IV
Il conto alla rovescia
Mentre lâartiglieria italiana si preparava al bombardamento contro il San Gabriele e il generale Krafft von Dellmensingen faceva i bagagli per il suo viaggio sul fronte alpino, il 1° settembre Cadorna emanĂČ gli ordini per la prossima offensiva della Seconda Armata, quella che nelle previsioni doveva essere la XII battaglia dellâIsonzo. Il Capo non aveva dubbi sullâopportunitĂ di lanciare lâoffensiva, anche se il tempo occorrente per ammassare le riserve e le scorte di munizioni lo indusse a rimandarla alla fine di settembre1. Eppure in quei giorni la corrispondenza di Cadorna con le figlie rivela quanto si stesse insinuando nel suo animo la sensazione che lâesercito era demoralizzato, e che la propaganda sovversiva dilagava âin queste turbe improvvisate che si chiamano esercitiâ. Alle violente dimostrazioni contro la guerra cominciate a Torino il 22 agosto e represse nel sangue corrispondevano gli umori sempre piĂč insofferenti della truppa:
Ricevo ora unâanonima di un soldato il quale mi dice che se non faccio finire la guerra tutto lâesercito si rivolta ed ammazzeranno tutti gli ufficiali dal sottotenente al Comandante Supremo. Di roba di tal genere ne ricevo tutti i giorni2.
Mentre cominciavano gli spostamenti dellâartiglieria e lâaccumulo dei materiali in vista della nuova offensiva, domenica 2 settembre Cadorna partĂŹ per unâaltra settimana di vacanza a Lorenzago di Cadore, dovâera giĂ stato a ritemprarsi un mese prima3. LĂŹ continuĂČ a rimuginare sulla crisi morale del popolo e dellâesercito, e sullâincapacitĂ dei politici di porvi rimedio. Alla notizia di un riuscito contrattacco nemico sullâHermada formulĂČ questo giudizio desolante sulle proprie truppe sconfitte: âsono truppe male inquadrate che non tengono di fronte a un attacco serio, minate anche dal cattivo spirito del Paeseâ4. Possiamo chiederci se quellâanche non significhi che Cadorna sapeva dâessere lui stesso, in parte, il responsabile di quel malessere, dato lo sforzo immenso che continuava a imporre alle truppe. Ma Ăš come se la consapevolezza che lâesercito di cui era a capo si stava logorando non incidesse minimamente sullâuso che intendeva continuare a farne: davvero, come vide il colonnello Gatti, per Cadorna lâesercito era uno strumento, non un organismo.
Il 3 settembre unâinfermiera ventiquattrenne raggiunse lâospedale che i volontari inglesi della Croce Rossa, diretti dallo storico George Macaulay Trevelyan, avevano impiantato nella settecentesca villa dei conti Trento, a San Giovanni al Natisone. Lâinfermiera si chiamava Freya Stark, viveva da diversi anni in Piemonte e sarebbe poi diventata una famosa esploratrice. Il viaggio per raggiungere il fronte le aveva suscitato impressioni contrastanti, come scrisse alla madre lâindomani:
GiĂ quando si arriva a Venezia si nota la differenza nel tipo degli ufficiali; perchĂ© tutti quegli imboscati di Torino non ci sono piĂč, e trovi la gente che fa il lavoro vero. Una delle prime impressioni Ăš stata davvero triste. Fra Udine e qui il mio vagone si Ăš riempito di giovani sottotenenti che tornavano ai loro reggimenti dopo una licenza e hanno cominciato a parlare della situazione in generale e della vita nelle cittĂ da cui venivano; del fatto che tutti sono indifferenti e freddi rispetto alla guerra â e lâatteggiamento delle donne! Posso solo sperare che gli sia capitato di incontrare le compagnie peggiori, ma davvero ascoltandoli mi hanno ferito la loro amarezza e lâassoluto scoraggiamento â tanto che ho dovuto guardar fuori dal finestrino perchĂ© mi stavo mettendo a piangere. Spero che nessun inglese possa parlare cosĂŹ delle nostre donne.
Anche le notizie dei giornali erano deprimenti: la piĂč recente era la conquista tedesca di Riga. Lâafflusso di feriti era incessante, e quasi tutti (... ma qui la censura ha cancellato la frase, e non sapremo mai cosa aveva scritto Freya a proposito dei feriti). Ma la villa era meravigliosa, il paesaggio anche, e il rombo sordo del cannone, nel sole estivo, faceva battere il cuore al pensiero di tutti quegli uomini che si trovavano laggiĂč.
Ieri sono uscita con due delle infermiere e ho contemplato lo spettacolo al tramonto, un bel paese di colline, che salgono gradualmente fino alla barriera delle rocce â un paese per cui vale davvero la pena di combattere â âEvviva lâItalia!â5.
Al ritorno di Cadorna da Lorenzago, domenica 9 settembre, il Comando Supremo fu scosso dallo scandalo Bencivenga. GiĂ da tempo era stato deciso che quellâufficiale, capo della segreteria, avrebbe lasciato il suo posto per andare a comandare una brigata, e a Ferragosto era arrivato a Udine il suo sostituto. Si trattava, come scrisse Cadorna alla figlia Carla, del
colonnello Gabba, distintissimo, figlio del generale Gabba che era capitano del genio a Chieti nel 1861 con Nonno e la cui madre mi faceva uscire quando ero in collegio militare.
La composizione del Comando Supremo, come si vede, era ancor sempre una faccenda di famiglia. A fine agosto il colonnello Bencivenga partĂŹ a Roma in licenza e Gabba prese servizio a capo di quello che nel frattempo era stato finalmente ribattezzato Ufficio operazioni. Il commento privato di Cadorna tradisce il suo sollievo alla partenza di un collaboratore che si stava ritagliando troppo spazio: rispetto a Bencivenga Gabba era âaltrettanto intelligente ed assai piĂč educato. Non sempre aveva il primo il tatto necessarioâ6.
