1.
I sistemi internazionali
Tre grandi sistemi, piĂč o meno solidi, piĂč o meno precari, di balance of power, hanno retto, sorretto, e di tanto in tanto ridotto a mal partito, le relazioni internazionali dellâEuropa, e poi del mondo, nel lungo periodo storico intercorso tra il 1814 (crollo, in seguito a ragioni prevalentemente esogene, dellâimpero napoleonico) e il 1991 (crollo, in seguito a ragioni prevalentemente endogene, dellâimpero sovietico).
Il primo sistema, quello che si puĂČ definire «viennese», ha avuto una lunga durata, tanto da costituire la parte piĂč cospicua del cosiddetto «lunghissimo Ottocento» (1776-1914 o, a seconda delle interpretazioni possibili, 1789-1914). Una volta tradotto in tempo storico, il sistema «viennese» fu del resto definito dallo storico Karl Polanyi, con qualche buona ragione se si pensa ai trentâanni che sono venuti dopo, «pace dei cento anni» (1815-1914). Scaturito da un negoziato politico tra le potenze conservatrici e legittimistiche dellâarea centro-orientale dellâEuropa continentale (Austria, Prussia, Russia), da una parte, e, dallâaltra, lâestremo Occidente europeo (insulare e britannico), il sistema elaborato con pragmatismo e sapienza nellâambito del Congresso di Vienna, pur configurandosi, e allâinizio confermandosi, come una riproposta reazionaria (nel senso etimologico della parola), politicamente rigida, e ideologicamente autoritaria, dellâAntico Regime, si dimostrĂČ, nel tempo, estremamente flessibile, quasi plastico, e quindi inopinatamente resistente. Seppe infatti sopportare, certo non senza difficoltĂ , allâinterno della propria parabola, notevolissime e potenzialmente distruttive torsioni e trasformazioni. Si cominciĂČ infatti, seguendo il controrivoluzionario spirito viennese, con una restaurazione in realtĂ non proprio perfetta e con la Francia â per non parlare dellâInghilterra â non del tutto assimilabile alle potenze della Santa Alleanza (1815-1830). Si passĂČ successivamente, attraverso una restaurazione ormai decisamente imperfetta e sfilacciata (1830-1848), a una rivoluzione con rinnovata restaurazione provvisoria e con rapida transizione, ai fini dellâineludibile cambiamento, dallâiniziativa insurrezionale dei popoli allâiniziativa diplomatica dei governi (1848-1856). Si giunse poi al sottosistema detto «della Crimea», che abbracciĂČ gli anni dal 1856 al 1871 e che vide lâeclisse russa, lâisolamento austriaco, il passaggio dallâEst austro-russo allâOvest anglo-francese per quel che riguardava lâegemonia «sistemica» europea, lâunificazione italiana e quella tedesca. Si approdĂČ infine al lungo, e al suo interno variegato, periodo dominato dalla Realpolitik, introdotta, con lâesibizione crescente della forza, dal cuore degli spazi tedeschi (il «centro» ora autonomo della politica europea), come surrogato, subito generalizzatosi, del sempre piĂč logoro e pur ancora incredibilmente vitale equilibrio (1871-1914).
Il secondo sistema delle relazioni internazionali, inaugurato nel 1919, Ăš quello che possiamo definire «versagliese». Partendo, sulla scia dellâintervento americano nella prima guerra mondiale e della risposta da fornire alla pur ostracizzata rivoluzione russa, da intendimenti in genere progressisti, e tali da tenere in gran conto proprio quei princĂŹpi liberali e nazionali soffocati a Vienna nel 1815, il Trattato di Versailles ha ratificato e sistematizzato la fine della prima guerra mondiale, ma si Ăš drammaticamente rivelato, con il senno di poi, un episodio interno, e certamente non risolutivo, della guerra dei trentâanni del XX secolo (1914-1945). Allâaggregante 1815 â con tutti i soggetti uniti dalla grandâ peur causata dalla rivoluzione diventata guerra e dalla guerra trasformatasi in rivoluzione â era del resto succeduto il disgregante 1914, alimentato da una esponenziale politica di potenza e dalla corsa agli armamenti. Lâuno e lâaltro fenomeno avevano finito con il demolire lâequilibrio e con il produrre unâesplosione da tutti, a cominciare dai socialisti, assolutamente inattesa quanto a distruttivitĂ nei confronti del sistema, e poi a dinamismo, forme belliche, statalizzazione dellâeconomia, incentivi tecnologici generati, dimensioni, durata ed esercizio generalizzato e quotidiano della violenza. Si cominciĂČ a discorrere di «guerra civile europea» a partire dal 1914, e non dal 1917, che del 1914 fu, con il collasso totale dello Stato zarista, una traumatica conseguenza. La Grande Guerra aveva insomma innescato una devastante logica polimorfa (forza-nazionalimperialismo-ideologia-politica di massa) che Versailles non fu in grado, nonostante lâintervento americano avesse trasformato la guerra di imperi in guerra democratica, di addomesticare e talvolta neppure di comprendere. Versailles, cosĂŹ, nonostante diversi sforzi invero generosi, invece di bloccare il processo in corso, contribuĂŹ per certi versi, e del tutto involontariamente, ad accelerarlo.
