L'arte lunga
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L'arte lunga

Storia della medicina dall'antichitĂ  a oggi

Giorgio Cosmacini

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Storia della medicina dall'antichitĂ  a oggi

Giorgio Cosmacini

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Cosmacini Ú medico ma anche filosofo. Come avvertiva Ippocrate, infatti, il medico deve spiare non solo i segni del male sul corpo del paziente, ma anche «i discorsi, i modi, i pensieri, il sonno e l'insonnia» e forse anche «i suoi sogni».
Giulio Giorello, "Corriere della Sera" Dalla mitologia curativa degli dĂši d'Olimpo ai guaritori e ai curanti dell'antico Egitto e di Babilonia, dalla medicina greco-romana a quella dell'Islam, dalla scienza medica medievale al ‘rinascimento' medico del Seicento, dalla ‘polizia medica' settecentesca alla ottocentesca ‘medicina politica', dall'igiene alla sanitĂ  pubblica, dalla ‘rivoluzione terapeutica' alla biotecnologia, all'ingegneria genetica, alla chirurgia estetica: la storia della medicina Ăš antichissima, ed Ăš modernissima, coinvolgendo oggi la durata e la qualitĂ  della vita umana, chiamata a confrontarsi con una longevitĂ  che ha ridefinito l'esistenza stessa.

