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La Storia
Elsa Morante
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La Storia
Elsa Morante
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A La Storia, romanzo pubblicato direttamente in edizione economica nel 1974 e ambientato a Roma durante e dopo l'ultima guerra (1941-47), Elsa Morante ha consegnato la massima esperienza della sua vita. Ă la sua opera piĂș letta e, come tutti i libri importanti, anche quella che piĂș ha fatto discutere. Cesare Garboli, nell'introduzione a questa edizione tascabile, traccia un bilancio critico sul romanzo a piĂș di vent'anni dalla prima pubblicazione.
Completano il volume la cronologia della vita e delle opere, la bibliografia generale e quella specifica relativa al dibattito su La Storia.
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Sujet
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Literature General.....1947
Gennaio-Giugno
In Sicilia, i proprietari terrieri rispondono ai contadini e braccianti (in lotta per il diritto di sopravvivere) organizzando una serie di assassinii di dirigenti sindacali.
A Roma, lâAssemblea Costituente conferma (col voto favorevole dei Comunisti) il Concordato fra lo Stato e la Chiesa giĂ stipulato dal Regime fascista col Vaticano.
Col perdurare della guerra civile in Grecia, lâInghilterra chiede lâintervento degli Stati Uniti a sostegno della reazione monarchica contro la resistenza partigiana. Per lâoccasione il Presidente Truman, tenendo un discorso al Congresso, dĂ lettura di un suo messaggio, nel quale impegna gli Stati Uniti a intervenire non solo in Grecia, ma in qualsiasi paese minacciato dal comunismo, e invita tutte le nazioni a difendersi dal pericolo rosso (dottrina Truman). Questo nuovo indirizzo degli Stati Uniti determina il rovesciamento delle alleanze della Seconda Guerra Mondiale, e lâinizio della guerra fredda fra i due blocchi di qua e di lĂ dalla cortina di ferro.
Per le esigenze immediate e future della guerra fredda, che richiede in primo luogo il controllo sulle nazioni minori, le due Massime Potenze (Stati Uniti e URSS) ricorrono senza indugio ai mezzi di potere piĂș propri di ciascuna: finanziari da parte degli Stati Uniti, e direttamente coercitivi da parte della Russia staliniana. Attraverso il Piano Marshall gli Stati Uniti intervengono con aiuti economici massicci nelle crisi interne dei paesi del proprio blocco rovinati dalla guerra (compresi lâItalia e la Germania Occidentale); mentre ha inizio, da parte dellâURSS, la sovietizzazione imposta dallâalto ai paesi satelliti, e lâutilizzazione delle loro risorse materiali â giĂ stremate â che vengono trasferite nellâUnione Sovietica.
Urgente ripresa della corsa agli armamenti e, in particolare, corsa allâarrembaggio del segreto atomico, rimasto finora monopolio degli Stati Uniti.
Nei paesi del blocco occidentale, si inaspriscono, allâinterno, le tensioni fra i partiti di destra e di centro, e quelli di sinistra.
In Grecia, perdura la guerra civile.
In Cina, controffensiva vittoriosa dellâArmata Rossa. Nel Vietnam, Ho Chi-minh respinge le condizioni di armistizio presentate dai Francesi.
In Sicilia, una pacifica manifestazione contadina si spegne in una strage eseguita proditoriamente da un bandito locale per conto dei proprietari terrieri.
Formazione, in Italia, di un nuovo governo, presieduto da De Gasperi (partito di centro) con lâesclusione dei Comunisti.
Luglio-Settembre
Dopo trentâanni di lotta contro lâImpero Inglese, condotta dal Mahatma Gandhi coi mezzi non violenti della resistenza passiva, lâIndia ottiene lâindipendenza. Il territorio Ăš diviso in due Stati: India (con prevalenza religiosa degli IndĂș) e Pakistan (con prevalenza dei Maomettani). Migliaia di profughi delle opposte minoranze religiose cercano rifugio oltre i confini dellâuna o dellâaltra parte. Ne segue fra IndĂș e Maomettani un conflitto sanguinoso, che costerĂ un milione di morti.
