âVoglio raccontarvi una storia, â esordĂ. â La conoscono i vecchi. Quando loro non ci saranno piĂș, sarĂ sepolta per sempreâ.
De Nardis la guardĂČ senza mostrare grandi segni di interesse. Lei continuĂČ.
âSupponiamo che vicino ad Abriola ci fosse una frazione. Magari non aveva nemmeno un nome, o forse sĂ, quello di qualche santo, probabilmenteâ.
Lâuomo non battĂ© ciglio. Imma aprĂ il cassetto e ne tirĂČ fuori una foto in bianco e nero, una manciata di casupole intorno a una chiesa. Lui la osservĂČ, quindi la posĂČ sulla scrivania.
âSi presentava cosĂ, verso la metĂ dellâOttocento, â proseguĂ Imma. â Ora restano sĂ e no un poâ di pietre una sullâaltra. Curiosa, eh, la forma di questo picco delle Dolomiti lucane? Quando uno lo guarda dal belvedere di Abriola sembra che la cima si debba staccare da un momento allâaltroâ.
Il nobile rampollo non tradà emozioni. Dissimulare sapeva dissimulare, a questo punto era assodato, perché a quelle immagini doveva tenerci. Per forza.
Imma prese altre due foto e gliele porse.
âChi Ăš, lo sapete?â
Lâuomo non rispose subito.
âA me Ăš sembrato di riconoscerlo, â lo incalzĂČ lei, â lâho notato nella galleria di quadri a casa vostra. Ă quel vostro antenato illustre, o sbaglio?â
âSembrerebbeâ, disse lâaltro allontanando un poâ la foto.
âHo saputo che avete fatto domanda per dichiarare palazzo de Nardis monumento nazionale. Proprio perchĂ© il conte Sifola di San Martino si Ăš distinto durante il Risorgimentoâ.
âHo il privilegio di aver ereditato un sito di rilevanza storicaâŠâ
âE vi siete sentito in dovere di metterlo a disposizione dei cittadini. Vi fa onore. Il municipio giustamente investirebbe, tanto piĂș che si avvicinano le celebrazioni per lâUnitĂ dâItalia. La gente deve conoscerla, la storia, avere la possibilitĂ di visitare i luoghi dove hanno vissuto gli eroi che hanno permesso al nostro paese di diventare quello che Ăšâ.
De Nardis abbozzĂČ un sorrisetto compiacente.
âPeccato, per questeâ.
Imma tirĂČ fuori delle altre foto che dispose sul tavolo. Su una si vedeva una donna nuda trafitta da una baionetta. In unâaltra un ufficiale sabaudo reggeva per i piedi un feto che sembrava un coniglio scuoiato.
Diana diede unâocchiata e si portĂČ la mano alla bocca, perchĂ© era debole di stomaco. Il conte, o quello che era, distolse signorilmente lo sguardo.
âĂ stata una guerraâ, mormorĂČ.
âA me sembra una carneficina. Ă vero che questi erano poveracci, gente di cui non importava a nessunoâ.
Calogiuri, che stava assistendo in silenzio allâinterrogatorio, si guardava la punta delle scarpe. Il giorno prima la dottoressa gli aveva spiegato che a quelle azioni partecipava anche il corpo dei carabinieri e lui si vergognava.
âAdesso va di moda rivalutarli, â rispose de Nardis, â ma i briganti erano pazzi sanguinari. Bestie. Mia nonna raccontava che avevano tagliato un orecchio al fattore del mio trisnonno per farsi dire dove tenevano le provviste. Lo fecero trovare sul tavolo alla moglie. A un altro cavarono gli occhiâŠâ
Imma prese unâaltra foto dal cassetto. Un bambino di una decina di anni, o meglio la sua testa infissa a un palo.
âAnche questo era un pazzo sanguinario?â
Nella stanza calĂČ un silenzio, che Imma interruppe dopo un poâ.
âNon erano chierichetti, ci mancherebbe, perĂČ pure i sabaudi si facevano prendere la mano. E un eroe doppiogiochista, che prima fa il manutengolo, cioĂš finanzia i briganti perchĂ© cosĂ spera di recuperare i suoi privilegi, poi volta bandiera e si mette con un esercito che fa a pezzi i minorenni, puĂČ diventare imbarazzanteâ.
De Nardis non replicĂČ.
âVi racconto unâaltra storiaâ. Imma raccolse le foto, le pareggiĂČ e le ripose nel cassetto. âPiĂș recente questa volta. Risale agli anni Sessanta, quando nei paesini della Basilicata cominciarono a girare certi personaggi che entravano nelle case a proporre affari. In cambio di roba vecchia, pentole di rame, mobili intagliati, vasi di terracotta, offrivano congole e secchi di plastica colorata che puzzavano ancora di fabbrica. Alle contadine non sembrava vero. Peppino Pezz Pezz, lo chiamavano. Allâanagrafe Giuseppe Giovinazzoâ.
Lâuomo incassĂČ il colpo.
âStava di casa a Calvello, â aggiunse Imma, â ma veniva spesso a trovare vostro nonno. Ve lo ricordereteâ.
