Camminarono in silenzio per un lungo tratto.
A un certo punto Davide tentĂČ di parlare, ma Sara, brusca, lo zittĂŹ; lui si guardĂČ attorno smarrito, ragionando sul perchĂ© avessero parcheggiato cosĂŹ distante dallo studio medico.
Quando furono vicino allâautomobile, la donna disse:
«Il dottor Peluso Ăš una specie di consulente dellâunitĂ nella quale operavo. Ne ha viste di tutti i colori, mi serviva per comprendere cosa fosse successo al vecchio Molfino. Ora abbiamo le idee piĂč chiare».
Pardo rispose a muso duro:
«Ah sÏ? Allora forse avrai la bontà di spiegarlo anche a me, quali sono queste idee. Perché evidentemente mi Ú sfuggito qualcosa».
Viola si grattĂČ la testa:
«In effetti anchâio, Sara, non credo di avere un quadro completo della situazione. Che facciamo, adesso?».
Sara la scrutĂČ in volto, rilevando i chiari segni della stanchezza. Era una giornata calda e la ragazza si stava sottoponendo a sforzi gravosi che nelle sue condizioni avrebbe dovuto evitare. «Tu adesso te ne vai buona buona a casa a riposare. Anzi, ci fai il favore di controllare, attraverso le tue diavolerie, quello che succede nellâappartamento della Rimotti, che Ăš sempre piĂč la figura centrale della vicenda. Noi invece, se Davide ci riesce, cerchiamo di parlare con la segretaria dei Molfino.»
Capendo lâantifona, Pardo si allontanĂČ di qualche passo per telefonare alla Astolfi. Dopo meno di un minuto tornĂČ dalle donne, un poâ perplesso:
«In tutta sinceritĂ credevo che avrebbe opposto resistenza o preso tempo; invece ha accettato subito. Possiamo incontrarla tra unâora, ma non in ufficio: al caffĂš alle spalle del palazzo».
Sara annuĂŹ:
«Non mi sorprende. Credo che si aspettasse la telefonata. Diamoci una mossa, su. Prima perĂČ accompagniamo Viola».
Il bar dove la Astolfi aveva dato loro appuntamento era un riservato, civettuolo locale ai margini dellâelegante zona in cui era ubicato. Davanti al bancone di legno lucido, dal quale unâampia selezione di paste invitava la clientela alla trasgressione alimentare, câerano tre tavolini.
Sara e Davide occuparono quello piĂč in disparte, perplessi perchĂ© in un ambiente cosĂŹ angusto sarebbe stato difficile avere una conversazione confidenziale.
Forse, pensĂČ lâispettore, con la scelta di questo caffĂš la segretaria vorrĂ solo dirci che non Ăš autorizzata a parlare.
Dopo qualche minuto Concetta Astolfi fece il suo ingresso. Finse di non conoscerli e si infilĂČ in una porta in fondo al locale. Passando davanti ai due mosse con un impercettibile cenno la messa in piega, indicando loro la via.
Sara e Davide si guardarono, poi la seguirono ignorati dal personale.
Si ritrovarono in una saletta occupata da un tavolino e da quattro sedie. Le pareti erano rivestite con pannelli insonorizzanti.
La Astolfi, senza salutarli, cominciĂČ a parlare:
«Questo bar era di proprietà di Andrea Molfino, e questa stanza serviva per gli incontri con personaggi che non poteva ricevere in ufficio. à abbastanza vicino per consentire un rientro veloce al palazzo, ma anche abbastanza discreto da non essere sorvegliato».
Informazione interessante, rifletté Sara. Devo ricordarmi di dirlo alla bionda, ammesso che non ne sia già a conoscenza.
La donna continuĂČ:
«Prima di tutto sappiate che ho accettato di incontrarvi non perchĂ© sono infedele nĂ© tantomeno una spia. Anzi, Ăš proprio il contrario: sono venuta per fedeltĂ alla memoria di un uomo meraviglioso, che Ăš stato circuito al termine della sua vita, quando Ăš diventato debole». TirĂČ il fiato. Si era preparata il discorsetto e ora che lâaveva concluso si sentiva piĂč smarrita di prima.