Venne, in particolare, a mancare un complesso meccanismo volto a conservare lâequilibrio nellâarea dellâEuropa centrale. Esisteva ora una SocietĂ delle Nazioni creata e abbandonata dagli americani, oltre che egemonizzata di fatto, proprio in ragione del pentimento isolazionistico statunitense, dagli anglo-francesi. Esistevano inoltre divergenze tra gli stessi vincitori cosĂŹ come tra i vinti. Esisteva anche, a partire dal 1922, lâUnione Sovietica. Esistevano infine Stati cuscinetto, esodi biblici di popolazioni in tutte le direzioni, cordoni sanitari antisovietici e antitedeschi, impazzimenti di monete e di economie, culti ovunque monumentalizzati dei caduti, mancate elaborazioni degli immani lutti, risentimenti, minacce continue di vendette, revisionismi, revanscismi, interessate manovre delle grandi e meno grandi potenze. Pur quasi sempre, sulla base dei princĂŹpi wilsoniani astrattamente intesi, in parte (e mai in tutto) legittimi, i nuovi Stati si dislocavano infatti negli spazi che nel centro, a est, e a sud del continente europeo, si affiancavano alla Repubblica di Weimar e alla Russia bolscevica, vale a dire allâindebolita Germania non piĂč imperiale, oltre che penalizzata dallâIntesa, e allâunico impero rivoluzionariamente e confusamente sopravvissuto alla tempesta della Grande Guerra. Erano infatti a uno a uno crollati lâimpero austroungarico, lâimpero ottomano, e lo stesso Kaiserreich germanico, mentre lâimpero russo era sfuggito, tra innumerevoli tragedie, allâinvasione bellica austro-turco-germanica, alla guerra civile contadina, alla guerra civile dei rossi contro i bianchi sostenuti dallâIntesa, nonchĂ© alle stesse regole di Versailles. Fu perciĂČ lâunica impalcatura territoriale dellâAntico Regime a rimanere in piedi, pur amputata a ovest (Finlandia, Polonia, paesi baltici, Bessarabia), pur sotto il governo dei commissari del popolo, e nonostante i costi umani elevatissimi e le mille e mille difficoltĂ . Il 1917 era il prodotto di tre rivoluzioni (lâoccidentalista-liberale di febbraio, la proletaria dei Soviet e delle cittĂ industriali, la contadina delle immense campagne, nessuna delle quali effettuata dai bolscevichi, tutte e tre assecondate e poi affossate dai bolscevichi), ma non era riuscito a innescare la rivoluzione socialista internazionale, generando anzi una reazione internazionale e conservando, quasi per intera, lâereditĂ imperiale e territoriale dello zarismo. La qual cosa fu in seguito tra i fattori che costrinsero lâURSS a una politica estera dispendiosissima, sempre sproporzionata rispetto alle capacitĂ economiche e produttive interne, comâera stata giĂ quella zarista, ma in misura ancora maggiore.
