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Breve storia del fascismo
Con i due saggi «Il problema della identità nazionale» e «Dall'eredità di Adua all'intervento»
Renzo De Felice
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Breve storia del fascismo
Con i due saggi «Il problema della identità nazionale» e «Dall'eredità di Adua all'intervento»
Renzo De Felice
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Una sintesi completa e aggiornata della storia del Ventennio fascista. Dalla fondazione dei Fasci di combattimento alla marcia su Roma, fino alla caduta del regime e alla Repubblica di SalĂČ. Con stile rigoroso ma cordiale, De Felice rende accessibile una materia complessa e controversa, spesso distorta da interpretazioni di parte e da passioni non ancora spente. I testi, raccolti per la prima volta in volume, sono accompagnati da uno straordinario repertorio di immagini d'epoca. Il libro, frutto di un lavoro decennale di studio e ricerca, restituisce al lettore la luciditĂ interpretativa di un grande studioso della pagina piĂč nera del Novecento italiano.
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Italian HistoryBreve storia del fascismo
Il primo Mussolini
Un vecchio casolare a Varano dei Costa, nel villaggio di Dovia, frazione del comune di Predappio: qui il 29 luglio 1883, da Alessandro e Rosa Maltoni, nacque Benito Mussolini; e qui visse una infanzia in povertĂ nella casa paterna. Il giovane Mussolini dal â92 al â94 fu nel collegio dei Salesiani di Faenza, anni difficili per un adolescente passato dalla quasi totale libertĂ di Dovia a una rigida disciplina. Dopo lâinflusso paterno, proprio negli anni trascorsi a Forlimpopoli, il giovane Mussolini si sarebbe avvicinato al socialismo militante.
Venne nominato maestro supplente agli inizi del marzo 1902 presso la scuola di Pieve Saliceto (frazione di Gualtieri Emilia, primo comune «rosso» dâItalia). EmigrĂČ poi in Svizzera, spinto a tentar fortuna: «A diciannove anni» confesserĂ molto piĂč tardi al suo biografo Emil Ludwig «si scrivono versi, e si vuol provare il mondo ⊠A quellâetĂ si Ăš ora entusiasti, ora scoraggiati. Soprattutto si Ăš ribelli».
Dal luglio 1902 al novembre 1904, Mussolini fu in Svizzera; periodo breve, ma importante per la sua formazione, in continuo peregrinare da una cittĂ allâaltra, nei piĂč diversi lavori occasionali. E in difficoltĂ con le autoritĂ elvetiche: due espulsioni (con il rischio di essere arrestato al suo arrivo in Italia come renitente alla leva), superate grazie allâaiuto di socialisti, radicali e anarchici del Canton Ticino.
Allâintensa attivitĂ propagandistica, alla collaborazione ad alcuni periodici (da «Lâavvenire del lavoratore» di Losanna al «Proletario» al settimanale sindacalista-rivoluzionario milanese «Avanguardia socialista», diretto da Arturo Labriola e Walter Mocchi) e allo studio presso la facoltĂ di Scienze sociali di Losanna, si sommĂČ lâesperienza di stretti rapporti con personaggi come Angelica Balabanoff e gruppi di anarchici e sindacalisti rivoluzionari. Per un Mussolini, marxista solo allâacqua di rose, e diffidente di tutte le ideologie (socialismo compreso), il volontarismo dei sindacalisti rivoluzionari avrebbe per certi versi rappresentato la pratica ideale del socialismo.
Nel novembre 1904 Mussolini fece ritorno in Italia, dopo che la condanna come renitente alla leva era caduta in prescrizione in seguito a unâamnistia concessa per la nascita dellâerede al trono. Assegnato a un reggimento bersaglieri, per il suo contegno disciplinato ottenne una dichiarazione di buona condotta.
Dopo una nuova esperienza come maestro elementare a Tolmezzo (non meno negativa della prima), nel febbraio 1908 insegnĂČ francese presso la scuola tecnica di Oneglia: qui diresse il settimanale socialista «La lima» sul quale la polemica anticlericale e contro il riformismo e una maggiore attenzione ai temi culturali avrebbero caratterizzato i suoi interventi.
