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Forme dell'estetica
Dall'esperienza del bello al problema dell'arte
Fabrizio Desideri
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Forme dell'estetica
Dall'esperienza del bello al problema dell'arte
Fabrizio Desideri
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Una mappa concettuale, chiara e originale, dell'estetica come disciplina filosofica di frontiera. La prima parte Ăš dedicata all'esperienza del bello attraverso un'analisi delle tematiche della percezione, dell'emozione e del giudizio estetico. La seconda parte affronta il problema dell'arte e risponde a sfide teoriche sollecitate dall'oggi. Nell'epoca della svolta multimediale e della diffusione delle tecnologie digitali Ăš ancora possibile parlare di unitĂ dell'arte? Come riconosciamo un'opera d'arte? In che rapporto sta la fruizione delle opere artistiche con la nostra piĂč generale esperienza? Quale relazione Ăš ancora pensabile tra finzione artistica e realtĂ ?
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Philosophische EssaysCapitolo secondo.
Il senso dellâopera e la veritĂ dellâarte
II.1. Generi e stili nellâopera dâarte
II.1.a
Finora abbiamo cercato di cogliere lâunitĂ del fare artistico nella congiunzione intenzionale tra dimensione estetica e tecnica. Possiamo anche ammettere che si tratta di una definizione. In ogni modo, non Ăš certo una definizione a priori, tale da precedere ogni relazione estetica con lâopera. Il punto di vista che abbiamo assunto Ăš stato il riconoscimento dellâesplicarsi di una funzione artistica, della quale si sono indagati i presupposti concettuali. CosĂŹ si Ăš potuto evitare lo scoglio essenzialistico, che pretende di ridurre allâunitĂ di un concetto quella che Ăš una pluralitĂ eterogenea di pratiche e di linguaggi. Nello stesso tempo, perĂČ, non ci siamo incagliati nei fondali di differenze incomunicabili tra di loro.
LâunitĂ che cosĂŹ si Ăš riconosciuta Ăš unâunitĂ di senso, che puĂČ fungere da regola indeterminata, seppur con alcuni vincoli concettuali, ad un orientamento nel giudizio: alla possibilitĂ di scoprire, di volta in volta, somiglianze di famiglia. Se questo Ăš il criterio del riconoscimento dal punto di vista âdinamicoâ del farsi dâogni opera, il suo pendant dal punto di vista âstaticoâ del risultato â dellâoggetto artistico come âprodottoâ â Ăš lâunificazione armonica (non importa quanto tesa o irrisolta essa sia) tra la sua organizzazione sintattica e quella semantica. Ogni opera, alla luce di questi due criteri e del loro necessario intreccio nellâinstaurarsi di una relazione estetica, vale certo di per sĂ©. Questo perĂČ non vuol dire che sia inclassificabile, che non sia, cioĂš riconducibile, a generi dâappartenenza. La polemica crociana contro i generi artistici ha certamente avuto il merito di spostare lâattenzione della riflessione estetica sul carattere per cosĂŹ dire insulare di ogni opera, sulla sua singolare autonomia. Ma proprio la risoluzione di questâautonomia nel circolo âspiritualeâ tra intuizione ed espressione ha lasciato in ombra come i generi artistici non sono affatto estrinseci nĂ© alla genesi dellâopera nĂ© al rapporto tra quelli che tradizionalmente sono chiamati forma e contenuto di essa, termini che abbiamo preferito tradurre nei due livelli dellâorganizzazione dellâopera: sintattico e semantico.