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Informations

Éditeur
Editori Laterza
Année
2014
ISBN
9788858114919

VI. L’età contemporanea

1. Dai lumi della ragione alla rivoluzione politica

Oltre alla «rivoluzione demografica», un evento rivoluzionario di cui Ăš teatro il Settecento Ăš quello della scomparsa della peste dal panorama epidemico della patologia europea. Quasi un secolo dopo la peste di Londra, Ăš molto eloquente al riguardo il passo di una lettera scritta ad Anton de HaĂ«n (1704-1776), il medico olandese che insieme al connazionale Gerard van Swieten (1700-1772) provvedeva a trapiantare a Vienna il modello clinico-didattico della Scuola di Leida, dal medico svizzero Samuel August Tissot (1728-1797), il quale affermava che la peste, a parte due focolai epidemici a Marsiglia nel 1720 e a Messina e Reggio nel 1743, era divenuta «felicemente cosĂŹ rara in Europa che tra mille medici non ce n’ù uno che la conosca: generazioni intere passano ignorandola»557.
Tissot era un clinico di valore, poi in cattedra a Pavia nel triennio 1783-85 e giĂ  allievo a Montpellier di François Boissier de Sauvages (1706-1767), l’autore di una Nosologia methodica, pubblicata nel 1763, dove veniva applicato alla classificazione delle malattie – distinte in ordini, famiglie, generi, specie e varietĂ  – il «metodo botanico» usato con grande successo dal medico e naturalista svedese Carl von LinnĂ© (1707-1778), Linneo, nella classificazione delle piante558. Tissot era anche, nella sua cittĂ  di Losanna, mĂ©dicin de ville, cioĂš «medico pubblico», addetto alla cura dei poveri. Egli dava alle stampe nel 1761 un Avis au peuple sur sa santĂ© che incontrava una grande accoglienza e che, attraverso una rapida diffusione, procurava all’autore una grande fama europea.
L’«avviso al popolo sulla sua salute» Ăš un’opera di educazione sanitaria popolare. Non si rivolge perĂČ ai contadini: «non saprebbero leggerlo», scrive Tissot; e precisa: «io lo destino alle persone intelligenti e caritatevoli che vivono nelle campagne e che, per una specie di vocazione della Provvidenza, sono chiamate con i loro consigli ad aiutare tutto il popolo che le circonda». Si tratta dei pastori d’anime, delle persone agiate e stimate, dei maestri di scuola, delle comari, dei chirurghi di campagna «che esercitano la medicina nel loro vicinato». Sono costoro gli intermediari della medicina per il popolo, la quale si rivolge anche a coloro che, «senza essere popolo, vivono in campagna e non sono in grado di procurarsi un medico»559.
L’«avviso» puĂČ essere considerato come un vero progetto di medicina pubblica nel quale si affrontano, con ampia descrizione dei sintomi e dei rimedi, tutte le principali malattie, prima fra tutte l’«epidemia del XVIII secolo», il vaiolo (variola maior), con la sua elevata mortalitĂ , la sua vasta diffusione, i suoi gravi danni (tra cui la cecitĂ ) e il suo rimedio sovrano: la «variolizzazione» o «inoculazione», fatta da mani abili. Essa Ăš la «operazione per mezzo della quale, mettendo un po’ di pus preso da pustole mature [...] su una leggera incisione fatta sulla pelle di una persona che non l’ha avuta, si procura questa malattia», perĂČ in forma attenuata (variola minor), preservativa dal male maggiore: infatti «basta sapere che su 690 soggetti ne morranno 106 e che se invece si pratica a essi l’inoculazione, ne morranno appena due sullo stesso numero»560.
Tissot traccia una breve storia dell’inoculazione. Scrive: «Questo metodo Ăš in uso da tempo immemorabile in Cina e nelle grandi Indie; lo si impiega da piĂč secoli in Georgia e in Circassia; Ăš stato introdotto a Costantinopoli da un centinaio d’anni»; fu infine «portato in Inghilterra nel 1721 da una donna di nobile sentire, mylady [Mary] Wortley Montague, che era stata testimone del successo con cui lo si usava a Costantinopoli, dove suo marito era ambasciatore»561.
Nella breve storia tracciata manca ovviamente la trasformazione, posteriore di 37 anni, della variolizzazione o vaiuolazione di metĂ  Settecento, praticata con pus umano non senza qualche rischio, nella vaccinazione di fine Settecento (e poi dell’Ottocento), praticata con pus vaccino innocente. La scoperta del medico inglese Edward Jenner (1749-1823), il quale nel 1798 rendeva noto che il cow-pox o vaiolo vaccino, trasferito dall’animale all’uomo, provocava in quest’ultimo una malattia attenuata che impediva al vaiolo umano di attecchire562, seguiva infatti a distanza l’«avviso» di Tissot. Ma – potremmo dire proiettando l’avvertimento alla fine del secolo e nel secolo successivo – che la salute popolare sarebbe stata salvaguardata piĂč dall’«arte di difesa» messa in campo contro il vaiolo, cioĂš dalla prevenzione vaccinica antivaiolosa, che dall’«arte di medicare» esercitata in questo campo, e in altri, dalla pratica applicativa della scienza medica d’ancien rĂ©gime563.
Il settecentesco «innesto» – comprendendo in tal nome sia la «vaiuolazione» che la «vaccinazione» – era un evento non solo medico-scientifico, ma anche medico-sociale. Era, da un lato, la dimostrazione definitiva del fatto che la medicina scientifica Ăš fitta di ispirazioni fornitele dalla medicina popolare: se nel Seicento i medici avevano imparato a curare le febbri, a cominciare dalla piĂč «perniciosa» come la malaria, con la china-china, appartenente da lungo tempo alla farmacopea popolare degli Indios, nel Settecento i medici imparavano a prevenire il vaiolo con la tecnica dell’innesto, originariamente ricavata dalla pratica con cui le donne cinesi e caucasiche, esperte della malattia e consapevoli del suo «non ritorno» (immunitĂ  acquisita) in soggetti che giĂ  l’avevano avuta, deponevano sopra un graffio della pelle, secondo quanto ricordato da Tissot, una goccia di vaiolosa materia.
