Veniva ai giardini sempre di sabato o di domenica. Arrivava nella zona in cui di solito mi alleno, si sedeva su una panchina, non troppo vicina e non troppo lontana dagli attrezzi, tirava fuori un libro e un taccuino dallo zainetto, si metteva a leggere e di tanto in tanto prendeva appunti. Anche se faceva freddo. Qualche volta alzava la testa e si guardava attorno, con unâespressione incuriosita, come si fosse reso conto solo in quel momento di dove si trovava.
Un giorno ci eravamo incrociati e si era fermato ad accarezzare Olivia. Olivia Ăš un bull terrier; non Ăš aggressiva â se non fai una mossa sbagliata con lei o con la sua amica Penelope â perĂČ neanche socievole, con gli estranei. Puoi accarezzarla, ti lascia fare, ma ostenta una totale indifferenza. Lo so che sovrappongo a un animale categorie interpretative che vanno bene per le persone (e nemmeno per tutte), eppure mi piace pensare che Olivia, come me, detesti gli atteggiamenti paternalistici e condiscendenti e cerchi di non familiarizzare con chi li adotta.
In ogni caso, il tizio disse buongiorno e si abbassĂČ per accarezzarla, senza chiedere se fosse pericoloso. Le mise una mano sul collo e le sfiorĂČ, con pollice e medio, gli angoli della bocca. Olivia parve deliziata, offrĂ la gola con voluttĂ , scodinzolĂČ con forza, lei stessa stupita â suppongo â di ciĂČ che stava accadendo.
â Come si chiama?
Fui sul punto di rispondere: Penelope. Ovviamente lui intendeva il cane.
â Olivia.
â Bel nome. Bellissima lei. Buon allenamento, â disse andandosene.
Da allora ci salutavamo, quasi sempre solo un cenno a distanza.
Anche quella mattina, di domenica: lui sulla panchina con il suo libro, io che mi allenavo con la solita, nevrotica determinazione.
Erano trascorsi forse dieci minuti quando sentii alle mie spalle uno scoppio di grida disperate, ringhi rabbiosi, guaiti. Mi voltai e vidi un groviglio di cani, uno nero sopra, uno bianco sotto; vicino, una donna che urlava e chiedeva aiuto.
Tutto si svolse rapidamente, molto piĂș rapidamente di quanto ci vuole per descriverlo. Lasciai le parallele su cui mi stavo esercitando, dissi a Olivia, che era legata a un albero, di aspettarmi lĂ, e mi diressi verso la zuffa, non sapendo bene cosa avrei potuto fare. Camminando cercavo con gli occhi un bastone o un qualsiasi altro oggetto che potesse essermi utile. Poi vidi lâuomo della panchina che mi superava di corsa, afferrava il cane nero per le zampe posteriori, lo sollevava e lo lanciava a un paio di metri di distanza. Il bestione â pareva un corso â ruzzolĂČ in maniera rovinosa e quando si rialzĂČ era come spaesato. Lâuomo gli andĂČ vicino, troppo vicino, e cominciĂČ a parlargli sottovoce mentre il cane bianco â in realtĂ era un dalmata â scappava via inseguito dalla sua padrona in preda a una crisi isterica. Un attimo dopo entrĂČ nel mio campo visivo un signore sulla sessantina che si affrettava verso di noi zoppicando un poco, con un guinzaglio in mano. Il molosso era fermo, sembrava ipnotizzato. Quando infine il suo padrone arrivĂČ â scusandosi con tutti e con nessuno in particolare â si lasciĂČ mettere il guinzaglio e portare via senza opporre resistenza. Nessuno avrebbe creduto fosse lo stesso animale che qualche istante prima stava quasi sbranando il dalmata. Appena i due cani con i rispettivi padroni furono andati via, lâatmosfera, in modo quasi irreale, tornĂČ come prima.
â Mai vista una cosa del genere, â dissi.
