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Praga magica
Angelo Maria Ripellino
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Praga magica
Angelo Maria Ripellino
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Il libro mostra, al di lĂ del clichĂ© turistico di Praga, «cittĂ d'oro», tutta l'arcana sostanza, le ambiguitĂ , il tenebrismo, il torpore, il fascino nascosto della cittĂ boema. Il capolavoro di un saggista profondamente innamorato della sua materia, ma anche struggentemente poeta in proprio. Praga narrata non solo nei suoi splendori, ma anche nelle sue ombre non meno fascinose: quelle del Quartiere ebraico, del Golem, delle taverne, degli stranieri che vi abitarono, della letteratura tedesca che vi fiorĂ, di Hasek e di Kafka, di Apollinaire, di Meyrink e dei dadaisti boemi.
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StoriaSous-sujet
Storia dell'Europa orientaleParte prima
1.
Ancor oggi, ogni notte, alle cinque, Franz Kafka ritorna a via CeletnĂĄ (Zeltnergasse) a casa sua, con bombetta, vestito di nero. Ancor oggi, ogni notte, Jaroslav HaĆĄek, in qualche taverna, proclama ai compagni di gozzoviglia che il radicalismo Ăš dannoso e che il sano progresso si puĂČ raggiungere solo nellâobbedienza. Praga vive ancora nel segno di questi due scrittori, che meglio di altri hanno espresso la sua condanna senza rimedio, e perciĂČ il suo malessere, il suo malumore, i ripieghi della sua astuzia, la sua finzione, la sua ironia carceraria.
Ancor oggi, ogni notte, alle cinque, VĂtÄzslav Nezval ritorna dallâafa dei bar, delle bettole alla propria mansarda nel quartiere di Troja, attraversando la Vltava con una zĂ ttera1. Ancor oggi, ogni notte, alle cinque, i massicci cavalli dei birrai escono dalle rimesse di SmĂchov. Ogni notte, alle cinque, si destano i gotici busti della galleria di sovrani, architetti, arcivescovi nel triforio di San Vito. Ancor oggi due zoppicanti soldati con le baionette inastate, al mattino, conducono Josef Ć vejk giĂș da HradÄany per il Ponte Carlo verso la CittĂ Vecchia, e in senso contrario, ancor oggi, la notte, a lume di luna, due guitti lucidi e grassi, due manichini da panoptikum, due automi in finanziera e cilindro accompagnano per lo stesso ponte Josef K. verso la cava di Strahov al supplizio.
Ancor oggi il Fuoco effigiato dallâArcimboldo con svolazzanti capelli di fiamme si precipita giĂș dal Castello, e il ghetto si incendia con le sue scrignute catapecchie di legno, e gli svedesi di Königsmark trascinano cannoni per MalĂĄ Strana, e Stalin ammicca malĂšfico dal madornale monumento, e soldatesche in continue manovre percorrono il paese, come dopo la sconfitta della Montagna Bianca. Praga «fu sempre cittĂ di avventurieri», si legge in un dialogo di MiloĆĄ Marten, «per secoli nido di avventurieri senza pietĂ nĂ© legami. Venivano a frotte dalle quattro parti del mondo a predare, a spassarsela, a spadroneggiare»: «e ciascuno strappava, ingoiava un pezzo della viva polpa di questa misera terra, la quale dava sino a esaurirsi, senza che alcuno le si desse, per ripagarla di ciĂČ che le aveva tolto»2.
Troppo spesso asservita ed afflitta da ruberie e da soprusi, troppo spesso teatro alla spocchia di prepotenti stranieri, di masnade bruttissime di lanzichenecchi e gradassi, che ne fecero strazio e si lupeggiarono ogni sua sostanza. Quanti grugni porcini, impacciandosi nelle occorrenze di Praga, vi si sono accampati nel corso dei tempi: squassapennacchi dalle armature dorate e dal gonfio petto tintinnante di ciĂłndoli, fratacchioni di tutte le confratĂšrnite e prelati del porta inferi, Obergauner che piombavano in side-car, seminando rovina, e machiavellisti e fratelli traditorissimi, e ceffi mongolici come in racconti di Meyrink, e qualche assessore di collegio caucasico, preposto a imbavagliare il pensiero, e ciurme di regolisti e di sgherri che, puntando il mitra, sbaiaffano fagiolate ideologiche, e interi conclavi di generali capocchi, tra i quali sia ricordato; per le innumere placche e medaglie che lo avviluppano, lo zelante EpisciĂČv, coglione in crĂšmisi.
Alla soglia della seconda guerra mondiale Josef Äapek, che sarebbe perito in un Lager nazistico, narrĂČ in un ciclo di caricature la storia di due protervi stivali, due neri vĂscidi guitti che, moltiplicandosi come le salamandre, spargono per lâuniverso menzogna, sfacelo e morte3. Ancor oggi pesanti stivali calpestano Praga, ne strozzano lâinventiva, il respiro, lâintelligenza. E, sebbene ciascuno di noi non si stanchi di sperare che queste sciagurate scarpacce, come quelle che disegnĂČ Josef Äapek, finiscano tra le cianfrusaglie di Chronos, il Gran Rigattiere, tuttavia molti si chiedono se, data la brevitĂ della vita, ciĂČ non accadrĂ troppo tardi.