Il processo di autoliberazione dei popoli colonizzati (giĂ in corso dai primi decenni del secolo e accelerato dai rivolgimenti politici nel mondo attuale) si trova ormai nella fase decisiva. La disgregazione degli Imperi coloniali Ăš giĂ avvertita dalle Potenze interessate, delle quali alcune (non tutte) si inducono alla resa. Al colonialismo subentrerĂ allora il neocolonialismo, ossia lâassoggettamento economico delle antiche colonie, mantenuto dalle Potenze con lâacquisizione delle loro fonti di materie prime, la proprietĂ delle loro industrie, e la trasformazione dei loro territori (necessariamente sottosviluppati) in immensi mercati per i propri prodotti industriali (comprese le armi).
Ottobre-Dicembre
Dalla parte del blocco orientale, fondazione del Cominform (Centro informazioni dei partiti comunisti europei).
Rottura delle trattative di pace fra le Potenze dei blocchi riguardo al problema insoluto della Germania.
Febbrile la corsa allâarrembaggio del segreto atomico statunitense, con attivitĂ spionistica fra i due blocchi, caccia alle spie, condanne capitali, ecc.
In Italia, scioperi, scontri e uccisioni nelle varie province.
Negli Stati Uniti, fabbricazione dei primi missili giĂ inaugurati dalla Germania nella Seconda Guerra Mondiale...
... imponderabile in un mondo di pesi...
. . . . . . . .
... dismisura in un mondo di misure...
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... dismisura in un mondo di misure...
MARINA CVETAEVA
1.
«Pronto! Chi parla? Qua parla Useppe. Chi parla?»
«SĂ, sono io! Qua câĂš mamma, che parla, sĂ. Che mi vuoi dire, Useppe?»
«Pronto! Chi parla? Qui parla Useppe! Chi parla? Pronto!»
«Scusa scusa segnora» (Ăš intervenuta la voce di Lena-Lena) «mâha fatto chiamare il numero, e adesso non Ăš buono a dire niente!!»
Si sente la risata malrepressa di Lena-Lena, accompagnata da un giulivo abbaiamento di Bella. Poi, dopo un brevissimo borbottio di discussioni di lĂ dal filo, in fretta il microfono viene rimesso a posto.
Sul finire dellâinverno, a casa di Ida era stato impiantato il telefono, e questa era la prima chiamata che essa ne riceveva (aveva confidato il numero telefonico della sua scuola alla portinaia, e a Lena-Lena, raccomandando, perĂČ, di chiamare solo per comunicazioni urgenti...). Useppe, specie sul principio, non resisteva alla tentazione di quellâoggetto parlante appeso al muro, anche se poi, nel trattarlo, era maldestro come un selvaggio. Al suo squillo quotidiano (Ida telefonava ogni giorno alle dieci e mezza, durante lâintervallo della lezione) si precipitava, seguĂto in corsa da Bella; ma invero, ai saluti di Ida, non sapeva rispondere, al solito, che: «Pronto! Chi parla? Qui parla Useppe! Chi parla?...» ecc. ecc. Lâunica che chiamasse quel numero era Ida, e Useppe, da parte sua, non aveva nessun altro da chiamare a Roma. Una volta, lui fece a caso un numero, di due cifre sole, e gli rispose lâOra Esatta. Era la voce di una signora, e lui seguitava a insistere: «Pronto chi parla?» mentre quella, intignata, si accaniva a ripetergli: «Ore undici e quarantuno!» Unâaltra volta, ci fu una chiamata fuori orario, la mattina presto, ma era un tale che aveva sbagliato: e costui, dallâaltra parte del filo, dopo avere lui sbagliato, se la prese, chi sa perchĂ©, contro Useppe! FinchĂ©, col passare dei giorni, Useppe non sâinteressĂČ piĂș a quellâoggetto sgraziato e inconcludente. Alla solita chiamata quotidiana, Ida si sentiva rispondere da una vocina, timida, impaziente e quasi svogliata che diceva «sĂĂĂ...» («Hai mangiato?» «tĂ... sĂĂĂ!» «Stai bene?» «SĂĂ...») per poi rapidamente concludere: «addio! addio!»