â Per separare due cani che si azzuffano, â replicĂČ lui, â ci sono solo due metodi efficaci e relativamente poco rischiosi. Una secchiata dâacqua o quello che ho fatto io.
â E secondo lei Ăš poco rischioso? Non câĂš pericolo di essere morsi?
â Se si sa come fare e si agisce senza esitazione Ăš difficile che succeda. Il cane non puĂČ morderti, se viene sollevato dalle zampe posteriori, e di regola, dopo, non ha nessuna voglia di ricominciare. Non subito, almeno. La questione cambia se si tratta di un cane addestrato a combattere.
â Per fortuna quel bestione non apparteneva alla categoria.
â Per fortuna, sĂ.
â Mi Ăš sembrato che lei gli sussurrasse qualcosa.
â Serve a tranquillizzarlo, e a dare il tempo allâaltro cane e alla padrona di andarsene. Non importa cosa si dice, ma il tono.
Non aveva proprio lâaria dellâenergumeno. Occhiali, statura media, corporatura normale, anzi un poâ magro. PiĂș il fisico del fondista che quello del lanciatore di peso.
â Ci sa fare con i cani â. Che frase idiota, pensai un attimo dopo. â E comunque ci tengo a precisare che mi capita anche di dire cose piĂș intelligenti.
â Mi piacciono i cani. Anni fa mi divertivo a addestrarli, adesso ho meno tempo. Il mio Ăš morto da qualche mese.
â Mi spiace.
â Ho sempre consigliato di prendere subito un cucciolo, quando muore un cane molto amato. Ă la cosa piĂș giusta da fare: mantiene in equilibrio ed evita di trasformare gli animali in umani, nella nostra testa. Essendo la cosa piĂș giusta da fare, non lâho fatta. Ho ragionato, per cosĂ dire, proprio nel modo che consideravo piĂș sbagliato negli altri: prendere un cucciolo sarebbe stato un tradimento verso Buck. Piuttosto stupido, eh?
â Buck come il cane de Il richiamo della foresta?
â SĂ, esatto. Complimenti, ormai non se lo ricorda piĂș nessuno.
â Che cane era?
â Un incrocio fra un bovaro del bernese â cioĂš la razza di Buck nel romanzo â e un pastore belga. A vederlo faceva un poâ paura, invece era buonissimo.
Rimanemmo cosĂ per qualche secondo. Stavo per chiedergli cosa stesse leggendo, ma temetti che con quella domanda mi sarei mostrata insensibile verso il suo lutto canino.
A quel punto Olivia, che aveva atteso con pazienza, lanciĂČ un singolo, legittimo latrato di frustrazione e protesta. Ă una ragazza poco loquace: se parla, di solito câĂš un buon motivo.
â La chiama, ha ragione. Allora ci vediamo qui uno di questi giorni, â disse lui.
â Ci vediamo, â risposi io.
Quando ricevo i miei clienti (fatico sempre a chiamarli cosĂ) nel bar di Diego, arrivo in anticipo e faccio due chiacchiere con lui, se non Ăš troppo occupato. Mi ricorda il tempo in cui avevo un lavoro vero. Mi presentavo in procura una mezzâora prima di ogni impegno â udienza, attivitĂ istruttoria, incontri con avvocati â e parlavo un poâ con i miei collaboratori. Era bello. Ă una delle cose di cui ho nostalgia.
â Ciao Diego.
â Ciao Penny, un poâ che non ti vedo. Tutto bene?
â Tutto bene mi sembra eccessivo. Tu?
Fece unâespressione che non gli era consueta e che non riuscii a decifrare. Mi guardĂČ come se volesse rispondere ma non trovasse le parole. Poi chiese: â Ti serve lâufficio?
Annuii.
â Qualcosa che non va?
Al bancone câerano solo due avventori. Diego disse a Maria, la ragazza colombiana che lavorava con lui, che usciva a fumare una sigaretta.
â Che succede? â domandai quando fummo fuori, entrambi con la sigaretta accesa. Faceva freddo, il cielo era grigio e compatto, presto avrebbe cominciato a piovere.