Ă merito di Adorno, sulla scorta di alcune precedenti osservazioni di Benjamin, aver difeso la tesi di un rapporto non necessariamente estrinseco o puramente nominalistico tra opera dâarte e genere artistico. Seguendo Benjamin, Adorno, nella Teoria estetica, intende il genere come idea dotata di una forza storica intrinseca, influente sulla nascita stessa dellâopera, piuttosto che un battesimo retrospettivo. Da questo punto di vista, il genere, nel momento in cui si impone, riguarda il problema estetico-formale a cui lâopera vuol rispondere. In quanto idea, il genere Ăš cosĂŹ il correlato oggettivo di cui lâintenzione artistica Ăš alla ricerca. Adorno ricorre ad un esempio di tipo musicale: la forma della fuga. Lâinvenzione di Bach Ăš la risposta ad esigenze relative ai materiali musicali dellâepoca ed ai compiti compositivi che ne scaturivano. La forma della fuga sarebbe cosĂŹ da mettere in relazione con il «potere assoluto» acquisito dalla tonalitĂ e con il problema del suo rapporto con la polifonia. Essa si afferma, perciĂČ, «non appena la polifonia tradizionale si vede confrontata col nuovo compito di superare la forza di gravitĂ omofona della tonalitĂ e di integrare la tonalitĂ nello spazio polifonico tanto quanto di introdurre il pensiero graduale contrappuntistico e armonico»1.
Proprio perchĂ© scaturisce dallâinterno di problemi legati alle dimensioni tecniche ed estetiche del fare artistico, il genere Ăš destinato a costituire uno schema immanente alla produzione artistica, rappresentando per essa il vincolo ereditato di leggi organizzative per i modi del suo significare. Unâanaloga riflessione sullâaffermarsi di un genere artistico, come stabilizzarsi di un modello e come sviluppo e soluzione formale di esigenze e problemi sorti da pratiche preesistenti, la troviamo giĂ nella Poetica di Aristotele, con riferimento alla nascita di tragedia e commedia:
Entrambe nacquero dallâimprovvisazione: la tragedia da quelli che intonavano il ditirambo, la commedia dalle processioni falliche che tuttora restano in uso in molte cittĂ . Poi la tragedia crebbe a poco a poco, mano a mano che i poeti ne sviluppavano le manifestazioni, e dopo aver attraversato molti mutamenti si stabilizzĂČ, avendo raggiunto la propria natura2.
Sottolineare lâappartenenza di ogni opera ad un qualche genere, e talvolta a piĂč di uno, sottrae la produzione artistica alla falsa mitologia di una creativitĂ senza presupposti e ne libera lâintento da ogni psicologismo. Fare i conti con i vincoli sintattici e semantici imposti da un genere, anche per abbandonarli o modificarli, significa, per un autore, venire a capo di problemi oggettivamente immanenti alla dimensione tecnico-formale dellâopera.
Dal punto di vista del suo disporsi allâinterno di un genere â sia esso la forma di fuga, la tragedia o il western â lâopera, oltre che qualcosa di singolarmente autonomo, puĂČ essere considerata anche elemento di un processo unificabile secondo schemi. Dunque, nonostante il suo indubbio costituire unâentitĂ a sĂ©, ogni opera puĂČ valere come membro di una serie âapertaâ, che si accresce fintanto che lo schematismo del genere funziona come legge di sviluppo della produzione artistica. Come riconosce lo stesso Adorno, lâappartenenza ad un genere rappresenta, per unâopera dâarte, quellâelemento dâuniversalitĂ , riguardo al quale deve affermarsi, anche polemicamente, il suo carattere singolare. Se Ăš vero che nel genere si accumula «lâautenticitĂ delle singole creazioni artistiche»3, dâaltra parte il suo schematismo â il suo carattere cogente per lâoperari artistico nellâimmanenza della sua dimensione tecnico-costruttiva â resiste come un universale non cancellabile dal farsi compositivo. Il genere resiste e persiste anche in forma astrattamente schematica e addirittura nominalistica. Riconoscere questo, significa anche riconoscere la funzione che esso esercita sul versante della ricezione dellâopera.
II.1.b
Attraverso il paradigma estetico-concettuale del genere agisce, in ogni giudizio estetico relativo ad opere dâarte, la potenza cognitiva delle convenzioni. Classificare unâopera in base ad un genere, non sostituisce certo il problema dellâapprezzamento e della valutazione della sua singolaritĂ . Questo, perĂČ, non significa che il genere faccia da schermo nei confronti dellâopera. Dal punto di vista estetico-ricettivo, il genere significa anche il sedimentarsi di singole esperienze estetiche. CâĂš, in altri termini, un effetto estetico della struttura generica di unâopera che orienta le modalitĂ di recepirla e di giudicarla esteticamente. Tale effetto non ha un senso soltanto inerziale, nĂ© lâorientamento concettuale del giudizio ha il valore di un esonero. La convenzionalitĂ del genere, insomma, non si oppone necessariamente alle esigenze espressive della relazione estetica, ma Ăš espressione essa stessa.