Il sistema di Versailles, comunque, in una situazione di disordine crescente, e di disimpegno americano, nulla potĂ©, a partire dagli anni â30, contro il macrorevisionismo tedesco, contro il macrorevisionismo giapponese e contro tutti i rissosi microrevisionismi. Guerre politiche, guerre civili, scontri sociali, crollo verticale di gran parte delle democrazie europee, avvento di dittature, crisi economiche di enorme portata, nascita dei movimenti anticolonialisti, avventure coloniali fuori tempo: questo fu lo scenario del periodo che si definisce «tra le due guerre» e che in realtĂ si trovĂČ a essere collegato, certo in modo non rettilineo, alle due guerre mondiali, tanto da giustificare appunto lâespressione «guerra dei trentâanni del XX secolo», coniata nella seconda guerra mondiale da Churchill e dal nazista Rosenberg e valida per lâintera fase storica iniziata nel 1914. Il sistema di Versailles, che certo moderĂČ beneficamente per alcuni anni lâattitudine a risolvere i conflitti con la violenza, non riuscĂŹ insomma a governare in modo duraturo questo periodo. Si trovĂČ cioĂš a convivere, pur proponendosi come ordine mondiale, con una pronunciata anarchia internazionale. La Grande Guerra era poi stata, se vista da unâottica geopolitica, uno scontro, certo a sua volta imperfetto, tra le potenze di mare, che erano risultate vittoriose, e le potenze di terra, che erano risultate sconfitte, o che, attratte dallâirresistibile forza di gravitĂ esercitata dai problemi interni, si erano, come la Russia, autoescluse in forma rivoluzionaria dal conflitto. Tra le potenze di mare, tuttavia, si verificĂČ una translatio imperii dallâInghilterra, e, in sottordine, dalla Francia, agli Stati Uniti, che divennero la potenza di mare per eccellenza: ora imperiale, ora isolazionistica, animata tendenzialmente da forti propensioni liberoscambistiche, aperta al mondo, liberaldemocratica, diffidente nei confronti dellâinvadenza economica dello Stato, in grado tuttavia di elaborare con crescente facilitĂ una politica planetaria, non riluttante in linea di principio davanti allâuso delle armi e talvolta assai disinvolta nella scelta, quando non nellâimposizione, degli alleati periferici.
Ci volle tuttavia unâaltra guerra mondiale, iniziata in Europa dalla Germania nazista e in Asia dal Giappone militarista, perchĂ© gli Stati Uniti assumessero con decisione la leadership politica delle potenze di mare e, insieme, dellâintero mondo occidentale. Alla fine della Grande Guerra, e ancor piĂč negli anni â20, gli stessi Stati Uniti, nonostante il crollo di Wall Street (1929), erano giĂ universalmente riconosciuti come la massima potenza economica del pianeta. Le potenze di terra, in primo luogo la Germania, chiuse comâerano in un universo gigantesco e febbrilmente dinamico, ma inevitabilmente asfittico, avevano tendenzialmente una piĂč forte propensione protezionistica, dirigistica, militaristica, autoritaria, volta inoltre, con una politica estera muscolosa, a privilegiare in ogni occasione, e in forme espansionistiche, la sicurezza. Anche a costo di moltiplicare le sfere istituzionalizzate dâinfluenza e addirittura gli Stati satelliti o «collaborazionistici». La Germania, due volte nel secolo, con due guerre totali, tentĂČ, fallendo, di sottrarsi alla maggiore mobilitĂ delle potenze di mare e di assumere la leadership delle potenze di terra, presidiando-egemonizzando nellâun caso lâEuropa, e, nellâaltro, lâintero blocco eurasiatico, dalla Manica al Giappone, prima alleandosi con lâURSS (1939), e poi invadendola e tentando inutilmente di sottometterla e di assorbirla (1941). Materia di discussione tra gli storici, soprattutto tedeschi e britannici, Ăš tuttora la strategia politico-militare della Germania nazista: ci si divide tra chi ritiene che gli hitleriani mirassero alla conquista dellâEuropa (sino agli Urali e, verosimilmente, a Turchia e Medio Oriente) e chi ritiene, invece, che intendessero conquistare il mondo intero. Il sanguinoso crepuscolo (1945) delle ambizioni tedesche creĂČ, nel corso del lunghissimo dopoguerra, e appunto della guerra fredda (1946-1953 e successive differenziate riemersioni), le premesse per il confronto, assai presto nuclearizzato su tutti i fronti, e anchâesso tuttavia largamente non perfetto, tra la nuova, ed esclusiva, o quasi, potenza-leader di mare, gli Stati Uniti, e la nuovissima, e altrettanto esclusiva, o quasi, potenza-leader di terra, lâURSS. LâimpossibilitĂ di uno scontro armato diretto non convenzionale, e il duopolio effettivamente esercitato da entrambe, resero perĂČ le due superpotenze, come vedremo, non solo rivali, ma anche, e largamente, complementari, pur nella loro radicale e insormontabile diversitĂ .
