Roberto allunga il braccio e rotea su sĂ© stesso cercando lâinquadratura giusta. La luce va bene, non Ăš ancora cosĂ buio e il lampione del posteggio di piazza Re Enzo sembra messo lĂ apposta per dare profonditĂ . Infila la mano dentro il finestrino aperto e alza un poâ il volume dello stereo, quel tanto che basta perchĂ© il suo electro-swing allegro possa fare da sottofondo senza impastarsi con la sua voce. Sa come funziona, ne ha fatti tanti di video cosĂ, nelle pause tra una corsa e lâaltra dice la sua, racconta quello che gli Ăš successo, fa il cretino, come dice lui, e poi li mette su twitter.
CosĂ fa qualche passo avanti per prendere il piĂș possibile i numeri del centro antiviolenza della Casa delle Donne che ha fatto stampare sul cofano del taxi, aggiusta la testa rotonda dentro lâinquadratura e comincia. Gli occhi sgranati nella telecamera del cellulare, i riflessi rossicci del lampione sul cranio nudo, la bocca che si allarga dentro la barbetta corta quando gli si aprono le parole, alla bolognese. Ironico ma non sempre, naturalmente istrionico, glielâhanno detto tante volte che dovrebbe fare lâattore.
â SarĂ una brutta notte questa perchĂ© dovrĂČ lavorare fino a domani mattina con il Pos rotto⊠â sottolineato, â non va, â mostra la macchinetta e la fa girare davanti al volto, â avevo il Pos vecchio modello fino allâaltro giorno, poi la banca e la cooperativa mi convocano, il vecchio non viene piĂș aggiornato, ti dobbiamo dare quello nuovo⊠beeene, â con le e strette, â cazzo, ci moderniziamo, â con una z sola, alla bolognese, â mi daranno un modello super! â Di nuovo il Pos accanto al volto. â Questo Ăš un gran cĂ©sso, â stretto. â Ă UN GRAN ZAVAGLIO! â urlato, poi tombale: â Non va. Durato due giorni, e poi stasera, dopo la prima transazione eseguita Ăš cioccato, non va piĂș! Ă sparito, Ăš morto! â Col pianto nella voce che tira in giĂș anche lâangolo degli occhi. â Ă un gran zavaglio, volevo quello vecchio che mi funzionava, adesso devo lavorare tutta la notte e non posso accettare le carte, e quindi⊠â basta piagnucolare, sguardo spietato, â quindi faccio anche la figura di merda di quello che trova la scusa e dice, â cantilenando, â no, châo il Pos rotto⊠â durissimo, adesso, â Ă ROTTO VERAMENTE, Ă UN CESSO, VOGLIO IL MIO POS VECCHIO! â Silenzio, sguardo obliquo. Funereo. â SarĂ una bella notte, questa.
CâĂš un cliente. Roberto lo vede allâangolo dellâinquadratura che si dirige verso il posteggio, dove câĂš soltanto il suo taxi, e interrompe la registrazione. Ă ancora sotto i portici del Modernissimo, ha il tempo di postarla su twitter e rimettersi la mascherina prima di sedersi al posto di guida. Glielo dice subito, mi scusi, sa, ho il Pos rotto, ma lui non sembra ascoltarlo, e mentre si sistema dietro il sedile del passeggero mormora un indirizzo che Roberto deve farsi ripetere.
Ma dovâĂš, qui a Bologna? Ah, Imola? No, no, va bene, non câĂš problema.
Imposta il tassametro e parte. Gira a destra, verso le due Torri e lancia unâocchiata nello specchietto retrovisore, allâuomo che siede dietro. Lâha visto poco perchĂ© indossa una Ffp2 nera che gli sagoma metĂ della faccia, e lui invece i clienti li guarda, e ci parla, e anche molto, quando Ăš il caso, perchĂ© ce ne sono alcuni che rompono veramente i maroni, in questo periodo poi di no vax, no mask, no questo e no quello, ma ce ne sono tanti di interessanti e strani, soprattutto di notte, e lui fa quasi sempre il turno di notte.
Questo Ú strano, infatti, anche se non saprebbe dire perché. Cosà lo riguarda nello specchietto e visto che non ha la luce del cellulare riflessa sul volto, e non sembra assorto in niente, si prepara a fargli una domanda qualunque, pronto a mollarla là se gli risponde con un monosillabo, perché neanche lui vuole essere uno che rompe i maroni.
Ma non ci riesce.