Nel 1908, Mussolini prese parte a violente agitazioni nel Forlivese tra braccianti e mezzadri. Arrestato e processato, venne condannato a tre mesi di reclusione (ridotti in appello a dodici giorni). Dopo aver collaborato a «Pagine libere» e al repubblicano «Il pensiero romagnolo», Mussolini si trasferĂŹ nel febbraio 1909 a Trento, responsabile del Segretariato del lavoro. I contatti con Cesare Battisti e lâassidua lettura del «Leonardo» prima e della «Voce» poi, contribuirono ad affinare la sua preparazione culturale, e la coscienza di un problema nazionale trascurato dai socialisti rivoluzionari. La febbrile attivitĂ giornalistica, quella politico-sindacale, i contrasti fra socialisti e cattolici e le dure polemiche soprattutto con «Il Trentino», diretto da Alcide De Gasperi, portarono al suo arresto e allâespulsione, nonostante le proteste di esponenti politici trentini a Vienna e a Innsbruck e le interpellanze presentate a Montecitorio.
Il ritorno in Romagna avrebbe in pratica segnato il suo ingresso ufficiale nellâagone politico. Direttore, nel 1909, di «Lotta di classe» e segretario della Federazione socialista forlivese, si battĂ© soprattutto contro il riformismo («Un grande cadavere» disse «da seppellire per dar vita a un nuovo partito socialista rivoluzionario»); posizione polemica emersa al congresso del partito di Milano (ottobre 1910) esplosa infine nel marzo 1911, per la «salita» di Bissolati al Quirinale per le consultazioni in vista di unâeventuale partecipazione socialista al governo. Il suo ruolo nelle agitazioni contro la guerra di Tripoli e nella mobilitazione e il successivo processo e la condanna (Mussolini a un anno di reclusione, Pietro Nenni a un anno e quindici giorni) lo avrebbero di fatto lanciato alla ribalta della vita politica nazionale.
Alla vigilia del XIII congresso del partito, a Reggio Emilia, Mussolini era quasi uno sconosciuto; inaspettato, dunque, il suo successo personale, cui avrebbero contribuito sia le sue capacitĂ oratorie, sia lâappoggio di leader rivoluzionari. Mussolini agĂŹ con estrema abilitĂ anche dietro le quinte dei lavori congressuali, con il risultato di far espellere dal partito «per gravissima offesa allo spirito della dottrina e alla tradizione socialista» i vari Bissolati, Bonomi, Cabrini, Podrecca; risultato che destĂČ entusiastiche reazioni allâestero (dalla Francia alla Germania alla Russia, per bocca dello stesso Lenin).
Dopo una breve collaborazione a «La folla» â organo antimonarchico e anticlericale, antimilitarista e rivoluzionario â nel novembre 1912 Mussolini venne nominato direttore dellâ«Avanti!». La violenza dei suoi articoli avrebbe allarmato uomini come Turati e Treves, che nel rivoluzionarismo mussoliniano (e nel successo che andava incontrando presso le masse) lamentavano il perdurare dellâillusione insurrezionista. Ma, arrivato a controllare lâintero partito, Mussolini smorzĂČ i toni, anche in vista delle elezioni politiche, conclusesi con un notevole successo del Partito socialista (quasi un milione di voti e 53 deputati); successo che avrebbe ancor piĂč rafforzato la sua leadership.
Forte anche dellâaumentata diffusione dellâ«Avanti!» sotto la sua direzione (nel â13, tiratura media di 50.000 copie), Mussolini si presentĂČ al congresso di Ancona apertosi il 26 aprile 1914, riscuotendo un vero e proprio trionfo, «esercitando sulle masse rivoluzionarie» cosĂŹ si scrisse in quei giorni «una potenza fascinatrice e trascinatrice ⊠con quella figura dâasceta, quella voce, quel gesto di persona quasi agitata sempre da un incubo». Eppure, la posizione di Mussolini venne messa in discussione per le ripercussioni della «settimana rossa» seguita allâeccidio di Ancona del 7 giugno dello stesso anno, quando la forza pubblica aveva sparato contro i partecipanti a un comizio pacifista, uccidendo due manifestanti. La «settimana rossa» spiazzĂČ tutti i partiti italiani, organizzazioni operaie e Partito socialista compresi, dimostratisi incapaci di controllare le agitazioni popolari. Lo stesso Mussolini avrebbe invitato i lavoratori a desistere dallo sciopero generale, che nei giorni precedenti egli aveva sostenuto (anche per non esserne scavalcato).