Il terzo ordine internazionale del mondo contemporaneo, dopo Vienna e Versailles, fu, a partire dal 1945, un ordine di fatto e non di diritto. Nonostante i numerosi ed estenuanti tentativi, non fu in effetti realmente negoziato. Fu. A differenza di quel che era accaduto nel 1815 e nel 1919 non vi furono cioĂš, alla fine della guerra, tra i vincitori (gli anglo-americani da una parte e lâURSS dallâaltra), nĂ© una concordia dâintenti, nĂ©, tanto meno, antifascismo a parte, unâaffinitĂ politico-ideologica. Si formarono cioĂš, dopo la vittoria, due campi antagonistici, interni certo a quel dispositivo politico-militare che era stata la Grande Alleanza, e tuttavia divisi sugli assetti geopolitici, sul patrimonio ideologico, sui valori da difendere, sui modelli economici proposti e imposti, sulle forme politiche adottate. Si fronteggiarono subito, quasi senza soluzione di continuitĂ , secondo le autodefinizioni, il mondo libero e il campo socialista, o anche, accogliendo le definizioni che in seguito â dopo cioĂš il 1945 â lâuno avrebbe dato dellâaltro, lâimperialismo americano e il totalitarismo sovietico.
Il sistema del 1815 era del resto stato gradualmente eroso, e nel 1914 era catastroficamente crollato, perchĂ© una serie di cause ne avevano minato lâequilibrio: in primo luogo le questioni nazionali iperpoliticizzate e vorticosamente sostenute (soprattutto nei Balcani) da parte di questo o quello Stato; in secondo luogo il declino inarrestabile, e pur lentissimo, di un Antico Regime (ceti, caste, gerarchie, rango, valori e imperi) per nulla defunto nel 1789, ma socialmente e politicamente consustanziale proprio con lâordine viennese e ancora con corposi aspetti della societĂ fin-de-siĂšcle; infine, lâaumento spropositato, e insostenibile per la logica continentale di Vienna, della complessitĂ di un sistema in cento anni ingigantitosi e mondializzatosi.
Il sistema «liberaldemocratico» del 1919, paradossalmente assai meno elastico di quello «ultraconservatore» del 1815, era invece crollato per lâinefficienza della SocietĂ delle Nazioni, per la fallita scommessa sulle democrazie, per il dilagare dei nazionalismi diventati tutti aggressivi, per la paura suscitata ovunque dalla presenza di una repubblica bolscevica, per la riscossa espansionistica e dirompente del vinto principale (la Germania nazificata) e per lâinsofferenza revisionistica di due ambiziosi vincitori alleatisi con lo sconfitto (il Giappone militarista e lâItalia fascista).
Il sistema del 1945 crollerĂ per il tracollo e lâimplosione relativamente pacifica, e in un tempo breve (almeno per quel che riguarda la crisi finale), di uno dei due garanti dellâordine, e cioĂš dellâURSS, realtĂ da intendersi come sistema imperiale di potere e, insieme, come «socialismo reale».
Il mondo, comunque, si trovĂČ nel 1945 a essere regolato, a parte alcune realtĂ (tra cui lâItalia), non tanto da un trattato (ci vollero gli accordi di Helsinki nel 1975 per «giuridizzare» con trentâanni di ritardo lo status quo), ma dalla situazione militare esistente al momento della capitolazione tedesca (maggio 1945) e giapponese (agosto 1945), vale a dire al momento della fine delle due, simultanee, ma non del tutto omogenee, guerre dellâAsse, quella nazionalsocialista per il nuovo ordine europeo e quella nipponica per il nuovo ordine asiatico. LâURSS aveva del resto dichiarato guerra al Giappone solo a ridosso di Hiroshima. LâURSS stessa, pur provatissima dal conflitto per le immense risorse umane e materiali dispiegate e sacrificate, fu quindi favorita dal fatto che gli Stati Uniti, giĂ terminata la guerra in Europa, si trovarono impegnati ancora per alcuni mesi sul fronte del Pacifico. Gli Stati occupati dallâArmata Rossa divennero democrazie popolari, ma furono subito considerati, dal punto di vista delle relazioni internazionali, Stati satelliti dellâURSS. Vennero anche, da una geopolitica elementare, definiti «paesi dellâEst» (Polonia, Germania Orientale-poi DDR, Ungheria, Romania, Bulgaria, Jugoslavia, Albania). Nel 1948, con un colpo di Stato comunista, si aggiunse anche la Cecoslovacchia. Nel 1947-1948, tuttavia, la Jugoslavia ruppe con Mosca, assumendo una posizione equidistante tra i due blocchi. Allâepoca del dissidio cino-sovietico lâAlbania si accostĂČ poi alla Cina popolare. E lâURSS, protetta a ovest dagli stessi territori che nel 1919 dovevano fungere da cordone sanitario antibolscevico, divenne in effetti una superpotenza, pur enormemente arretrata nellâeconomia civile e nella produzione di beni di consumo rispetto agli Stati Uniti, ma presto nuclearizzata a sua volta, e di dimensioni territoriali mai viste nella storia del mondo: le sue zone dâinfluenza si spingevano dallâAdriatico e dal Baltico sino al mare del Giappone e poi sino a tutta la Cina (1949), al golfo del Tonchino (1954), a tutta lâIndocina (1975, pur con la Cambogia filocinese), con una enclave nei Caraibi (Cuba, 1961-1962), nonchĂ© con propaggini dirette e indirette, non sempre politicamente affidabili, tra anni â60 e â70, nel mondo arabo e in Africa.