Lâuomo si slaccia la mascherina, come per respirare, e volta la testa di lato. Poi la rimette e torna a guardare il vuoto.
Roberto deglutisce e se ne sta zitto per tutto il viaggio, gli occhi fissi sulla strada davanti a sé.
Quando torna al posteggio, a Bologna, Roberto spegne il motore e aspetta, senza voltarsi. Guarda nello specchietto retrovisore lâuomo che sta contando i soldi, precisi al centesimo. Si era fatto scaricare in una stradina dalle parti della Rocca di Imola, gli aveva chiesto di attenderlo e poi era sparito dietro un angolo. Per la prima volta Roberto aveva sperato che fosse una fregatura, che lâuomo non si facesse piĂș vivo, e per un momento aveva anche pensato di ripartire lasciandolo lĂ, ma poi era arrivato e si era fatto riportare a Bologna.
Appena resta solo, tira giĂș il finestrino, ci pensa un poâ e prende il cellulare. Non regola lâinquadratura, gli basta vedersi nel display. Ci pensa ancora un poâ, poi schiaccia il pallino rosso della registrazione e comincia.
â Ho visto il Diavolo.
Gli sembra esagerato anche a dirlo cosĂ, a voce bassa, come se stesse riflettendo tra sĂ©, che Ăš quello che effettivamente sta facendo. Vorrebbe correggere il tono, ma piĂș che ironico gli esce sorpreso, preoccupato.
â CioĂš, carico questo tipo, alto, magro, pallido, stempiato, in giacca e cravatta, pure col gilĂš, fa ancora caldo, guarda qua, io sono in maglietta⊠ma non Ăš per quello. Câha su questa mascherina nera un poâ schiacciata sul naso che gli fa⊠â muove la mano ad artiglio sul mento, come per allungarsi la faccia, â ma non Ăš neanche quello, con le Ffp2 sembrano tutti Hannibal Lecter, non Ăš per quello, no.
Scuote la testa e si passa una mano sulla pelata, poi si gratta la barbetta. Guarda in alto, fuori dallâinquadratura.
â Ă che a un certo punto ha girato la testa da una parte, e sarĂ stato un lampione, sarĂ stato il faro di unâaltra macchina, ma gli occhi gli sono diventati bianchi. CioĂš, bianchi⊠come faccio a descriverlo, Ăš stato un attimo⊠tipo gli squali quando mordono nei documentari. Occhi da matto. Occhi da assassino.
Esagera? Se lo chiede ancora, ma ormai Ú lanciato, non riesce a farci il cretino neanche se lo vuole, e poi parla a sé stesso, e infatti ecco un ricordo.
Il concerto di Elton John a Mosca, primi anni Ottanta. Lâha incontrato qualche giorno fa su YouTube, per caso, e gli Ăš rimasto impresso perchĂ© lo aveva visto da bambino, in uno speciale alla televisione.
Il tipo alle percussioni. Ray Cooper.
â Uguale. Gli mancavano solo gli occhialini, anche il gilĂš, châaveva. SĂČccia, Dio bono⊠câĂš un pezzo che compare allâimprovviso sul palco, si accende il faro, tra il fumo, lui rulla con le mazze sui tamburi, poi si blocca, si volta da una parte con quegli occhi e sorride. CosĂ, proprio⊠sĂČccia, Dio bono. PerchĂ© ne ho visti tanti di strani, e mica solo nel turno di notte, gente assurda, spacciatori, quelli che fan certi discorsi, dei matti, vĂš, avrĂČ caricato anche degli assassini, chissĂ , ma lui lĂâŠ
Scuote la testa e si guarda negli occhi. Parla a sĂ© stesso, non avrebbe neanche bisogno di dirle, le parole, ma lui Ăš cosĂ, un poâ istrione, e le cose deve metterle giĂș in modo che si vedano. Anche se sussurra cosĂ piano che quasi la videocamera non lo registra.
â Questa sera ho visto il Diavolo.
Tocca di nuovo il pallino rosso e ferma la registrazione. Adesso che lâha ripreso gli sembra tutto un poâ esagerato. Forse la stanchezza, forse la fame, forse la suggestione di un vecchio ricordo. Ray Cooper⊠non aveva neanche gli occhiali, solo il gilĂš. Alla fine, vuoi vedere che quello piĂș strano di tutti, come al solito, Ăš proprio lui?
Roberto si stringe nelle spalle. Scuote la testa. Picchietta col pollice sullo schermo del cellulare e cancella il video.