Nel corso dellâinverno, Useppe era stato sempre risparmiato dal grande male. Il giorno dopo quella sua prima caduta del novembre, sua madre, stavolta sola, era corsa a confidarsi dalla dottoressa; e in tale occasione le aveva palesato anche il segreto dei propri malori infantili, da lei finora mai svelato a nessuno, neppure a suo marito: rivedendo e riudendo, al parlarne, in ogni particolare, la gita di sĂ© bambina sullâasinello in compagnia del padre, a Montalto, e la visita del compare medico, che lâaveva fatta ridere col solletico... Ma la dottoressa, con la solita bruscheria, tagliĂČ corto alle sue confessioni intricate dichiarandole autorevolmente: «Nonsignora! Nonsignora! Ă provato che certe malattie non sono ereditarie! tuttâal piĂș, si eredita una predisposizione, FORSE; ma questo non Ăš provato. E mi pare chiarissimo, per quanto ne capisco io, che il vostro caso personale era diverso. LĂ si trattava di comune isteria; mentre qua siamo di fronte a fenomeni dâaltra natura» («io lâavevo subito visto», mormorĂČ, mezzo fra sĂ©, a questo punto, «un elemento strano, negli occhi del ragazzo»). In conclusione, la Signorina scrisse per Ida, su un foglietto strappato dal ricettario, lâindirizzo di un Professore specialista, il quale eventualmente avrebbe potuto sottoporre il malatino allâelettroencefalogramma. E sĂșbito lâastrusa parola spaventĂČ Iduzza. GiĂ Ăš noto che tutto quanto apparteneva agli invisibili dominii dellâelettricitĂ le ispirava una diffidenza barbara. Da piccoletta, allo scoppio dei lampi e dei tuoni si nascondeva impaurita (se possibile, correva sotto il mantello di suo padre); e ancora adesso, da vecchia, trepidava a toccare i fili e perfino a girare una lampadina nellâattacco di corrente. Alla lunga parola minacciante, mai sentita prima, i suoi occhi sâingrandirono, levandosi peritosi sulla laureata, quasi che costei le avesse nominato la sedia elettrica. Ma, intimidita dai modi perentorii della Signorina, non osĂČ dichiararle la propria ignoranza.
Subito dopo, i fatti sopravvenuti di Ninnuzzu la alienarono da ogni altra cura; e in séguito, la progettata visita allo specialista si ritrasse dal campo della sua mente. In realtà , essa paventava la diagnosi di questo Professore sconosciuto come una sentenza di condanna senza appello.
Il deflusso illusorio della malattia di Useppe la incoraggiĂČ in tale inerzia difensiva. Difatti, la sopraffazione innominata che usurpava le forze del pischelletto fino dallâautunno, sembrĂČ trarsi in disparte, quasi esaurita, dopo averlo atterrato una volta: accompagnandolo appena di soppiatto, e a momenti facendosi dimenticare, come avesse deciso che bastava. Quando, alla sera, venuta lâora di coricarsi, Ida gli porgeva da bere il solito calmante, lui protendeva ghiotto le labbra come un lattante verso la mammella; e presto cadeva in un sonno greve e indisturbato, al quale si abbandonava supino, i pugni stretti e le braccia aperte sul guanciale, immobile per dieci ore e piĂș. Guarito della piccola morsicatura sulla lingua, non serbava piĂș nessuna traccia visibile dellâinsulto del 16 novembre. Solo, chi lo aveva conosciuto prima, poteva forse notare nei suoi occhi (giĂ troppo belli a detta della Dottoressa) una nuova diversitĂ favolosa, quale forse restava nellâocchio dei primi marinai, dopo la traversata di mari incommensurabili ancora senza nome sulle carte. Useppe, a differenza di costoro, non sapeva niente, nĂ© prima nĂ© dopo, del proprio viaggio. Ma forse, a sua stessa insaputa, gliene rimaneva nella rĂština una immagine capovolta, come si racconta di certi uccellini migranti, i quali di giorno, insieme alla luce solare, vedrebbero tuttora, nella loro ignoranza, anche lo stellato nascosto.
A Ida, simile testimonianza degli occhi di Useppe si manifestava soltanto nel colore. La loro mescolanza di turchino scuro e azzurro chiaro sâera fatta, se possibile, ancora piĂș innocente, e quasi inesplorabile nella sua doppia profonditĂ . Un giorno, entrata in cucina allâimprovviso, essa lo trovĂČ lĂ zitto sullo scalino del fornello, e i loro due sguardi sâincontrarono. Allora, essa vide, allâincontro, negli occhi di Useppe una sorta di cognizione impossibile, puerile, e indicibilmente straziata, che le diceva: «Tu lo sai!» e nientâaltro, di lĂ da ogni scambio di domande e risposte logiche.
