunicolo di notte. Ma dopo lâattentato viene arrestato e comincia a collaborare con i giudici. Per questo il maiale gli uccide il figlio. Lâesplosione di Capaci ha svegliato chi doveva fare la guerra al mostro. I capi piĂč importanti della cupola finiscono dietro le sbarre. Ă come se li avesse portati dentro Giovanni in persona. E ci resteranno per tutta la vita. Anzi, di piĂč. TotĂČ Ăš stato condannato a dodici ergastoli.»
«Quindi, se rinascerĂ altre undici volte, quellâanimale passerĂ la vita comunque dietro le sbarre?»
«Esatto. Ma non Ăš questa la vittoria piĂč importante di Giovanni. Ă unâaltra, la stessa che ottenne col maxiprocesso: la speranza. Ora ti mostro. Siamo arrivati allâultima tappa del nostro viaggio.»
Via Notarbartolo. Parcheggiammo il gippone. Attraversammo la strada. Davanti al palazzo bianco del numero 23 câerano una piccola casetta di vetro e un grosso albero, che saliva storto oltre il primo piano. Con tante foglie.
«In questo palazzo abitavano Giovanni e Francesca.»
«Questa Ú la casetta coi vetri antiproiettile dove stavano le guardie quando Giovanni era fuori casa?»
«Proprio cosĂŹ. E questo Ăš lâalbero Falcone. Lâhanno chiamato cosĂŹ perchĂ© dopo la morte di Giovanni, tanti palermitani sono venuti qui a lasciare un biglietto, un fiore, un pensiero per lui. E come vedi, dopo dieci anni, continuano a farlo. Arrivano da tutta Italia e anche dallâestero. Vengono tanti bambini, classi intere con le loro maestre che raccontano la storia di Giovanni, come te lâho raccontata io. LeggiâŠÂ»
Il tronco dellâalbero era coperto da fogli di quaderno e da biglietti di carta di tutti i colori, scritti con la penna o con i pennarelli. Oltre alle scritte câerano una bella foto di Giovanni che sorrideva sotto i baffi, con il mantello nero che hanno sulle spalle gli avvocati durante i processi, e alcuni fazzoletti di stoffa legati al tronco da poliziotti e da militari. Uno anche dagli alpini. I fogli di carta erano quasi tutti infilati dentro cartelline di plastica trasparente in modo che quando piove lâinchiostro non si sciolga.
Mi avvicinai allâalbero e lessi a voce alta. Foglietto bianco e pennarello nero: «Ti hanno chiuso gli occhi per sempre, ma tu li hai spalancati a noi palermitani!»
Piccola poesia firmata Roberto: «Tutta le gente di buona volontĂ prega / vuole cambiar le cose e tanta forza impiega. / Nessuno si arrende alla disonestĂ / e con coraggio vuole uscire dallâomertĂ . / La strada Ăš lunga da seguire / ma con tenacia il fine bisogna perseguire.»
Pamela (IV A): «La persona che adesso non câĂš piĂč si era sacrificata per noi, per non esserci piĂč mafia, per farci vivere un futuro piĂč bello.»
Foglietto verde chiaro scritto in verde scuro: «Credete di averlo ucciso? Vi sbagliate, adesso la sua rabbia cova dentro di noi!»
Daniela (III F): «Caro Giovanni, io sono la nipote del tuo autista che si Ăš salvato, sono rimasta sgomenta apprendendo la tua morte e quella dei tuoi agenti e di tua moglie che sono stati molto coraggiosi nel fare il proprio lavoro. Adesso che non ci siete piĂč, ti prometto, in nome di Palermo, che la mafia la sconfiggeremo noi e ti dico: grazie.»
Alfonso da Roma: «Io non mi piegherĂČ MAI!»
Angela: «In vita volevi sconfiggere la mafia. Con la morte ci riuscirai.»
Pietro: «à stata la goccia che ha fatto traboccare il vaso.» Gli errori sono di Pietro, non i miei.
Claudia da Bergamo: «Anche noi che veniamo dal nord piangiamo lacrime come il sud! Non Ú da dimenticare questo posto!»
Renata da Palermo: «Somigliavi tanto a papà . Grazie per tutto quello che hai fatto.»
Ezio: «Io ho due figli di quindici e diciotto anni e ho un disperato bisogno di credere in un mondo migliore.»
V Ginnasio (Ist. Gonzaga): «Per te che hai dato la vita, vinceremo questa partita.»
Rosy ha disegnato un polipone nero che abbraccia la Sicilia e ha scritto: «Liberiamola dai tentacoli della mafia.»
Foglio giallo scritto in blu e appiccicato con lo scotch marrone: «Si puĂČ spezzare un fiore ma non fermare la primavera â Simone.»
Claudia ha scritto in stampatello su un foglio a righe: «Ho sette anni. Come tanti bambini dovremmo pensare solo ai giochi invece sentiamo spesso la parola mafia che fa tanta paura.»
«Guarda questo» indicĂČ papĂ . «Viene addirittura dallâAustralia, dallâaltra parte del mondo. E leggi questo di Emilio: âCon la speranza di diventare come teâ. E anche questo: âVogliamo sperare ancora. Non sarete mai dimenticati â Un gruppo di giovani da Foggiaâ. Lo vedi? âSperanzaâ, âsperareâ⊠Quasi tutti i verbi dei fog...