Sara si concentrĂČ su di lei. Era una donna ordinaria, forse lo era sempre stata. Alcune caratteristiche, le labbra strette, le borse sotto gli occhi piccoli, la pelle bianchiccia denunciavano una bruttezza che la gioventĂč non poteva aver contenuto piĂč di tanto. Per lâidea che si era fatta del vecchio Molfino, escludeva che tra i due, in passato, ci fosse stata una relazione: piĂč probabile che un amore a senso unico si fosse trasformato in una specie di canina devozione. Non a caso aveva usato le parole âfedeltĂ â e âinfedeleâ.
Davide disse:
«Abbiamo voluto incontrarla in via riservata, signora, perché non ci sono chiari alcuni aspetti relativi proprio al periodo cui si riferisce, e cioÚ agli ultimi mesi di vita del cavalier Molfino».
La segretaria rispose glaciale:
«Io non ci ho creduto nemmeno per un momento a quella balla dei servizi sociali. Figurarsi. Negli anni vi siete travestiti da operai della luce e dei telefoni, camerieri e autisti, e vi abbiamo sempre individuati. Lâerrore Ăš ogni volta lo stesso: a un certo punto mettete i piedi dove il ruolo che interpretate non vi consentirebbe di metterli. Ă inevitabile. Solo che stavolta la finanza non câentra, ed Ăš questo il motivo per cui siamo qui».
Sara, come da tacito accordo, lasciava che fosse Davide a portare avanti la conversazione; e nel frattempo si dedicava a studiare le espressioni e le posizioni di mani e spalle della Astolfi. I dettagli le restituivano lâimpressione che la donna vivesse un forte conflitto interiore risolto con difficoltĂ , un abituale condizionamento alla reticenza, superato con fatica, che si scontrava con una risoluta determinazione ad andare fino in fondo. Non avrebbe mai rivelato tutto, concluse; ma credeva ciecamente in quello che stava per dire.
Pardo protestĂČ:
«Non ci interessa il vostro giro di affari. E per quanto io sia convinto che le grandi fortune create dal nulla nascondano sempre qualcosa di losco, non Ú questa la sede per discuterne».
Bravo Davide, pensĂČ Sara. Meglio essere chiari, se si vuole che gli altri lo siano.
Lâispettore proseguĂŹ:
«Il cavaliere era malato, signora. Molto malato. Se lei sostiene, e non abbiamo ragione di non crederle, che lâultimo checkup non aveva evidenziato nulla di sospetto, significa che la situazione Ăš precipitata in pochissimo tempo. Ci chiediamo come sia possibile che nessuno se ne sia accorto, soprattutto chi doveva sincerarsi delle condizioni del cavaliere, come il dottor Rao o lâinfermiera cheâŠÂ».
Concetta Astolfi lo interruppe, tagliente:
«La Rimotti, intende? Lâinfermiera Rosanna âZoccolaâ Rimotti era una volgare squillo che fingeva di occuparsi della salute del cavaliere e invece badava a ben altro».
Davide replicĂČ:
«Al di lĂ delle sue opinioni personali, al momento nessuno Ăš accusato di niente. Ma siamo persuasi che se non fosse stato ucciso, Molfino sarebbe comunque morto dopo poco. Questa certezza cambia molti aspetti della questione, come puĂČ immaginare. E vorremmo sapere in che modo e perchĂ© sia potuto accadere».
La donna intrecciĂČ le dita attorno al ginocchio ossuto. Teneva le gambe accavallate e lo sguardo perso nel vuoto, alla sinistra dellâinterlocutore. Sara notĂČ un muscolo che guizzava sotto la mascella. Il conflitto non era ancora del tutto risolto. Ritenne di intervenire, con tono pacato:
«Non deve rivelare segreti o mettere a rischio il suo lavoro, Concetta. Noi stiamo provando a fare un poâ di giustizia, e a proteggere chi Ăš innocente. Tutto qui».