1 Cfr. VĂTÄZSLAV NEZVAL, Z mĂ©ho ĆŸivota, Praha 1959, pp. 177-79, e JIĆĂ SVOBODA, PĆĂtel VĂtÄzslav Nezval, Praha 1966, p. 203.
2 MILOĆ MARTEN, Nad mÄstem (1917), Praha 1924, p. 24.
3 JOSEF ÄAPEK, DiktĂĄtorskĂ© boty (1937), in DÄjiny zblĂzka (Soubor satirickĂœch kreseb), a cura di Otakar MrkviÄka, Praha 1949. Cfr. JAROMĂR PEÄĂRKA, Josef Äapek, Praha 1961, p. 82.
2.
Detlev von Liliencron era convinto di esser giĂ vissuto una volta nella capitale boema, non come poeta, ma come capitano dei lanzichenecchi del Wallenstein1. Anchâio ho la certezza di avervi abitato in altre epoche. Forse vi giunsi al sĂ©guito della siciliana principessa PerdĂta che, in The Winterâs Tale di Shakespeare, va sposa al principe Florizel, figlio di Polissene, re di Boemia. Oppure come scolaro dellâArcimboldo, «ingegnosissimo pittor fantastico», che dimorĂČ per molti anni alla corte di Sua MaestĂ Cesarea Rodolfo II2. Lo aiutavo a dipingere i suoi ritratti compĂČsiti, quegli inquietanti e scurrili mostacci, rigonfi come di porri e di scrĂČfola, che egli imbastiva ammucchiando frutti, fiori, spighe, paglie, animali, cosĂ come gli Incas mettevano pezzi di zucca nelle guance e occhi dâoro ai cadaveri3.
Oppure, nello stesso torno di tempo, ciarlatano in una baracca a Piazza della CittĂ Vecchia, spacciavo lettovari ed intrugli ai babbioni e, quando gli sbirri scoprirono i miei ingannamenti, feci un leva eius, tornando da Praga come una gazza scodata. O piuttosto vi giunsi con un Caratti, un Alliprandi, un Lurago, con uno dei tanti architetti italiani, che diedero inizio al Barocco nella cittĂ vltavina. Ma se guardo il quadro in cui Karel Ć krĂ©ta effigiĂČ (1653) Dionysius Miseroni con una coppa di ĂČnice in mano, mi sembra di aver lavorato, io che amo limar le parole come pietre dure, nella bottega di questo intagliatore, che fu anche custode delle collezioni imperiali.
O forse non câĂš bisogno di risalire cosĂ lontano: semplicemente ero uno dei molti figurinai e stuccatori italiani, che nel secolo scorso affluirono a Praga, aprendovi negozi di statuette di gesso4. BenchĂ© sia piĂș probabile che io appartenessi alla folta schiera di quelli che, a ogni ora del giorno, giravano per le viuzze e i cortili della capitale boema con un organetto, nella cui parte anteriore splendeva un teatrino invetriato. Posavo lâorganetto su un trĂ©spolo, alzavo la tela di cĂ napa che lo ricopriva e, al volgersi della manovella, nella bacheca raffigurante una fuga di piccole sale con sfondo di specchi danzavano a coppie minuscoli vagheggini in marsina e calzoni bianchi, bianche damine con la crinolina e la pettinatura a paniere ed esigui ventagli5.
Ma taluni giĂ da lungo tempo mi hanno identificato con Titorelli, lâimbrattatele, il dispensiere di Kitsch, il quale, oltre a ritratti, dipinge paesaggi stenti ed uguali che a molti non piacciono, perchĂ© «troppo tristi»6. E câĂš chi pensa che io sia stato quel cliente della banca a cui, nel Processo, K., che sa un poâ di italiano e si intende di arte, dovrebbe mostrare i monumenti di Praga. Lâorigine meridionale del cliente, i suoi «grossi baffi grigio-bleu» profumati, la sua «giacchettina stretta e corta», i molti gesti delle sue agili mani mi inducono a credere che qualcosa di vero sussista in questo bislacco accostamento. Se Ăš cosĂ, mi dispiace di non essere andato quel giorno piovoso, freddo, umido allâappuntamento nella cattedrale costruita nel XIV secolo da MatyĂĄĆĄ di Arras e da Petr ParlĂ©Ć di GmĂŒnd, mi dispiace di aver fatto attendere invano il signor procuratore7. Se poi mi rammento che Titorelli vien definito «uomo di fiducia del tribunale»8 e che il cliente italiano ne Ăš certo uno strumento segreto, un cursore, allora, nel futile giuoco delle incarnazioni, mi accorgo di essere io stesso morbosamente invischiato nel guazzabuglio malsano di accuse, soffiate, messaggi arcani, sentenze, espiamenti, che costituisce il mistero e il calvario di Praga.
Una sola cosa Ăš sicura, che da secoli io cammino per la cittĂ vltavina, mi mescolo alla moltitudine, arranco, girĂłnzolo, annuso tanfo di birra, di fumo di treni, di melma fluviale, potete vedermi lĂ dove, come afferma KolĂĄĆ, «invisibili mani rimenano sulle spianatoie dei marciapiedi la pasta dei passanti»9, lĂ dove, per dirla con Holan, «i crostini di strade strofinati â con lâaglio della folla un poco puzzano»10.
1 Cfr. OSKAR WIENER, Alt-Prager Guckkasten (Wanderungen durch das romantische Prag), Prag-Wien-Leipzig 1922, p....