Analoga riflessione puĂČ esser fatta riguardo alla cifra stilistica di unâopera. Come identifichiamo lâappartenenza di unâopera ad un genere, indipendentemente dallâapprezzarla o meno, cosĂŹ possiamo identificarne lo stile. Se nel primo caso il giudizio, nel suo intento classificatorio, ha un peso âoggettivamenteâ cognitivo (lâopera vale come elemento di una serie), nel secondo il criterio del giudicare Ăš prevalentemente estetico. Riconoscendo uno stile come proprio di unâopera, esprimiamo un giudizio relativo al rapporto che, in essa, si stabilisce tra la sua dimensione sintattica e quella semantica. Nella modalitĂ di questo rapporto consiste la sua valenza espressivo-formale; non, dunque, semplicemente il suo aspetto solo formale, astratto da ogni contenuto, bensĂŹ il modo con cui ogni contenuto si esprime esteticamente in una forma. Non necessariamente, perĂČ, lo stile di unâopera deve essere ricondotto allâorizzonte intenzionale dei propositi e delle decisioni. Qui, piĂč che la scelta dellâautore, vale il âcomeâ lâopera si presenta alla ricezione: vale la sua effettivitĂ estetica. Lo stile Ăš lâelemento di soggettivitĂ che sâincarna oggettivamente in ogni opera.
Talvolta i paradigmi stilistici cui ricorriamo nei nostri giudizi sono per cosĂŹ dire storicamente estratti dai generi, come fossero un sedimento di esperienze relative alle opere ad essi appartenenti. Possiamo, cosĂŹ, definire tragico o romanzesco lo stile di unâopera pittorica, musicale o letteraria anche quando non ci troviamo di fronte ad una tragedia o ad un romanzo. Il ciclo di dipinti dedicato da William Hogarth alla Carriera di un libertino o quello che ha per titolo Matrimonio alla moda possono venir giudicati come romanzeschi per la loro raffigurazione, in sequenza temporale e narrativa, delle vicende e delle azioni di individui designati con nome e cognome, cosĂŹ come accadeva nei contemporanei romanzi di Sterne e di Fielding. In questo, certo, siamo confortati dal paragone che lo stesso Fielding, nella prefazione al romanzo Joseph Andrews, fa tra la propria scrittura e la pittura dellâamico. Ma non sempre câĂš bisogno di tale conforto. Non necessariamente i nostri giudizi derivano dalla possibilitĂ di rilevare analogie stilistiche tra opere che pur usando mezzi espressivi diversi respirano, perĂČ, una comune atmosfera culturale, sia essa vagamente epocale o piĂč circoscritta e determinata nello spazio e nel tempo. In molti casi, ad esempio quando definiamo tragico lo stile di un film (per i tipi di conflitti che mette in scena e per il modo in cui lo fa) oppure epico (per la coralitĂ e lo spessore storico del suo intreccio narrativo), non facciamo altro che usare estensioni analogiche di generi poetici giĂ consolidate nellâuso linguistico quotidiano. Lo stesso vale per quelle aggettivazioni desunte dallo stile che caratterizza unâintera epoca o un determinato movimento, rappresentando quello che Ăš stato chiamato il suo Kunstwollen, il âvolere artisticoâ capace di caratterizzare sia linguaggi tra loro assai diversi sia le opere di differenti autori4. Ă quello che succede quando giudichiamo âbaroccoâ lo stile del regista inglese Peter Greenway e, senza andare troppo per il sottile, âromanticoâ quello della regista australiana Jane Campion. Non necessariamente, poi, il nostro giudizio Ăš formulato proiettando in avanti nel tempo, oltre la sua effettivitĂ storica, un modello di unitĂ stilistica. Possiamo anche proiettarlo allâindietro, prima della sua...