âEro piccoloâ.
âInfatti. A quellâetĂ le cose restano impresseâ.
De Nardis dissimulĂČ un certo disappunto. Imma proseguĂ.
âQuelle visite fecero la fortuna del nonno di Stella Pisicchio. Quando arrivĂČ in Basilicata dal foggiano, non aveva manco gli occhi per piangere. Poi a forza di accaparrarsi servizi di porcellana, quadri e alabarde, mise su una piccola fortuna. Alla fine era lui che prestava i soldi a vostro padre, don Annibaleâ.
âI miei genitori erano molto generosi. Purtroppo il patrimonio di famiglia ne ha risentitoâ.
Generosi, eh. Poveri genitori. âFra le suppellettili che Peppino Pezz Pezz si portĂČ via per pochi spiccioli câera un baule di lastre fotografiche. Molti anni dopo lo ritrovĂČ sua nipote, Stellaâ.
De Nardis era un tipo ragionevole. Capiva quando non si poteva negare lâevidenza. AccennĂČ a quellâantenato che si chiamava come lui, NiccolĂČ. Il cognome, Sifola di San Martino, apparteneva al lato materno della sua famiglia. Coltivava mille interessi. Storia, poesia, scienze naturali. E fotografia, allâepoca roba da pionieri.
Stella gli aveva mostrato le lastre al loro primo appuntamento, ammise. Le aveva trovate in uno sgabuzzino quando aveva ristrutturato casa. Era rimasta colpita da alcune immagini che si intravedevano controluce, se lâemulsione non era troppo deteriorata. Sospettando che si trattasse di roba scottante cercava qualcuno con cui confrontarsi. PoichĂ© sul baule câera un timbro di Abriola, aveva pensato che lui potesse essere la persona giusta.
âCome mai non me lâavete detto subito?â
âCerte volte la verità ⊠puĂČ portare a conclusioni sbagliateâ.
âVoi pensate a dirlaâ.
De Nardis rimase in silenzio. La osservĂČ.
âDâaccordo, ero interessato a quelle lastre, â convenne dopo un poâ. â Non perchĂ© volessi farle sparire, intendiamoci. Era un pezzo di storia di famigliaâŠâ
âCapiscoâ.
Il suo antenato si era appassionato a quella tecnica miracolosa, le raccontĂČ, attrezzando in una stanza del palazzo un laboratorio che si era conservato pressochĂ© intatto. Utilizzava il collodio umido, rimasto in voga solo per un breve lasso di tempo, presto scalzato dal nitrato dâargento. Si dilettava nel ritratto, per lo piĂș contadinotte che metteva in posa, nude. Lui ne aveva rinvenuti alcuni, di quei ritratti. Fra le cose del conte perĂČ câera anche un diario che descriveva una spedizione fatta con alcuni ufficiali sabaudi in una frazione di Abriola dove si supponeva fossero nascosti i briganti. Vi veniva menzionato un servo, iniziato allâarte fotografica, che gli faceva da assistente. In quella situazione, lâuomo si era messo dietro lâobbiettivo per ritrarre il conte vittorioso insieme ai sabaudi. Quelle fotografie lui le aveva cercate dappertuttoâŠ
âE ora il destino vi metteva le lastre sotto il naso. Ma Stella, la prima volta che le proponeste di acquistarle, disse che voleva pensarciâŠâ
Lâinteressamento di de Nardis doveva averle messo la pulce nellâorecchio. Ecco perchĂ© cercava di contattare il cognato di Nicoletta Mannarella, lo storico!
âLa prima impressione â le confidĂČ il nobiluomo â Ăš stata che avrebbe preferito da parte mia⊠un interessamento di altro genere. Per questo sono rimasto sorpreso quando a distanza di tempo mi chiamĂČ proponendomi di vendermi quelle lastreâ.
âQuanto chiese?â
âCinquemila euroâ.
âIl 17 dicembre mi risulta che Stella Pisicchio Ăš stata ad Abriolaâ.
âDa me non Ăš mai venuta, ve lâassicuro. Che interesse avrei a mentirvi?â
âNon ho detto che state mentendo, perĂČ vorrei capire. Tutto suggerisce che sia stata lĂŹâŠâ
âLa proposta di vendermi le lastre me la fece dopo quella data. Qualche giorno prima che andassi a trovarla, il lunedĂ in cui Ăš morta. Ă il motivo per cui ero da lei, quel giornoâ.
âE come andĂČ la trattativa?â
âNon câĂš stata trattativaâ. De Nardis sembrava uno che cammina sul ghiaccio, tastando a ogni passo la resistenza della lastra. âNon mi ha aperto, come vi dicevo, non so nemmeno se fosse in casaâ.
âNon avete provato a chiamarla?â
âNon avevo credito, â balbettĂČ. â Poi mi Ăš arrivata una telefonata. Ho risposto, e mentre parlavo sono uscito dallo stabileâ.
âDi chi, la telefonata?â
âUno che aveva sbagliato numero, mi sembraâ.
âAvete parlato per una decina di minutiâ.
âI...