VI. La transizione del potere. La questione del declino americano
Indipendentemente da come viene misurato, Ăš raro che il potere sia distribuito in maniera uniforme tra gli Stati. PiĂč spesso, a causa di processi di crescita disomogenei, alcuni Stati sono in ascesa mentre altri sono in declino. Se uno Stato dispone di risorse superiori si parla generalmente di «egemonia», e fin dai tempi dellâantica Grecia gli storici spiegano le origini delle principali guerre in termini di transizione egemonica. Tucidide attribuĂŹ le cause della guerra del Peloponneso (che distrusse il sistema delle cittĂ -Stato greche nel V secolo a.C.) allâascesa del potere di Atene e al timore che suscitĂČ in Sparta. Analogamente, secondo molti storici, la causa della prima guerra mondiale, che pose fine alla centralitĂ dellâEuropa nel mondo, fu lâascesa del potere della Germania e le apprensioni che suscitĂČ nella Gran Bretagna. Come ha scritto un politologo: «[Le guerre per lâegemonia] sono state spesso scatenate dalla paura del declino definitivo e dalla percezione di una erosione del potere»1.
Alcuni prevedono che lâascesa della Cina avrĂ effetti simili sugli Stati Uniti nel XXI secolo. Secondo un sinologo, «presto o tardi, se le attuali tendenze persisteranno, potrebbe scoppiare una guerra in Asia [...]. Oggi la Cina sta tentando di allontanare gli Stati Uniti dallâAsia orientale con lâarma della paura, proprio come la Germania cercĂČ di spaventare la Gran Bretagna prima della prima guerra mondiale». Analogamente, come afferma il commentatore politico Robert Kagan: «I leader cinesi hanno una visione del mondo molto simile a quella che aveva il Kaiser Guglielmo II un secolo fa [...]. Le autoritĂ cinesi tollerano malvolentieri ogni forma di restrizione e ritengono di dover cambiare le regole del sistema internazionale prima che il sistema internazionale cambi loro»2. John Mearsheimer, politologo della University of Chicago, afferma: «Per dirla schietta, lâascesa della Cina non potrĂ avvenire in modo pacifico»3. Due analisti piĂč prudenti sostengono: «Non Ăš affatto detto che la Cina costituirĂ una minaccia per gli interessi statunitensi, ma se câĂš una grande potenza con cui gli Stati Uniti potrebbero scendere in guerra, quella Ăš proprio la Cina»4.
Transizioni egemoniche
Ma una guerra tra uno Stato con risorse dominanti e una potenza in ascesa non Ăš affatto inevitabile. Negli anni Novanta dellâOttocento la Gran Bretagna riuscĂŹ ad adattarsi allâascesa del potere americano nonostante le opportunitĂ di conflitto bellico5, e le nove «guerre mondiali» o generali combattute a partire dal 1500 non furono tutte guerre egemoniche6. Peraltro, il termine «egemonia» viene usato in modi diversi e spesso confusi. Vi sono opinioni discordanti in merito al grado di disuguaglianza e al tipo di risorse che danno luogo a una situazione di egemonia. Alcuni usano il termine come sinonimo di «imperialismo» e ritengono che nellâOttocento la Gran Bretagna fosse uno Stato egemone, malgrado lâImpero britannico, persino allâapice del suo potere nel 1870, si collocasse al terzo posto (dietro gli Stati Uniti e la Russia) per Pil e al terzo posto (dietro la Russia e la Francia) per spese militari.
Dopo la seconda guerra mondiale molti pensavano che gli Stati Uniti vantassero unâegemonia globale, in quanto rappresentavano circa un terzo del prodotto mondiale e possedevano un arsenale nucleare senza rivali; ma nonostante questo, gli Usa non riuscirono a impedire la «perdita» della Cina, a fermare lâespansione del comunismo in Europa orientale, a scongiurare la situazione di stallo nella guerra di Corea, a evitare la «perdita» del Vietnam del Nord o a scalzare il regime di Castro a Cuba. Anche nellâera della presunta egemonia americana, solo un quinto dei tentativi fatti dagli Stati Uniti di imporre un cambiamento ad altri paesi con minacce militari ha avuto successo; analogamente, solo nella metĂ dei casi gli Usa sono riusciti a conseguire gli obiettivi che si prefiggevano con le sanzioni economiche7. Come abbiamo visto nel primo capitolo, il potere misurato in risorse non si traduce necessariamente nel potere inteso come capacitĂ di ottenere i risultati desiderati. Occorre sempre specificare il contesto, la portata e il campo del potere, e câĂš sempre il rischio che la patina dorata del passato possa deformare lâanalisi storica. Le definizioni vaghe e le letture arbitrarie della storia dovrebbero indurci a diffidare delle teorie generali sullâegemonia e il declino.