Lâuso del nome proprio, il tono confidenziale, la dichiarazione dâintenti e lâesclusione della finanza dagli obiettivi delle domande fecero breccia nellâultima barriera della Astolfi. La donna annuĂŹ, si sedette piĂč comoda e si rivolse a Sara. «Andrea Molfino era un uomo particolare. Geniale, umorale, complicato. Ma sempre sincero. Forse perchĂ© non sentiva il bisogno di mentire, o forse perchĂ© non ne era capace. Bastava a se stesso ed Ăš sempre stato cosĂŹ, fino a quella sciocchezza del mal di schiena.»
Pardo alzĂČ un sopracciglio, sorpreso:
«Il mal di schiena?».
«SĂŹ, Ăš stato quello lâorigine di tutto. Credo che cominciasse ad accusare gli anni, stare lâintero giorno alla scrivania, al telefono⊠la tensione, chissĂ . Un dolore banale, come possiamo avere in tanti, ma poi arrivĂČ quella dannata puttana, la fisioterapista. Avete presente comâĂš fatta?»
Davide e Sara annuirono.
«E vi sembra credibile come fisioterapista? Una con quel corpo? Insomma, ci ha messo poco a installarsi a casa e a diventare la padrona. Lui era⊠gli piacevano le donne, insomma. Ne ho viste passare parecchie, in questi trentâanni. Non avete idea di quanti mazzi di fiori del giorno dopo ho fatto recapitare.»
RidacchiĂČ al pensiero, e la cosa chissĂ perchĂ© produsse in Davide un brivido che gli fece rizzare i capelli sulla nuca. «CioĂš, era diventata lâamante del cavaliere?»
Concetta si strinse nelle spalle:
«Chi lo sa. Ignoro il potere di questo tipo di donne, io sono diversa. Per me era troppo vecchio per una cosĂŹ, ma di sicuro a lui piaceva moltissimo averla attorno. PerĂČ a me non ha mai chiesto di mandarle un mazzo di rose».
Davide cercĂČ di ritornare al dunque:
«Va bene, si teneva la bella fisioterapista per il mal di schiena, ma poi? Come puĂČ essere che nessuno si sia accorto della malattia?».
La Astolfi sbuffĂČ:
«Se ti affidi alle cure di unâinfermiera come quella, puĂČ succedere benissimo, ispettore. E dâaltra parte quel fesso di Rao lo avete incontrato, no? Un cocainomane che dipende in tutto e per tutto dai soldi dei Molfino e di quelli come loro. Dice quello che gli dicono di dire, compila i certificati e prescrive le cure che gli chiedono. Non scherziamo».
Davide e Sara si guardarono, e lui continuĂČ:
«Quindi la Rimotti era lâunica che si occupava della salute del cavaliere e si era piazzata in casa Molfino in pianta stabile. E il resto della famiglia non aveva niente da obiettare?».
La Astolfi assunse unâaria seria, poi si alzĂČ in piedi. Fece qualche passo nervoso, e tornĂČ a fissare Pardo:
«Il resto della famiglia⊠Ma Dalinda lâavete vista? Ă una donna sbagliata, dopo essere stata una bambina sbagliata e una ragazza sbagliata. Magari la galera le permetterĂ di sopravvivere, perchĂ© se fosse rimasta libera sarebbe senzâaltro morta per overdose o ammazzata da chissĂ chi in qualche vicolo. Questione di tempo».
«E Gianpiero?»
Concetta tornĂČ a sedersi:
«Ah sĂŹ. Il tenero, dolce Gianpiero, il mio nuovo datore di lavoro. Ha sempre obbedito agli ordini, lui; come voleva il papĂ . âLigio e grigioâ diceva Andrea. Ă cresciuto studiando, coi vestiti in ordine, e si Ăš perf...