Quando la possibilitĂ di un conflitto europeo parve ineluttabile, la posizione di Mussolini non si sarebbe discostata da quella dei socialisti italiani e dellâInternazionale. Abbasso la guerra! si sarebbe intitolato un suo articolo sullâ«Avanti!», con lâinvito a rispolverare la vecchia parola dâordine «Non un uomo! NĂ© un soldo!». Gli sviluppi del conflitto â primo fra tutti lâaggressione tedesca al neutrale Belgio â mostrarono ben presto la debolezza della neutralitĂ assoluta. RealtĂ non sfuggita a un Mussolini che, pur disorientato e ondeggiante, non poteva non rendersi conto che le piĂč consapevoli avanguardie presenti nel Paese stessero volgendo verso una linea politica piĂč realistica. Dal canto loro gli interventisti tentavano di attrarre Mussolini dalla loro parte, per conquistare il consenso delle masse presso le quali egli godeva tanto prestigio. Si trattava, per gli interventisti, di sfruttare i suoi crescenti dubbi, la sua promessa di non provocare rivolte o scioperi in caso di mobilitazione; e quel suo definire i socialisti «simpatizzanti» (e non contrari) in una guerra contro lâAustria.
Il sofferto approdo di Mussolini allâinterventismo sarebbe scattato il 18 ottobre 1914 con lâarticolo Dalla neutralitĂ assoluta alla neutralitĂ attiva ed operante, sui pericoli che la neutralitĂ assoluta avrebbe comportato per i socialisti, chiamati a prendere atto dellâesistenza dei problemi nazionali e a scegliere tra una politica delle «mani nette» (che li avrebbe condannati allâisolamento) e unâaltra che consentisse loro di inserirsi nella vita pubblica del Paese e dello Stato.
Il Partito socialista respinse quellâappello. Mussolini si dimise da direttore dellâ«Avanti!» e diede vita a «Il popolo dâItalia», che avrebbe subito conosciuto un successo strepitoso (dalle iniziali 30.000 copie si sarebbero toccate punte di 80.000). La reazione socialista culminĂČ il 24 novembre con la proposta di espellerlo, confermata dalla direzione del partito, nonostante i tentativi della minoranza di opporsi al suo linciaggio morale; nonostante, soprattutto, lâeco delle parole con cui Mussolini stesso aveva riaffermato la propria fede socialista:
Voi credete di perdermi. Voi vi illudete. Voi mi odiate perchĂ© mi amate ancora. Sono e rimarrĂČ un socialista ⊠Ci divide una questione che turba tutte le coscienze ⊠Non crediate che io mi separi gaiamente da questa tessera. Strappatemela pure: ma non mi impedirete di essere in prima fila per la causa del socialismo.
Con la fondazione del «Popolo dâItalia» Mussolini aveva compiuto una scelta precisa in chiave rivoluzionaria, vedendo nella guerra la possibilità «levatrice» della rivoluzione; e in questa impostazione egli si sarebbe trovato in compagnia sia degli interventisti rivoluzionari che di quelli democratici, facendo del suo giornale un punto dâincontro.
Su Mussolini in guerra molto Ăš stato scritto, con accenti varianti dallâesaltazione alla denigrazione, quando invece egli si comportĂČ come un buon soldato. CercĂČ di partire volontario (richiesta inutile dal momento che la sua classe sarebbe stata richiamata in agosto).
Bersagliere, venne ferito gravemente nel â17 dallo scoppio di un lanciabombe e sarebbe stato promosso caporale per meriti di guerra. «AttivitĂ esemplare, qualitĂ battagliere, serenitĂ di mente, incuranza ai disagi, zelo, regolaritĂ nellâadempimento dei suoi doveri, primo in ogni impresa di lavoro e di ardimento» si sarebbe letto â fra lâaltro â nel suo fascicolo militare.
Smobilitato nel giugno 1917 per le conseguenze delle ferite, ripresa nel luglio â17 la direzione del «Popolo dâItalia», Mussolini cercĂČ di assumere una posizione in linea con i gruppi interventisti piĂč coerenti. Ma dopo Caporetto â superato lo choc â Mussolini prese coscienza dellâintrinseca debolezza dellâinterventismo in sĂ©, cercando di superarlo nel confuso concetto di «trincerismo» e «combattentismo». Non a caso Trincerocrazia si sarebbe intitolato un articolo, in cui avrebbe delineato lo scontro inevitabile tra «quelli che ci sono stati e quelli che non ci sono stati; quelli che hanno combattuto e quelli che non hanno combattuto; quelli che hanno lavorato e i parassiti».
Non piĂč «quotidiano socialista» ma «quotidiano dei combattenti e dei produttori» sarebbe stato, a partire dal 1Âș agosto 1918, il sottotitolo del «Popolo dâItalia». Il tentativo di valorizzazione sociale della vittoria con lâarticolo Andate incontro al lavoro che torna dalle trincee, apparso il 9 novembre â18, rifletteva lâillusione di fare dellâinterventismo una piattaforma politica di rinnovamento sociale e di competizione col socialismo.
