Karl Marx nacque il 5 maggio 1818 a Treviri, un piccolo centro della Renania vicino al confine francese che allâepoca contava allâincirca dodicimila abitanti1. Fino a poco tempo addietro Treviri, perlopiĂș cattolica e liberale, era stata in mano ai francesi: unâoccupazione piuttosto pacifica durata una ventina dâanni, dopodichĂ© era stata annessa al Regno di Prussia. In cittĂ erano in tanti a simpatizzare per gli ideali rivoluzionari. Tra questi anche il futuro suocero di Marx, Ludwig von Westphalen. Tanti, negli anni trenta, si sarebbero avvicinati al socialismo sansimoniano. Il padre di Marx discendeva da unâantica stirpe di rabbini. Quando i prussiani obbligarono gli ebrei ad abbandonare le loro professioni Hirschel ha-Levi Marx prese il nome di Heinrich Marx, si convertĂ al protestantesimo e cominciĂČ a esercitare la professione legale. Aveva anche lui simpatie liberali, era per lâallargamento del suffragio e contribuiva al programma locale di lotta alla povertĂ . Sua moglie Henrietta, invece, proveniva da una famiglia di rabbini olandesi.
Il giovane Karl trascorse gran parte degli anni di scuola in compagnia dei classici, da Omero a Ovidio. Come studente, perĂČ, non si distinse particolarmente. Il direttore della sua scuola era un repubblicano, fervido ammiratore di Rousseau e Kant. Secondo lui la Rivoluzione del 1789 aveva contribuito a rinsaldare i principĂź illuministi della libertĂ e dellâuguaglianza. Il giovane Marx assimilĂČ queste idee e in uno dei suoi primi scritti, nel 1835, sostenne che la scelta della professione doveva ispirarsi al «bene dellâumanità » e alla «nostra propria perfezione», perchĂ© lâuomo piĂș felice Ăš «colui che ha reso felice il maggior numero di uomini»2. A diciassette anni era giĂ mosso dal desiderio di definire «la natura dellâuomo», nella quale vedeva una «scintilla della divinitĂ , un entusiasmo per il bene, un tendere verso la conoscenza, un desiderio di verità »3 â forse la migliore definizione che egli dette mai di se stesso. Trentacinque anni dopo, discutendo la questione irlandese in una lettera alla figlia Laura e al genero Paul Lafargue, avrebbe scritto che auspicava sĂ un inasprimento della lotta di classe ma che in parte era mosso pure da «sentimenti umanitari»4. Difatti lâumanitĂ sarebbe sempre stata il filo conduttore della sua vita. «Chi ha la fortuna di potersi dedicare a studi scientifici deve anche essere il primo a mettere le sue cognizioni al servizio dellâumanitĂ . âLavorare per il mondoâ era uno dei suoi detti preferiti», ricordĂČ una volta Lafargue5. Non sarebbe poi cosĂ fuorviante parlare di un «umanitarismo cosmopolita» marxiano, pur sapendo che Marx si tenne sempre a debita distanza dal romanticismo e dal sentimentalismo impliciti in formulazioni di tal genere.
Nellâottobre del 1835 lasciĂČ Treviri per andare a Bonn, dove si iscrisse alla facoltĂ di diritto. Tutto faceva pensare che avrebbe intrapreso la carriera accademica. E invece fece la classica vita dello studente ribelle: tra una bevuta e una rissa passĂČ persino una notte in guardina. Nellâottobre del 1836 si trasferĂ a Berlino, dove abbandonĂČ gli studi di diritto per dedicarsi alla filosofia. Poi si stancĂČ di Berlino, si iscrisse a Jena e nel 1841 presentĂČ una dissertazione intitolata Differenza tra la filosofia della natura di Democrito e quella di Epicuro, con la quale ottenne il dottorato in filosofia. In questo scritto considerava Epicuro come un precursore del materialismo illuminista francese ma anche dellâautocoscienza hegeliana, che nella prefazione alla dissertazione definà «divinitĂ suprema»6.
Hegel e i giovani hegeliani.
Il giovane Marx pensava che bisognava scardinare la realtĂ per avere finalmente accesso alla sua piĂș intima essenza. Per questo si attribuĂ un ruolo dâavanguardia nello sviluppo della storia della filosofia moderna. Era convinto di poter riuscire a risolvere i radicali paradossi che erano scaturiti dallo scontro fra lâIlluminismo e quella che avrebbe ben presto definito la «societĂ borghese»7. Per lui tutto cominciĂČ da un confronto serrato con il piĂș grande filosofo tedesco dellâepoca, Georg Wilhelm Friedrich Hegel (1770-1831).
Per abbordare Hegel, e da lui risalire poi a Marx, Ăš bene conoscere anche solo a grandi linee i quattro ambiti generali della sua riflessione: la metafisica, la filosofia della storia, la teoria politica e il metodo, ossia la celebre «dialettica». Come per Platone il punto di partenza della filosofia hegeliana era un idealismo puro. Per lui solo il mondo dello Spirito (Geist), la ragione autocosciente, era reale: «una âcosaâ non si dĂ , Ăš solo un pensiero»8. Hegel definĂ la natura umana e la storia a partire dal desiderio di libertĂ del genere umano. Per lui questo desiderio funzionava come un processo in cui lo Spirito prende progressivamente coscienza della sua libera natura. Come mostrato nella Fenomenologia dello spirito (1807), lâumanitĂ progredisce da una forma ingenua di empirismo â una fase in cui conosciamo solo ciĂČ che si presenta ai nostri sensi â verso il suo fine logico, lo stadio finale della conoscenza dellâAssoluto, o di Dio, o ancora della stessa natura dello Spirito. Il progresso dello Spirito verso lâautocoscienza Ăš «dialettico» nella misura in cui ogni stadio si evolve costantemente in quello successivo attraverso una serie di contraddizioni. Ogni fase nega la precedente ma conserva qualcosa di essa: un processo che Hegel chiamava «Aufhebung» o «superamento». A ogni stadio lâautocoscienza «aliena» se stessa nella natura, sviluppandosi nella storia ed emergendo nuovamente nellâautocoscienza dellâumanitĂ , seguendo una progressione che procede dal basso verso lâalto.