Al mese di febbraio, Lena-Lena fu messa a lavorare da una riammagliatrice di calze, per cui dovette rinunciare alle sue visite e scappate in Via Bodoni. Ma per guardare Useppe, oramai, câera Bella, la quale bastava.
Era finito, per Bella, il tempo delle bistecche quotidiane, e dei bagni allâistituto di bellezza, e di tutte le altre distinte comoditĂ giĂ da lei godute allâepoca di Ninnarieddu: il quale usava perfino di spazzolarla e pettinarla, e anche massaggiarla con le proprie mani, di lavarle gli occhi e le orecchie delicatamente con bambagia umida, eccetera. Adesso, per mangiare essa doveva contentarsi, in genere, di pasta e di legumi, con le sole aggiunte di qualche bocconcino extra che Useppe si toglieva per lei dal piatto (senza troppo farsi vedere da Ida). E in quanto alla sua toletta, questa consisteva esclusivamente in una specie di bagni secchi che lei faceva durante le passeggiate secondo un metodo suo proprio, e cioĂš: rotolandosi dentro al polverone, e poi dandosi delle scrollate spaventose, imitanti una nuvola ciclonica. PerĂČ essa preferiva, invero, questo metodo suo personale a quegli altri bagni di lusso, coi saponi di Marsiglia e lâacqua calda, che le erano stati sempre antipatici.
Smaniava invece, e non poco, per doversi adattare dentro il minimo spazio di una o due stanzette, lei che era stata avvezza ai viaggi, alle gite e alla vita di strada, e prima ancora (nella sua esperienza atavica) ai pascoli immensi dellâAsia! Nel corso di quellâinverno carcerario in Via Bodoni, certe giornate addirittura doveva arrangiarsi a fare i propri bisogni su cartacce e pezzi di giornale. Tuttavia, si rassegnava a qualsiasi sacrificio, pur di restare vicino a Useppe notte e giorno.
Anche nel suo nuovo regime di minestre, con la buona volontĂ essa prestissimo aveva ripreso le sue forme robuste, e la sua muscolatura sana. Il suo candido manto, adesso, appariva piuttosto nericcio, arruffato e pieno di nodi. E sebbene portasse, tuttora, il suo collare argentato con sopra scritto: Bella, da certi ragazzini del vicinato veniva nominata Pelozozzo. La si vedeva spesso indaffarata a grattarsi le pulci, e puzzava assai di cane. Anzi, questa sua puzza sâera attaccata pure a Useppe; tanto che a volte diversi cani gli giravano intorno annusandolo, forse nellâincertezza che lui pure fosse una specie di cucciolo canino.
Costoro (i cani) erano si puĂČ dire i soli frequentatori di Useppe. Amici o compagni della sua specie, lui non ne aveva piĂș nessuno. Col primo ritorno della buona stagione, Bella e Useppe stavano in giro gran parte della giornata; e da principio, nelle sue ore libere, Ida si era sforzata di accompagnarli. PerĂČ si era subito accorta dellâimpossibilitĂ , con le sue gambine secche e indebolite, di tener dietro a quei due. Al primo minuto di strada, giĂ li aveva persi di vista, trovandosi con uno svantaggio di almeno mezzo chilometro. Non appena sbucati dal portone allâaria aperta, sĂșbito se li vedeva partire in corsa, scorribandando, zompando e scapriolando verso lâignoto; e ai suoi richiami vociferanti, da lontano Bella in risposta premurosamente le abbaiava: «Tutto bene. Non tâaffannare e tĂČrnatene a casa. A Useppe ci penso io! Sono brava a tenere delle greggi di cento, duecento, trecento quadrupedi! E non mi credi capace di badare a un omettino?»