Nellâazione portata avanti verso i reduci, i «trinceristi» e gli ex combattenti, Mussolini avrebbe stretto legami in particolare con i futuristi e gli arditi, ai quali disse:
Io vi ho difeso quando il vigliacco filisteo vi diffamava ⊠Rappresentate la mirabile giovinezza guerriera dellâItalia. Il baleno dei vostri pugnali o lo scrosciare delle vostre bombe farĂ giustizia di tutti i miserabili che vorrebbero impedire il cammino della piĂč grande Italia.
Allontanandosi dalle illusioni wilsoniane non appena il presidente americano disconobbe i diritti dellâItalia («chiari e legittimi», consacrati da 460.000 morti), Mussolini si sarebbe presentato allâopinione pubblica borghese come uno dei piĂč autorevoli interpreti delle posizioni antirinunciatarie e irredentiste.
In questo quadro si inserisce la fondazione dei Fasci di combattimento; avvenimento passato quasi inosservato (sulla stampa il maggiore rilievo venne dal «Corriere della Sera»); dâaltra parte nemmeno Mussolini avrebbe potuto predire un futuro preciso a un movimento in cui avrebbe visto il mezzo per rinnovare, se necessario anche con «metodi rivoluzionari», una vita politica italiana sclerotizzata. Avrebbe scritto in quei giorni:
Noi interventisti siamo i soli che in Italia hanno il diritto di parlare di rivoluzione ⊠Né la parola ci sgomenta come succede al mediocre pauroso che Ú rimasto col cervello al 1914. Noi abbiamo già fatto la rivoluzione. Nel maggio del 1915.
Cifre alla mano, la riunione del 23 marzo 1919 in piazza San Sepolcro a Milano non puĂČ certo considerarsi un successo (300 in tutto i presenti). PiĂč importante, semmai, il quadro degli intervenuti: trinceristi, ex combattenti, interventisti rivoluzionari, futuristi, repubblicani, socialisti riformisti. Milano a parte, i Fasci non avrebbero avuto nel resto della penisola particolare sviluppo; realtĂ non sfuggita a Mussolini, piuttosto restio a impegnarsi piĂč di tanto nella loro organizzazione, e deciso semmai a puntare al vecchio sogno del blocco delle sinistre interventiste. Solo quando il sogno si confermĂČ tale, solo allora Mussolini si sarebbe acconciato a utilizzare quella modesta base politica per le proprie mire. NĂ© si puĂČ certo dire che il programma dei Fasci brillasse per particolare originalitĂ ; era molto avanzato sul piano sociale, ma in realtĂ soltanto sulla carta, non avendo i Fasci la forza necessaria per estendere la loro influenza sulle masse operaie e contadine, nĂ© per erodere il fronte socialista (e quasi subito sarebbe apparsa chiara la discrepanza fra la «sinistra» del Fascio di Milano e quella di altri in altre zone del Paese).
Fallimento evidente sin dal 15 aprile 1919, quando lâassalto di fascisti e arditi alla sede milanese dellâ«Avanti!» avrebbe di fatto reso incolmabile il solco tra fascisti e socialisti e, soprattutto, tra fascisti e masse proletarie.
Eppure un forte aiuto a Mussolini per tentare di agganciare i partiti e i gruppi della sinistra interventista sarebbe potuto venire dalla situazione internazionale; dallâinfelice andamento delle trattative parigine di pace e dalla intransigenza degli alleati, in generale, e di Wilson in particolare, sulla questione di Fiume. Tema capace di far convivere gli interventisti di destra e di sinistra, ricreando, seppure per un breve periodo, la fittizia unitĂ dellâinterventismo. Lo stesso Mussolini, in un primo contatto epistolare con DâAnnunzio il 1Âș gennaio 1919, si era dichiarato dâaccordo con lui sulla necessitĂ di non lasciar «mutilare» la vittoria.
Nei fatti Mussolini era perĂČ prudente nellâimpegnarsi troppo con DâAnnunzio, e non si fece invischiare piĂč di tanto nella questione fiumana. Qualsiasi altro obiettivo â fosse un allargamento rivoluzionario dellâimpresa legionaria o una sua estensione alla Dalmazia â gli sarebbe apparso troppo aleatorio. Di qui un continuo temporeggiare, che non sarebbe sfuggito a DâAnnunzio stesso. Al quale rivolse lâinvito a rinviare a dopo le elezioni generali di metĂ novembre qualsiasi tipo di agitazione; a dimostrazione di come ormai Mussolini ragionasse e si muovesse non piĂč come rivoluzionario ma come uomo di Stato e non intendesse arrischiare avventure militari e rivoluzionarie di alcun tipo. Posizione che avrebbe personalmente ribadito al comandante a Fiume, dove egli si recĂČ in volo.