In assenza di Bencivenga, perĂČ, qualcuno scrisse al Capo riferendogli i discorsi che lâaltro faceva a Roma; e Cadorna sâindignĂČ con quel âmascalzoneâ che si era âmontata la testaâ. Non contento delle promozioni e decorazioni ricevute, Bencivenga pretendeva dâessere promosso generale e andava dicendo in giro che
in fin dei conti, i piani li aveva fatti in buona parte lui! Io, dimostrandogli molta fiducia, lâavevo ammesso spesso a discutere. Naturalmente le decisioni non potevo che prenderle io ed assumerne responsabilitĂ nella buona ed avversa fortuna7.
Un commento straordinariamente istruttivo, perchĂ© dimostra che il Capo non distingueva tra la fase decisionale e il successivo studio dettagliato dellâoperazione. O meglio, vedeva solo la prima, e considerava insignificante la parte di pianificazione: e un furfante quellâufficiale che, essendone incaricato, sâilludeva di avere una qualche importanza.
Nel minuscolo entourage di Cadorna, la notizia che Bencivenga a Roma âdice corna del Capoâ si diffuse fulmineamente, e per qualche giorno non si parlĂČ dâaltro. A ognuno venne in mente un episodio che dimostrava come il capo della segreteria fosse sempre stato inadatto a quel posto, perchĂ© troppo impulsivo, maleducato, presuntuoso, e soprattutto ignorante. Si rise di aneddoti incentrati sul fatto che Bencivenga non sapeva lâinglese e parlava male il francese. Insomma non era uno di loro, e lâimpressione Ăš che tutti quanti in segreto si siano rallegrati della sua disgrazia. Il colonnello Gatti, che nonostante tutto lo apprezzava, concluse filosoficamente che la sua rovina se lâera preparata da sĂ©: si era convinto di essere indispensabile e inamovibile, si era abituato a comandare, âcredeva di essere il segretario perpetuo; quando ha visto che era come un altro qualunque, tutto il suo risentimento Ăš scoppiatoâ8.
MartedĂŹ 11 settembre il generale Otto von Below, comandante di unâarmata sul fronte occidentale, giunse a Berlino e nel pomeriggio si recĂČ allâimmenso palazzo neorinascimentale del Grande Stato Maggiore al Tiergarten (nel gergo degli ufficiali, die grosse Bude, âla Gran Baraccaâ), piĂč o meno sullâarea dove oggi si trovano gli uffici della Cancelleria Federale. Una telefonata del generale Krafft von Dellmensingen da Vienna aveva giĂ svelato a von Below il motivo per cui era stato convocato nella capitale; e dunque non rimase sorpreso quando Hindenburg e Ludendorff lo informarono che era stato scelto per comandare una nuova armata, la XIV, destinata a unâoffensiva sul fronte italiano, con Krafft come capo di Stato Maggiore. La conversazione fu assai breve; tornato a casa dei suoceri, che lo ospitavano, Below chiamĂČ di nuovo Krafft e decise che si sarebbero ritrovati a Vienna di lĂŹ a due giorni9.
La decisione di affidare a von Below il comando dellâoffensiva sullâIsonzo non era stata immediata. Allâinizio Hindenburg e Ludendorff presero in considerazione lâidea di nominare unâaltezza reale, il duca Albrecht del WĂŒrttemberg o il principe Rupprecht di Baviera, che allâepoca comandavano due gruppi dâarmate sul fronte occidentale. Alle due altezze in questione la proposta non dispiaceva, in particolare al duca del WĂŒrttemberg, che aveva giĂ dovuto cedere per la nuova impresa il suo capo di Stato Maggiore, Krafft. Alla fine si decise diversamente, e questo potrebbe indicare che a Kreuznach, dopo il quadro tuttâaltro che ottimistico dipinto da Krafft di ritorno dallâIsonzo, si temeva un fallimento, in cui era meglio non coinvolgere personaggi di sangue reale10.
Nelle fotografie il generale von Below appare alto, snello, sportivo, con piccoli folti baffi allâingiĂč. Sessantenne, apparteneva a una delle piĂč illustri famiglie della nobiltĂ prussiana, che diede alla Prussia e poi alla Germania qualcosa come ventisei generali, di cui sette durante la Prima Guerra Mondiale. Nelle sue memorie, scritte intorno al 1920, non esprime alcun giudizio sul compito che Hindenburg e Ludendorff gli avevano affidato: era un soldato, e obbediva. Per prudenza, in quei due giorni che gli restavano a Berlino non fece parola con i familiari dellâincarico ricevuto, ma quando la moglie, che viveva nella tenuta di famiglia a Insterburg in Prussia Orientale, venne a raggiungerlo per stare insieme qualche ora, non esitĂČ a confidarsi (âla sua riservatezza era giĂ stata collaudataâ); poi parlarono soprattutto del figlio, che di lĂŹ a due settimane doveva andare sotto le armi11.
Quello stesso 11 settembre, una squadriglia da caccia tedesca dislocata sul fronte occidentale, la Jasta 31, partĂŹ per lâItalia; nei giorni successivi lâavrebbero seguita la Jasta 39 e la Jasta 1, oltre a 7 squadriglie da ricognizione12. Lo squilibrio delle forze aeree era uno dei maggiori problemi in vista dellâoffensiva, e soprattutto della sua preparazione, che doveva avvenire nella massima segretezza. In quello scorcio dâestate del 1917, ...