â Ieri siamo stati dal giudice per la separazione.
â Ah, ecco. Ă arrivato il momento.
TirĂČ su col naso. Mi guardĂČ con unâespressione avvilita, affranta. Aveva gli occhi lucidi. La gente che piange o che sta per piangere mi mette in imbarazzo. Anche se non câentro niente, mi sento responsabile, e a me non piace sentirmi responsabile. Gli diedi una goffa pacca sulla spalla.
â DĂ i, in fondo lo avevate deciso insieme.
â Non ti ho mai raccontato il motivo.
â In effetti, no.
â Sono gay.
Rimasi in silenzio. Fumai.
â Non dire che lo sapevi.
â Va bene, non lo dico.
â Come hai fatto a capirlo? Quando? â mi chiese con un tono in bilico fra lo stupore e il sollievo.
Stavo per rispondere: perché non ci hai mai provato. Ma sarebbe stato fuori luogo, per varie ragioni.
â Non Ăš che ci ho riflettuto in modo particolare. Ho solo immaginato che potevi essere gay. Forse il tipo di attenzioni che hai per me, la tua gentilezza, la capacitĂ di notare certi dettagli. Una cosa infrequente nei maschi eterosessuali. Lo so che Ăš un clichĂ©, perĂČ non riesco a essere piĂș precisa. E non ricordo quando lâho pensato per la prima volta, ma insomma, ora che me lo dici non mi sorprendo.
â Ti fa effetto?
â Il fatto che tu sia omosessuale o il fatto che ti sei separato da tua moglie?
â Tutte e due le cose.
â Che tu sia omosessuale non mi fa nessun effetto. Che ti sia separato, sĂ. Mi rendo conto che suona un poâ contraddittorio.
SchiacciĂČ la sigaretta nel posacenere davanti allâingresso del bar.
â Sei la prima persona cui lo dico. Grazie.
â Grazie perchĂ©?
â Non lo so. Mi viene da dire grazie. Di esserci, forse. Di averlo capito, di essere qui a parlare con me.
â Tu quando te ne sei accorto? Di essere omosessuale, intendo.
â Non so bene. Di sicuro un poâ in ritardo. Ho anche fatto un bambino. Adesso, se guardo indietro, mi sembra che fosse chiaro da sempre. Probabilmente rifiutavo, non avevo il coraggio di accettarlo.
â Capita spesso. Ci diciamo le bugie perchĂ© quello che implicherebbe riconoscere la realtĂ ci appare insopportabile. Poi non lo Ăš quasi mai.
â Cosa?
â Insopportabile. Come Ăš successo che avete deciso di separarvi? Ă accaduto qualcosa o hai preso tu lâiniziativa per fare chiarezza?
Sul viso di Diego comparve un sorriso tristissimo.
â Non sarei mai stato capace di prendere lâiniziativa. Semplicemente, Loredana ha capito che avevo una relazione. Poco dopo ha scoperto che questa relazione era con un uomo. E subito dopo mi ha chiesto di andarmene di casa.
â Ă molto arrabbiata, immagino.
â Impazzita, furiosa. ChissĂ se si sarebbe arrabbiata alla stessa maniera, se lâavessi tradita con una donna.
â Si sarebbe arrabbiata, ma una situazione come questa Ăš piĂș difficile da accettare. Mette in discussione la femminilitĂ di una donna, la sua percezione di sĂ©. Non deve essere facile, ha tutto il diritto di essere arrabbiata.
â Mi dispiace tantissimo di averla ferita cosĂ. Io le voglio bene come prima, anche di piĂș. Lei invece mi odia, e credo che mi odierĂ per sempre.
TirĂČ su col naso prima di riprendere.
â Dice che mi farĂ causa alla Sacra Rota. Non capisco poi che differenza câĂš con un divorzio normaleâŠ
â Sottigliezze giuridiche. Con la decisione della Sacra Rota il matrimonio v...