Mussolini gestĂŹ cosĂŹ, come volle, i lavori del I congresso dei Fasci di combattimento; occasione per ribadire il suo possibilismo politico e istituzionale («Noi» avrebbe affermato «siamo degli antipregiudizialisti, degli antidottrinari, dei problemisti, dei dinamici; non abbiamo pregiudiziali nĂ© monarchiche nĂ© repubblicane»). Nel tentare di rilanciare una politica di accordo elettorale con gruppi e movimenti della sinistra interventista â con risultati deludenti â, alle elezioni del novembre 1919 i Fasci si trovarono un poâ dovunque isolati. In alcune circoscrizioni finirono addirittura per non presentarsi, in altre aderirono a coalizioni di destra.
Inevitabile il tracollo elettorale, reso ancor piĂč cocente dal successo del Partito socialista. Situazione critica, sarcasticamente fotografata dallâ«Avanti!» del 18 novembre: «Un cadavere in stato di putrefazione fu ripescato stamane nel Naviglio. Pare si tratti di Benito Mussolini». Come se non bastasse, dopo alcune perquisizioni nelle sedi dei Fasci di combattimento e della redazione del «Popolo dâItalia» durante le quali furono sequestrate armi e documenti, egli venne arrestato, rimanendo tuttavia in carcere soltanto per un giorno.
Mussolini cercĂČ di minimizzare lâentitĂ della sconfitta e il successo socialista («Ci sono delle vittorie che schiacciano come le sconfitte» avrebbe scritto sul «Popolo dâItalia». «Queste sotto il peso delle rovine; quelle sotto il peso, talora piĂč ingente, delle responsabilità »); ma i mesi successivi sarebbero stati per lui drammatici.
Gravi difficoltĂ economiche per il giornale (al punto che pensĂČ di liquidarlo), forti polemiche allâinterno dei Fasci; una situazione che avrebbe non poco contribuito al processo di conversione a destra del movimento, tra la fine del â20 e gli inizi del â21: allontanamento e defezioni degli elementi di sinistra, sostituiti da altri privi di una vera e propria ideologia (studenti, piccoloborghesi, ex combattenti), come tali piĂč a loro agio in un movimento dallâideologia confusa e dal vago programma. Dietro quegli «sbandati» si sarebbero avvicinati sempre meno timidamente ai Fasci gruppi sempre piĂč numerosi di «benpensanti». Trasformazione suggellata al congresso del maggio 1920 a Milano, dove lâinvoluzione (trasparente dalle parole di Mussolini, con la sua rinuncia alla pregiudiziale repubblicana e lâapertura ai valori «tecnici e morali» della borghesia e al Vaticano) provocĂČ critiche e contestazioni. Marinetti, fra tutti, denunciĂČ il progressivo allontanamento dei Fasci dalle masse abbandonando subito, insieme ad altri futuristi, una simile congrega di «passatisti».
Per la scia di polemiche che ne sarebbero scaturite, fu ancora piĂč alto il prezzo pagato sul finire del â20 con la posizione assunta di fronte al trattato di Rapallo alla conclusione dellâimpresa fiumana; posizione che Mussolini avrebbe spiegato in un articolo sul «Popolo dâItalia» come imposta sia dalla situazione internazionale, sia dalla stanchezza morale del Paese; per cui lo stesso «Natale di sangue» fiumano gli sarebbe apparso come «il punto dâincrocio tragico fra la ragion di Stato e la ragione dellâIdeale». PiĂč o meno convincenti siano state le spiegazioni (poco lo furono per DâAnnunzio, per molti legionari e per alcuni fascisti), esse dimostrano con quanta duttilitĂ e spregiudicatezza si muovesse Mussolini e chiariscono in fondo come egli fosse riuscito, in meno di un anno, a ribaltare gli effetti della dĂ©bĂącle elettorale, aiutato da contingenze favorevoli: lâatteggiamento di Giolitti nei confronti del fascismo e la vera e propria esplosione del fascismo agrario. A Mussolini era sin troppo chiaro come quello assegnato da Giolitti al movimento fosse un valore strumentale; per quanto riguarda il fascismo agrario, se aveva contribuito a promuovere i Fasci a movimento di portata nazionale, era evidente che i suoi caratteri peculiari poco avevano a che spartire con il fascismo mussoliniano. Quanto questo era dinamico, tanto quello era reazionario, borghese nel senso piĂč gretto della parola.
SembrĂČ in un primo tempo che Mussolini riuscisse ad affermare la propria autori...