La sovranitĂ nazionale nei territori egemonizzati dallâURSS (gli Stati satelliti), esclusa la Cina maoista autonomizzatasi in forma «nazionalistica» a partire dal 1958-1959, e assai parzialmente esclusa la stessa Cuba, fu ridottissima e pressochĂ© inesistente. Dopo lâinvasione della Cecoslovacchia (1968) la dottrina BrezËnev diffuse in modo esplicito la brutale concezione «realistica» della sovranitĂ limitata. Incomparabilmente maggiori furono la sovranitĂ e lâindipendenza esistenti nel campo egemonizzato dagli Stati Uniti, un campo in Europa democratico (con lâesclusione importante di Portogallo e Spagna), ma anche qui vi fu un depotenziamento progressivo degli Stati-nazione e delle questioni nazionali, oltre che, soprattutto in America Latina (ma anche in Asia), lâaperto, o semiocculto, sostegno a iniziative e a impalcature statali illiberali e antidemocratiche.
Lâequilibrio, di fatto e non di diritto, in un contesto peraltro di contrapposizioni ideologiche, avvicinava, e insieme allontanava, il modello che possiamo definire «Teheran-Yalta-Potsdam» e il modello-Vienna. Oltre tutto, dopo il 1945, ciascuno dei due blocchi, attraverso ideologi e politici, addebitava allâaltro la responsabilitĂ , e lâeziologia, della divisione succeduta alla guerra. Salvo poi sostenere che con lâimperialismo, o con il comunismo, ogni accordo non poteva, per la natura stessa dellâimperialismo, o del comunismo, che essere effimero. Ma, certo, il sistema tendenzialmente bipolare del 1945 fu, pur nel contrasto tra i due, e solo due (a lungo, ma mai in modo esclusivo), centri di potere, assai piĂč simile a quello programmaticamente unipolare di Vienna che a quello necessariamente multipolare di Versailles. Fu infatti, nel complesso, con le dovute e colossali differenze tra i due blocchi, autoritario, insofferente nei confronti dei soprassalti indipendentistici o nazionali, disponibile allâintervento diretto o indiretto â si pensi alla politica dei congressi della Santa Alleanza â lĂ dove vi erano aree di disobbedienza reale o potenziale, disponibile infine a fare dellâideologia un potente mezzo di confronto. Eppure, come Vienna, e a differenza di Versailles, nonostante i conflitti armati nelle aree periferiche del pianeta (dovuti essenzialmente allâinserirsi nel sistema del grandioso processo della decolonizzazione), ebbe, dal punto di vista del mantenimento della pace, una tenuta tutto sommato buona. Nei due campi, e nelle metropoli, del pianeta, vi fu infatti un assetto internazionale che si puĂČ definire «pax armata sovietico-americana dei quarantacinque anni» (1946-1991), succeduta appunto alla seconda guerra dei trentâanni (1914-1945).
Tale pax armata fu definita dai piĂč, a partire dal 1947, con termine non sempre congruo, ma che si rivelĂČ subito una formula fortunatissima, «guerra fredda». Tra lâaltro, a differenza che nel ...