D’altro lato «il favoloso innesto», nella settecentesca etĂ  dei lumi, non era solo una conquista della medicina, ma anche un reagente capace d’indicare la posizione di ciascuno nel campo di due schieramenti ideologici contrapposti: quello «oscurantista», in cui militava chi si opponeva a una pratica considerata materiale che impediva al corpo di purgarsi come l’anima dal peccato, e quello «illuminista», in cui militava chi invece si schierava – come in Francia gli «enciclopedisti» e in Italia Pietro Verri (1728-1797) e Cesare Beccaria (1738-1794) – a favore di una pratica efficace in quanto figlia della «ragione vera» e nemica della «ragione falsa» e della cieca ignoranza564.
L’«arte di difesa» antiepidemica si allineava nel solco della «medicina dei poveri» e della «medicina dei lavoratori». Il suo essersi formata dal basso, a partire dalla medicina popolare, si allacciava idealmente all’esercizio della medicina per la «minuta gente», giĂ  dal Cinquecento prestato da quei dottori marginali «che esercitavano nei villaggi e nelle cittĂ  e la cui clientela erano i poveri» e da quei chirurghi rurali che erano gli unici interlocutori di una classe sociale di fronte alla quale un medico di rango elevato come Giovanni Filippo Ingrassia (1510-1580) aveva ritenuto di dover dire: «Io non sono mai stato chiamato da gente bassa di tal genere»565.
Dottori marginali e chirurghi rurali erano quei curanti presi a servizio o, secondo la terminologia in uso, «assoldati», tratti cioĂš con promessa di soldo e «condotti» a curare pauperes et miserabiles sine mercede, a «curare i poveri e i miserabili che non sono in grado di retribuirli in denaro». Questi medici o chirurghi condotti erano figure giĂ  delineate nel Cinquecento in non pochi comuni italiani, sia rurali che urbani566. Nel Settecento, in Italia, l’istituto della condotta medica era giĂ  stabilito nella Lombardia austriaca e «giĂ  disciplinato in Piemonte e in Toscana» nell’ambito di una incipiente organizzazione civica o politica delle arti sanitarie e dei loro addetti (medici, chirurghi, barbieri, levatrici, speziali)567.
PiĂč in generale in Europa – dove piĂč, dove meno – nello scorcio del Settecento e «sotto lo sguardo dello Stato la scienza incarnava la riconciliazione del sapere e della politica»568. Il sapere medico diventava esso stesso politico configurandosi, in conformitĂ  con il nuovo esprit de systĂšme inaugurato in medicina da Boerhaave e spirante in Europa, come «sistema di polizia medica»: tale, di nome e di fatto, era il System einer vollstĂ€ndigen medicinische Polizey elaborato a partire dal 1776 dal medico renano Johann Peter Frank (1745-1821)569.
Frank si poneva come «medico politico» intermediario tra il sovrano illuminato – l’imperatore Giuseppe II pilotato dal suo efficiente cancelliere, il principe di Kaunitz – che doveva legiferare il bene collettivo e l’individuo nella societĂ , che doveva fruire quel bene in termini di concreto benessere. La sua opera, finalizzata servandis et augendis civibus – tale il motto che ne indicava l’intento demografico-sanitario –, era concepita come politica della salute pubblica e come tecnica medica esercitata a difesa delle categorie sociali a maggior rischio: i piĂč giovani, soggetti al lavoro infantile o minorile, le donne in gravidanza, costrette alle fatiche dei campi, i contadini in genere, esposti alla malaria e alla pellagra, gli artigiani lavoranti in cittĂ , i lavoratori delle cave e delle miniere. PiĂč in generale, era un’opera che si proponeva il controllo e la difesa sanitaria della gente del popolo a partire dalla culla, onde farne una classe sociale sana e laboriosa, per finire alla tomba, onde coprire tutto l’arco esistenziale con specifico riferimento ai bisogni e momenti cruciali: maternitĂ , infanzia, lavoro, inabilitĂ , infermitĂ , vecchiaia, ospedalizzazione, sepoltura570.
Tra il neosistema «scientifico» di Boerhaave e il neosistema «politico» di Frank correva mezzo secolo in cui i «lumi della ragione» si accreditavano sempre piĂč come «ragioni della scienza» e in cui le «arti della medicina» – l’arte della medicina clinica ad personam e l’arte della medicina pubblica ad civitatem – procedevano sempre piĂč a fondo nella ricerca e messa a punto dei propri metodi e modelli, criteri e strumenti operativi. In questo procedere, che assumeva via via la cadenza ideologica imposta da una crescente fiducia nello sviluppo progressivo dell’umanitĂ , le aree di riferimento principale erano, di volta in volta o tutte insieme data l’accresciuta circolazione delle idee, la Francia delle lumiĂšres, l’Inghilterra e la Scozia dell’enlightenment, la Mitteleuropa dell’AufklĂ€rung e, ultimi ma non in coda, gli Stati italiani dove piĂč aveva eco e ricetto il «riformismo illuminato». La marginalizzazione economico-politica dell’Italia del Seicento non impediva, nel Settecento, alla Lombardia austriaca e alla Napoli borbonica di tenere il passo di quello sviluppo culturale, cui la scienza medica dava il proprio contributo anche nella sempre «dotta» Padova della pur morente Repubblica di Venezia e nella pur decaduta Roma papale, peraltro sede di diuturna «Sapienza».
Dalla Sapienza o Studium Urbis, dov’era professore di medicina pratica dal 1702 al 1718, Giovanni Maria Lancisi (1654-1720) licenziava tre opere importanti: i due libri De subitaneis mortibus (Roma 1707), i due libri De noxiis paludum effluviis eorumque remediis (Roma 1717) e il trattato De motu cordis et aneurysmatibus (pubblicato postumo nel 1728). Nella prima e nella terza opera portava un notevole contributo allo studio della patologia cardiaca e vascolare, dimostrata quale causa predisponente o scatenante delle morti repentine571. Nella seconda opera, in base alle sue osservazioni di protomedico dello Stato pontificio, edotto del fatto che l’Agro romano era tutto una palude trasformata in vivaio di zanzare, ipotizzava l’esistenza di «tenuissimi insetti i quali altera[va]no in modo speciale le condizioni del sangue infondendovi un liquor velenoso»572 e proponeva di sottoporre il sangue dei febbricitanti a esame microscopico, onde ricercare in esso le tracce di tale veleno. Oltre a questa idea precorritrice di anofeli e p...

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