A Monteombraro faceva giĂ freddo. Grazia aveva cercato di accendere la caldaia ma non câera riuscita, e allora aveva seppellito le gemelline sotto le coperte che le fasciavano strette fin sopra le orecchie, finchĂ© lâErsilia, la poliziotta cicciottella al comando della scorta che le avevano assegnato, e che di figli ne aveva tirati su tre, non le aveva detto che i bimbi si muovono nel sonno e scalciano via tutto, bisogna vestirli bene, non coprirli troppo, e comunque, non faceva mica poi tanto freddo.
CosĂ adesso dormivano al centro del lettone, un lato spinto contro il muro e due sedie dallâaltra parte a fare da sponda con gli schienali, infagottate nelle tutine dellâospedale perchĂ© non avevano fatto in tempo a passare da casa per correre a quella villetta sullâAppennino. Grazia le aveva osservate a lungo prima di decidersi a lasciarle, poi aveva lo stesso tirato su le coperte, rimboccate attorno ai cuscini che aveva sistemato dietro le loro schiene in modo che restassero stese sul fianco, una di fronte allâaltra.
La villetta non era male. Isolata in mezzo a un bosco, con una sola strada dâaccesso, sterrata e chiusa da una sbarra, aveva una specie di studio al piano di sopra, con una bella vetrata che si affacciava sulla valle. Grazia, perĂČ, aveva insistito che la riunione si tenesse in cucina, perchĂ© stava proprio di fianco alla stanza in cui dormivano le bimbe, giusto al di lĂ della porta socchiusa. Ma se ne pentĂ presto.
Il vicequestore Carlisi, che era stato il suo capo alla Mobile di Bologna finchĂ© non era andata in aspettativa, parlava forte, voleva fumare e al massimo aveva accettato di starsene seduto sul davanzale della finestra, da dove parlava ancora piĂș forte.
Seduti al tavolo di formica bianca, ad aspettare un caffĂš che lâErsilia stava preparando con la moka, câerano due sconosciuti.
Uno era un ometto calvo che non riusciva a stare fermo sulla sedia, le guance arrossate come se avesse la febbre. Era lo psichiatra che dirigeva il servizio che aveva in carico lâIguana, Persichetti, e doveva essere stato il modo con cui Carlisi aveva caricato sul titolo, dottor Persichetti, con la r allungata, troppo, ad accendergli il volto.
Lâaltra era una donna, una rossa dai capelli cortissimi che il vicequestore non aveva fatto in tempo a presentare perchĂ© si era messo subito a litigare con il dottore.
â Alessio Crotti ha ammazzato un numero imprecisato di persone, non siamo mai riusciti a stabilirlo ma sono tante, minimo otto. E no ammazzate e basta, massacrate, con una violenza che non si puĂČ neanche immaginareâŠ
â Lo so, dottore⊠â anche Persichetti aveva calcato sul titolo, allungando le t.
â Una belva che cambiava identitĂ a ogni omicidio e proprio per questo lo chiamavano lâIguana, perchĂ© cambiava pelleâŠ
â Lo so, dottore, lo so benissimo, maâŠ
â E voi dimettete dallâOpg un soggetto come quello per assegnarlo a una casa famiglia? Alessio Crotti? LâIguana, porca puttana, lâIguana!
Grazia guardĂČ la porta socchiusa. Stava per fare cenno di abbassare la voce ma Persichetti parlava con un sibilo sottile, perchĂ© la rabbia gli chiudeva la gola.
â Sono quasi dieci anni che il paziente era stabile e sotto controllo. Ha sempre assunto i farmaci prescritti e non ha mai, ripeto mai, dato adito a nessun tipo di valutazione negativaâŠ
â Minchia, dottore⊠un paziente modello.
â SĂ, dottore! E infatti lâabbiamo considerato idoneo a essere trasferito dallâospedale psichiatrico giudiziario a una struttura piĂș consona ai suoi progressiâŠ
â Assieme ad altri due mattucchiniâŠ
â Assieme a una coppia di degenti autosufficienti! â Le guance di Persichetti erano in fiamme. â E poi, Cristo, il vostro Iguana Ăš cieco, Cristo dâun Cristo, cieco! E ancheâŠ
Persichetti alzĂČ un indice e lo fece roteare a mezzâaria per significare che era anche piccolo e magro, il loro Iguana. Stava per aggiungere qualcosâaltro ma serrĂČ le labbra perchĂ© Carlisi sorrideva, cattiv...