Molti ritengono che lâattuale primato degli Stati Uniti in fatto di risorse sia egemonico, e che gli Usa andranno incontro a un declino comâĂš giĂ accaduto in passato alla Gran Bretagna. Alcuni americani hanno una reazione emotiva allâidea del declino, perchĂ© va a toccare un nervo politico scoperto, ma sarebbe controintuitivo e antistorico pensare che gli Stati Uniti possano controllare in eterno una quota preponderante delle risorse di potere. Tuttavia, la parola «declino» contiene in sĂ© due diverse accezioni: quella di declino assoluto, inteso come decadenza o la perdita della capacitĂ di utilizzare efficacemente le proprie risorse; e quella di declino relativo, che indica una situazione in cui altri Stati acquisiscono maggiori risorse o imparano a utilizzarle con maggiore efficacia. Per esempio, nel XVII secolo i Paesi Bassi, pur vivendo un periodo di grande prosperitĂ interna, videro declinare il proprio potere in termini relativi perchĂ© altri Stati divennero piĂč forti. Al contrario, a causare la fine dellâImpero romano dâOccidente non fu lâascesa di un altro Stato, bensĂŹ un processo di decadenza interna accompagnato dalle invasioni barbariche. Come suggerisce uno storico britannico: «Gli uccelli del malaugurio cercano di spiegare il declino dellâegemonia americana evocando la storia dellâImpero romano e di quello britannico. Ma cosĂŹ facendo ignorano lâavvertimento di Gibbon circa il pericolo insito nel mettere a confronto epoche molto distanti fra loro». Roma era una societĂ rurale dilaniata da conflitti micidiali; lâImpero britannico, basato su una piccola isola, era «una quercia in un vaso da fiori»8.
Lâanalogia storica con il declino britannico Ăš molto gettonata ma fuorviante. La Gran Bretagna aveva un impero su cui non tramontava mai il sole, governava su un quarto dellâumanitĂ e vantava unâindiscussa supremazia navale; tuttavia, vi sono importanti differenze tra le risorse di potere relative dellâImpero britannico e quelle dellâAmerica contemporanea. Al tempo della prima guerra mondiale, la Gran Bretagna era soltanto quarta tra le grandi potenze per personale militare, quarta per Pil e terza per spesa militare9. I costi della difesa si attestavano tra il 2,5 e il 3,4 del Pil, e lâImpero era governato in gran parte con lâimpiego di truppe locali. Nel 1914, grazie alle esportazioni nette di capitali, la Gran Bretagna poteva attingere a importanti risorse finanziarie (sebbene alcuni storici ritengano che avrebbe fatto meglio a investire nellâindustria nazionale), e quasi un terzo degli 8,6 milioni di soldati britannici schierati nella prima guerra mondiale proveniva dai possedimenti imperiali dâoltremare10. Ma con lâascesa del nazionalismo divenne sempre piĂč difficile per Londra dichiarare guerra a nome dellâImpero, e la difesa dei domini imperiali divenne col tempo piĂč un fardello che una risorsa. Al contrario, dal 1856 lâAmerica puĂČ contare su unâeconomia di dimensioni continentali immune da spinte nazionaliste disgreganti. Pur con tutti i discorsi a vanvera sullâimpero americano, gli Stati Uniti hanno meno pastoie e piĂč gradi di libertĂ di quanti ne avesse la Gran Bretagna. Anche la geopolitica dei due Stati Ăš diversa: la Gran Bretagna dovette fare i conti con lâascesa di due potenze vicine come la Germania e la Russia, mentre gli Stati Uniti sono protetti da due oceani e confinano con paesi piĂč deboli.
Malgrado queste differenze, periodicamente gli americani sono inclini a credere nel proprio declino. Alcuni ritengono che il problema dellâAmerica sia riconducibile alla sua sovraesposizione imperiale, altri al declino relativo causato dallâascesa di altre potenze e altri ancora a un processo di declino assoluto o decadenza. Valutazioni di questo tipo non sono una novitĂ : giĂ i Padri fondatori temevano i confronti con il declino della Repubblica romana. Una vena di pessimismo culturale Ăš una caratteristica tipicamente americana, che puĂČ essere fatta risalire alle sue radici puritane. Come osservava Charles Dickens un secolo e mezzo fa, «a dar retta ai suoi singoli cittadini, unanimi dal primo allâultimo, [lâAmerica] Ăš sempre depressa, attraversa sempre un periodo di ristagno, Ăš sempre colpita da una crisi allarmante, e non Ăš mai stato altrimenti»11.
In tempi piĂč recenti, i sondaggi hanno rilevato percezioni di declino dopo il lancio dello Sputnik da parte dellâUnione Sovietica nel 1957, dopo le manovre economiche di Nixon e gli shock petroliferi degli anni Settanta, e dopo la chiusura delle industrie della cosiddetta «cintura della ruggine» e i disavanzi di bilancio generati dallâamministrazione Reagan negli anni Ottanta. Alla fine di quel decennio il popolo americano era convinto che il paese fosse in declino; ma giĂ dieci anni dopo pensava che gli Stati Uniti fossero lâunica superpotenza, e oggi molti credono di nuovo che siamo in una fase di declino12. Questi cicli di «declinismo» piĂč che altro gettano luce sulle dinamiche psicologiche, ma nulla ci dicono sugli spostamenti fondamentali delle risorse di potere13. AnzichĂ© affidarci ad analogie storiche di dubbio valore o a proiezioni basate su cicli di breve periodo, nei prossimi due paragrafi esamineremo la questione del potere statunitense soffermandoci dapprima sul declino rispetto al potere di altri paesi e quindi sul declino assoluto dovuto a cambiamenti interni.
La distribuzione delle risorse di potere
Allâinizio del XXI secolo le risorse di potere erano distribuite in maniera molto diseguale. Con appena il 5% della popolazione del pianeta, agli Stati Uniti erano riconducibili circa un quarto del prodotto mondiale, quasi la metĂ delle spese militari globali e le piĂč vaste risorse di soft power nel campo della cultura e dellâistruzione. Secondo due studiosi, «nessun sistema di Stati sovrani Ăš mai riuscito ad arginare le azioni di uno Stato con un tale primato in fatto di risorse materiali»14...