Per forza, Ida finĂ con lâaffidare del tutto Useppe a Bella. Essa sentiva con certezza che la propria fiducia non era sbagliata: e del resto, che altro avrebbe potuto fare? Le uscite con Bella erano il solo svago del ragazzino. Anche il grammofono, dopo lo scempio famoso del disco swing, era stato messo per sempre da parte a consumarsi nella polvere. Oramai, nel chiuso delle stanzucce, anche Useppe, a somiglianza di Bella, si straniava inquieto come unâanima in pena, tanto che nemmeno alla mattina Ida non osava piĂș di incarcerarlo dentro casa come soleva giĂ nellâinverno. Per solito, dopo la telefonata quotidiana della madre, i due pronti sortivano: tanto che Bella aveva presto imparato a riconoscere lo squillo dellâapparecchio come un pre-segnale di libera uscita: e allâudirlo si dava a fare dei balzi immensi, accompagnati da evviva fragorosi e da piccoli starnuti di soddisfazione.
PerĂČ, puntualmente (quasi tenesse un orologio di precisione dentro il suo testone dâorsa) essa alle ore dei pasti riconduceva Useppe a casa.
Sui primi tempi, i due non si allontanavano troppo da Via Bodoni. Le loro colonne dâErcole erano da una parte il Lungotevere, poi le pendici dellâAventino, e piĂș in lĂ Porta San Paolo (nĂ© va taciuto qui che, in ogni caso, Bella scansava i passi di Useppe dal sinistro edificio del Mattatoio, sito lĂ sui nostri paraggi...) Forse, ancora oggi qualche abitante del quartiere Testaccio ricorda di aver visto passare quella coppia: un cane grosso e un ragazzino piccolo, sempre soli e inseparabili. In certi punti dâimportanza speciale, per esempio a Piazza dellâEmporio quando ci sâera impiantata una giostra, oppure a Monte Testaccio dove a volte sâaccampava una famiglia di zingari, i due si arrestavano, in un doppio palpito irresistibile, per cui si vedeva il ragazzino dondolarsi sulle gambette e il cane agitare febbrilmente la coda. Ma bastava che, dallâaltra parte, qualcuno mostrasse dâaccorgersi di loro, perchĂ© il bambino si ritraesse in fretta, seguĂto docilmente dal cane. La primavera giĂ riversava allâaperto una folla di rumori, voci, movimenti. Dalle strade e dalle finestre si chiamavano nomi: «Ettoree! Marisa! UmbĂš!...» e talora anche: «Nino!...» A questo nome, Useppe accorreva trasfigurato e con gli occhi tremanti, staccandosi da Bella di qualche passo verso una direzione imprecisa. E Bella a sua volta alzava un poco le orecchie, quasi a condividere almeno per un attimo quellâallarme favoloso, per quanto sapesse, invero, la sua assurditĂ . Difatti essa rinunciava a seguire il bambino, accompagnandolo, ferma in attesa, dal proprio posto, con uno sguardo di perdono e dâesperienza superiore. Poi, come Useppe, quasi immediatamente, ritornava indietro svergognato, lo accoglieva con questo medesimo sguardo. Non erano pochi i Nini e Ninetti viventi nel quartiere; e anche Useppe, in veritĂ , non lo ignorava.
Il bel clima primaverile, assai precoce quellâanno, per tre giorni fu guastato dallo scirocco, che portĂČ ammassi di nubi e acquate polverose, in unâaria sporca e calda che sapeva di deserto. Uno di quei giorni, Useppe ebbe una seconda caduta. La famiglia aveva appena terminato il pasto, e lui, che aveva mangiato poco e di malavoglia, era rimasto in cucina in compagnia di Bella, mentre Ida andava a stendersi sul letto. Di lĂ a poco Bella incominciĂČ a manifestare un umore agitato e incoerente, come cĂ pita a certi animali quando preavvertono un sisma o altro sovvertimento terrestre. Essa correva incessantemente dalla cucina alla stanza da letto, tanto che Ida, snervata, la cacciĂČ via strillando. Erano le tre del dopopranzo. Dal cortile salivano pochi rumori (una radio e qualche voce dalla parte del deposito biciclette) poi si udĂ un tuono senza pioggia dal cielo gonfio e sporco, e dalla strada il fischio di una sirena di passaggio. Ma, appena spenti questi suoni, dalla cucina pervenne a Ida un piccolo dialogo sommesso, dove Useppe pareva canterellare delle frasi spezzate, con una vocetta spaurita e balbuziente, e Bella emetteva dei guaiti teneri, fra la sollecitudine e il pĂ nico. Succedeva spesso che i due chiacchierassero insieme, perĂČ oggi allâudirli Ida fu scossa da un allarme indefinito, che la fece accorrere...