Del resto basta leggerla con gli occhi di oggi, la storia del naufragio troiano, per rendersi conto che si tratta di cronaca. Riprendiamo il racconto dallâinizio. Allo scatenarsi della tempesta che sta per travolgere le navi, Enea, disperando ormai della vita, esclama1:
O tre e quattro volte felice
chi sotto lo sguardo del padre, alle alte mura di Troia
ebbe in sorte il cadere!
Adesso che le onde preannunciano la morte, il pensiero corre a tutti coloro che lâhanno giĂ incontrata lĂ dove infuriava la guerra. Forse sarebbe stato meglio farla finita allora, pensa Enea, mentre giĂ si vede inghiottito dai flutti. ChissĂ quante volte pensieri simili avranno volteggiato e ancora volteggeranno â come droni â fra i gommoni e i barconi carichi di fuggiaschi che affondano nel canale di Sicilia. Se era questa la sorte che ci attendeva, sarebbe stato meglio morire con gli altri in Siria, sotto le bombe, o fra i monti dellâAfghanistan. Intanto, perĂČ, il mare ha giĂ fatto le prime vittime fra i Troiani:
Sparsi naufraghi appaiono a nuoto nel vasto gorgo
Apparent rari nantes in gurgite vasto2.
In passato molte societĂ sportive hanno usato queste parole virgiliane â rari nantes â come motto da stampare sugli accappatoi dei nuotatori. Ma ciĂČ poteva avvenire al tempo in cui lâEneide era solo un serbatoio di formule poetiche. Leggendo oggi questi versi lâaccento batte drammaticamente su rari, non su nantes, perchĂ© in pochi scampano nuotando dai gommoni sfondati; mentre il gurges in cui i naufraghi si dibattono resta vasto. Ma continuiamo col racconto virgiliano. Il dio Nettuno non accetta che i venti, scatenati da Eolo per volere di Giunone, la facciano da padroni anche nel regno che Ăš suo, le acque. Fa dunque cessare la tempesta e, contrariamente a ogni aspettativa, Enea e alcuni naufraghi raggiungono la costa:
con gran desiderio di terra, sbarcati,
di quella sabbia bramata i Troiani si appropriano e posano
sulla spiaggia le membra grondanti dâacqua salata3.
Desiderio di terra, di sentirsela finalmente sotto i piedi, brama di sabbia. La sensazione piĂș cara a ogni naufrago. I superstiti sono sbarcati nei pressi di Cartagine, sulla costa della regione che allora portava il nome di Libia (ma oggi Ăš Tunisia). Ancora perĂČ non sanno dove si trovano. Intanto Venere, angosciata per la sorte di suo figlio Enea, si rivolge a Giove chiedendogli per quale motivo la sventura si accanisca contro i fuggiaschi:
cosa ha potuto il mio Enea contro te commettere, cosa
di cosĂ grave i Troiani, cui, dopo tante sciagure,
tutto lâorbe terrestre vien chiuso sulla via dellâItalia?4.
Come se il mondo intero congiurasse, chiudendosi di fronte a un pugno di disperati in fuga da una cittĂ in fiamme, per impedir loro di raggiungere la propria meta, il âluogoâ che si sono âpostiâ: lâItalia. Cosâavranno mai commesso, di cosĂ grave, quei profughi? Nulla, ovviamente, la domanda Ăš retorica. Porla serve solo a rimarcare lâinnocenza di chi fugge dalla guerra per essere poi travolto dai flutti. Intanto anche Enea si Ăš salvato, ma Ăš approdato in un punto diverso da quello toccato dagli altri naufraghi. Si dispera per la perdita delle navi e dei compagni:
perse (inaudito!) le navi per lâira di un solo
siamo traditi e tenuti lontani dai lidi dâItalia5.
«Un solo». Il lettore del poema virgiliano sa a chi si riferisce Enea con questa «ira di un solo», allude alla divinitĂ che si accanisce contro i Troiani: Giunone. Ma il testo dice soltanto unius ob iram âper lâira di un soloâ. Lâespressione Ăš vaga, indefinita, suscita il fantasma di una presenza tanto oscura quanto minacciosa. Una entitĂ che ieri come oggi ha âda solaâ il potere nelle proprie mani e, animata dal peggiore dei sentimenti, lâira, impedisce a un gruppo di profughi di raggiungere lâItalia, preferendo lasciarli annegare.
Adesso Venere, sotto le sembianze di una fanciulla mortale, va incontro a Enea e lo rassicura sulla sorte degli altri compagni: sono salvi. Siete sbarcati sulle coste di Cartagine, dice, non resta che recarvi alla corte della sovrana che regna sulla cittĂ , Didone. Non vedete? Un presagio favorevole garantisce a tutti la salvezza. Davanti agli occhi dei superstiti, infatti, uno stormo di dodici cigni Ăš scampato alle insidie di unâaquila. Terminato il suo discorso, Venere si rivolge a Enea in questo modo:
Ora prosegui, e muovi i passi dove ti porta la via6.