Oggi pochi lettori riescono ad afferrare il senso di questi concetti se sono presentati in termini troppo astratti. Proviamo a intendere lo Spirito hegeliano come una metafora del progressivo sviluppo dellâumanitĂ , uno sviluppo in cui il suo desiderio di libertĂ si evolve concretamente attraverso le istituzioni e le relazioni sociali reali: in tal modo, forse, la sua teoria comincia a risultare piĂș comprensibile. Secondo Charles Taylor, Hegel voleva riuscire a definire «una vita intera, integrata», una vita in cui lâuomo fosse «tuttâuno con se stesso e gli uomini lâuno con lâaltro nella società »9. Unâambizione non da poco! Per Hegel ciĂČ significava in primo luogo riunire le nostre anime alienate in Dio, nellâAssoluto, riconoscere che il mondo Ăš una nostra creazione e superare lâ«alienazione» (Entfremdung), ossia il fatto di non riuscire ad approdare a tale riconoscimento. In secondo luogo significava acquisire la «coscienza di appartenere a una comunità »10. In tal senso il suo modello era quello dellâAtene periclea, la cui «armonia spontanea», secondo certi interpreti, fu la vera «utopia» del suo pensiero11.
Allâepoca grande successo ebbe, in particolare, la filosofia hegeliana della storia, che analizzava il progredire dello Spirito e dellâautocoscienza attraverso una serie di stadi storici successivi. Con Hegel la storia sembrava finalmente avere un «senso». «CiĂČ che distingueva il modo di pensare di Hegel da quello di tutti gli altri filosofi era lâeccezionale senso storico che stava alla base del suo pensiero», disse una volta Friedrich Engels (1820-1895), che accompagnĂČ Marx nella sua avventura intellettuale. Egli, insomma, «fu il primo che cercĂČ di dimostrare lâesistenza nella storia di uno sviluppo, di una coesione interiore»12. Prendendo le mosse dal dispotismo persiano, un regime in cui solo il monarca era libero, lâumanitĂ era passata secondo Hegel alla fase della polis greca, in cui per la prima volta era apparsa una certa coscienza della libertĂ , seppur per pochi; in seguito era approdata prima a Roma, dove la schiavitĂș mostrava che la libertĂ non era ancora universale, e poi al cristianesimo, che aveva riconosciuto lâumanitĂ come comunitĂ di esseri spirituali; quindi ancora al mondo germanico. In questâultima fase la Riforma aveva fatto emergere un «soggetto» che finalmente «si sa libero»13. Ma come potevano i moderni emulare lâarmonia degli antichi? Quella della Grecia classica era una virtĂș civica, dunque non privata, e ormai non si poteva piĂș tornare indietro: lâindividualismo aveva avuto definitivamente la meglio sul repubblicanesimo di un tempo. Il giovane Hegel era rimasto profondamente colpito dalla Rivoluzione francese, e quando Napoleone entrĂČ a Jena, nellâottobre del 1806, disse di aver visto lâ«anima del mondo» a cavallo. Secondo certi interpreti la visione hegeliana della ragione Ăš una sorta di analogo del Culto della Ragione della Rivoluzione francese14. Negli anni della maturitĂ , perĂČ, egli avrebbe pensato che era piuttosto la moderna Prussia a incarnare il nuovo stadio del progresso dello Spirito.
Questo suo modello, tuttavia, pur essendo solidamente costruito, presentava un grosso problema: come spiegare la profonda mancanza di armonia che caratterizzava lâera del commercio e dellâindustria? Hegel fu il primo filosofo tedesco a confrontarsi con la societĂ commerciale. Secondo lui la societĂ civile riconosceva contemporaneamente lâindividualismo e i rapporti dâinterdipendenza tra individui, rapporti alimentati in maniera sempre piĂș serrata dal «sistema dei bisogni e dei desideri». Qualcosa, perĂČ, rischiava di vanificare ogni sogno di abolizione della servitĂș e di conquista della libertĂ . Ă proprio da questo punto che Marx avrebbe preso le mosse per costruire il suo sistema di pensiero.
Intorno al 1793 Hegel cominciĂČ a interessarsi allâeconomia politica e in particolare al pensiero degli scozzesi del XVIII secolo: James Steuart, Adam Ferguson e Adam Smith15. Questi autori avevano studiato il progresso dellâumanitĂ , che per loro si era mossa da unâiniziale condizione di «rozzezza» o «semplicità » per giungere alla «raffinatezza» moderna. Fenomeni come il nascente mercato internazionale, lâintroduzione delle macchine nel processo lavorativo, la sempre piĂș specializzata divisione del lavoro e la concentrazione della produzione nelle officine, di cui gli scozzesi furono i primi testimoni, ben si adattavano alla crescente domanda di materie prime e piĂș in generale a una proliferazione virtualmente illimitata dei bisogni umani. Molto meno scontato era invece che i lavoratori riuscissero davvero a trarre beneficio da tali progressi. Ad Adam Smith, in particolare, Ăš tradizionalmente attribuita lâidea secondo cui le moderne societĂ industriali sarebbero caratterizzate da una sempre maggiore libertĂ , una libertĂ ...