La dea indica dunque a Enea la strada da seguire per giungere a Cartagine. Con questo suo gesto Venere mostra di rispettare lâantico precetto consuetudinario che imponeva a chiunque di mostrare la via a coloro che lâavessero persa e vagassero in luoghi sconosciuti. Di questo perĂČ parleremo meglio piĂș avanti. Enea e i compagni proseguono, avvolti in una nube che impedisce loro di esser visti (sono i privilegi dellâepica antica) e giungono nei pressi di Cartagine.
La cittĂ non Ăš ancora sorta del tutto, fervono i lavori. Dalla sommitĂ di un colle Enea contempla dunque gli splendidi edifici che stanno nascendo. Protetto dalla nube che lo rende invisibile a ogni sguardo, lâeroe si mischia ai cittadini, fino a raggiungere il luogo in cui sorge un tempio dedicato a Giunone. Ed ecco la cosa che piĂș colpisce il suo sguardo, la piĂș straordinaria: gli affreschi che ne adornano le pareti. Vi sono infatti raffigurate scene della guerra di Troia. Nella folla dei combattenti Enea riconosce gli Atridi, Diomede distruttore, piĂș in lĂ vede la morte del giovane Troilo, il corpo di Ettore trascinato nella polvere dal carro di Achille, le donne di Troia che, supplici, si rivolgono a una divinitĂ che non le ascolta, il riscatto del cadavere da parte di Priamo, tutto. Figure note, care, perdute per sempre. Fra queste Enea vede perfino se stesso, mescolato alla turba dei guerrieri greci. Le tragiche vicende di Troia, giunte fino alle lontane spiagge di Cartagine sulle ali della fama, hanno dunque preceduto lâarrivo dei profughi. Misteriosamente le loro immagini sono giĂ lĂ, come se il mondo di Enea e Didone conoscesse la televisione e il web, strumenti capaci di inviare al mondo immagini di guerre e battaglie ben prima che i superstiti ne siano fuori. I âreportageâ della tragedia troiana sono giĂ noti e visibili, a disposizione di tutti, distesi sulle pareti del tempio. Ă questo il momento in cui si colloca uno dei passaggi piĂș intensi e piĂș noti del poema. Le parole che Enea rivolge ad Acate, il suo fidato compagno, indicandogli la mesta immagine di Priamo:
Che luogo, oramai, sulla terra,
quale regione non Ăš piena, Acate, del nostro penare?
Ecco Priamo. Anche qui trova il suo compenso il valore,
sono lacrime delle cose e le vicende mortali commuovono gli animi.
(Sunt lacrimae rerum et mentis mortalia tangunt).
Sciogli i timori, questa fama ti porterĂ salvezza7.
Sunt lacrimae rerum et mentis mortalia tangunt. Questo verso virgiliano Ăš tanto celebre quanto enigmatico, e particolarmente oscuro risulta il sintagma sunt lacrimae rerum. Che cosa intendeva dire Virgilio? Semplificando molto, le interpretazioni possibili di questa espressione sono sostanzialmente due: la prima Ăš che le âcoseâ (i fatti, gli eventi) sono capaci di suscitare lacrime; la seconda, che le âcoseâ (i fatti, gli eventi) sono esse stesse bagnate di lacrime. Non Ăš certo questa lâoccasione per addentrarci in una discussione filologica8. Le due interpretazioni perĂČ non si escludono fra loro, anzi, Ăš probabile che il poeta stesso abbia voluto questa ambivalenza, per accrescere il fascino doloroso delle parole pronunziate da Enea. Queste scene di rovina, distruzione e morte, a lui cosĂ familiari â il giovane Troilo che cade sotto la spada di Achille, il vecchio Priamo, impotente e inerme, e cosĂ via â suscitano lacrime negli occhi di chi le contempla e nello stesso tempo sono esse stesse bagnate di lacrime. Immaginiamo anzi per un momento che lo sguardo di Enea si stia rivolgendo non ai dipinti che, dal muro di quel tempio, rimandano alle vicende di Troia; ma si stia posando sulle immagini che, dagli schermi delle nostre televisioni, rinviano agli scenari delle innumerevoli guerre che insanguinano il presente. Che cosa vedrebbe Enea in queste circostanze? Una bambola strappata, una scarpa spaiata, un cassetto bruciato o insanguinato. Gli scenari sarebbero altri, ma la reazione dellâeroe sarebbe la stessa: altre âlacrime delle coseâ, direbbe, ancora scene che suscitano lacrime e nello stesso tempo ne sono bagnate. Forse basta posare gli occhi su quella bambola strappata â momenti in cui il lontano si fa improvvisamente vicino e lâanonimo diventa familiare â per comprendere quanto poco ambigua risulti lâespressione di Virgilio, sunt lacrimae rerum.
Sia come sia, la conclusione che Enea trae dalla presenza di quegli affreschi nel tempio di Cartagin...