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Il ruolo dell'intellettuale e la causa dell'Europa
Saggi
JĂŒrgen Habermas, Carlo Mainoldi
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Il ruolo dell'intellettuale e la causa dell'Europa
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JĂŒrgen Habermas, Carlo Mainoldi
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«L'unica capacitĂ che ancor oggi dovrebbe contraddistinguere l'intellettuale Ăš il fiuto avanguardistico per ciĂČ che conta. CiĂČ richiede virtĂč tutt'altro che eroiche: il senso per quel che non va e che 'potrebbe andare diversamente'; un pizzico di fantasia per progettare alternative; un poco di coraggio per l'asserzione provocatoria, per il pamphlet. Tutto ciĂČ Ăš piĂč facile dirlo che farlo, e lo Ăš sempre stato»:
JĂŒrgen Habermas riflette criticamente sulla funzione dell'intellettuale nella sfera pubblica e sul futuro delle democrazie europee.
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Sujet
PhilosophySous-sujet
Philosophical Essays1.
Il ruolo dellâintellettuale
e la causa dellâEuropa1
Quando il direttore del Karl-Renner-Institut mi diede la bella notizia che questâanno la giuria intendeva conferire a me il premio Bruno Kreisky, ebbi non solo modo di riflettere sullâaspetto sconcertante della fortunata situazione in cui mi venivo a trovare, ricevendo un riconoscimento tanto immeritato dopo decenni di discussioni e scontri durante i quali avevo goduto di una fama piuttosto controversa. Piuttosto, i nomi di quelle due figure storiche che con mutevole destino sono cosĂŹ gloriosamente legate alla Repubblica austriaca, mi danno anche occasione di meditare per la prima volta sul mio rapporto con i socialdemocratici viennesi. Non che ci siano stati dei rapporti politici. Ma i nomi di Karl Renner e di Bruno Kreisky mi rammentano sollecitazioni intellettuali di cui sono debitore a una grande tradizione teorica. In questa occasione vorrei esprimere il mio grazie allâaustromarxismo per due determinanti stimoli intellettuali che me ne sono venuti.
Un grazie allâaustromarxismo
Quando, dopo studi filosofici piuttosto convenzionali, nel 1956 arrivai nellâambiente insolito dellâInstitut fĂŒr Sozialforschung di Francoforte, preparandomi a una ricerca empirica dovetti acquisire dimestichezza anche con la letteratura (allora quasi esclusivamente giuridica) sullo Stato di diritto e sulla democrazia. A dire il vero trovai avvincenti i dibattiti fra gli illustri docenti di diritto pubblico della Repubblica di Weimar, ma non riuscivo a mettere in relazione i concetti normativi della giurisprudenza con la teoria della societĂ , alla cui luce cercavo di chiarirmi la politica contemporanea. Fu la lettura di un libro ad aprirmi gli occhi sul nesso fra economia politica e diritto. Il libro, pubblicato nel 1929 con il titolo scostante Gli istituti del diritto privato e la loro funzione sociale, risaliva a studi2 che il giovane Karl Renner aveva condotto al volgere del secolo mentre lavorava come bibliotecario allâarchivio del Reichsrat, il Parlamento austriaco3.
Venni cosĂŹ in contatto con gli scritti degli austromarxisti, nei quali trovai tre cose di cui a Francoforte, come assistente di Adorno, sentivo la mancanza: primo, lâovvio legame della teoria con la prassi politica; secondo, la non timida apertura della teoria sociale marxista a idee della scienza accademica (orientamento dal quale Horkheimer e Adorno si erano di nuovo scostati dopo la Dialettica dellâIlluminismo); e terzo, lâidentificazione senza riserve con le conquiste dello Stato democratico di diritto, senza rinunciare agli obiettivi riformistici radicali che andavano ben al di lĂ dello status quo.
Nel mio percorso dallâhegelomarxismo al pragmatismo kantiano, un simile impulso positivo mi venne nei tardi anni Sessanta dal libro di un altro austromarxista: unâopera tarda di Max Adler, pubblicata nel 1936 con il titolo Das RĂ€tsel der Gesellschaft [Lâenigma della societĂ ]4. Con lâintroduzione di un «apriori sociale» Adler non solo rammenta che la coscienza del nostro io e del nostro sapere del mondo si costituisce in un contesto sociale: viceversa, a suo avviso, anche i nessi sociali della vita devono basarsi su atti del sapere. La stessa societĂ poggerebbe allora sulla fatticitĂ delle pretese di validitĂ che noi solleviamo con le nostre manifestazioni comunicative. In tal modo, del tutto analogamente al tardo Husserl, Adler fonda un moto immanente alla societĂ stessa per la veritĂ delle asserzioni e lâesattezza delle norme5.
Otto Bauer e Rudolf Hilferding, Karl Renner e Max Adler si consideravano, nonostante tutto il loro rigore di scienziati, degli intellettuali di partito che erano pronti a piegarsi in caso di necessitĂ allâineludibile disciplina richiesta dalla tattica e dallâorganizzazione. Come democratici avevano tuttavia, quanto al ruolo del partito, tuttâaltra concezione di quella espressa dal LukĂĄcs leninista di Storia e coscienza di classe. Comunque sia, la figura dellâintellettuale di partito rientrava nellâĂ mbito storicamente trascorso dei partiti della sinistra ideologica. Dopo il 1945 questo tipo di militante non poteva piĂč sussistere in Occidente. Come Willy Brandt, anche Bruno Kreisky tornĂČ trasformato dalla Scandinavia. Ă stato anche merito di questi socialdemocratici di ritorno dallâemigrazione che la societĂ classista si sia pacificata nellâalveo dello Stato sociale e abbia assunto la nuova dimensione di una societĂ civile.
Da questo sfondo si delinea distintamente il tipo dellâintellettuale contemporaneo. Gli intellettuali che si imposero dopo il 1945 â come Camus e Sartre, Adorno e Marcuse, Max Frisch e Heinrich Böll â assomigliavano ai modelli piĂč antichi di scrittori e professori che assumevano sĂŹ posizioni di parte, ma non erano politicamente legati a nessun partito. Cogliendo una data occasione, senza essere stati richiesti o averlo concordato con qualcuno, essi si inducevano, al di lĂ della loro professione, a fare un uso pubblico del loro sapere professionale. Senza pretendere alcuno status elitario, non si richiamavano ad altra legittimazione che non fosse il loro ruolo di cittadino di uno Stato democratico.
Lâintellettuale e la sua sfera pubblica
Le radici di questo modo egualitario di intendere il proprio ruolo risalgono in Germania alla prima generazione dopo Goethe e Hegel. Gli irrequieti letterati e liberi docenti appartenenti alla cerchia della Giovane Germania e degli hegeliani di sinistra hanno alimentato lâimmagine dellâintellettuale fra le nuvole, spontaneo, spesso lacrimevole, facile allâeccitazione e alla polemica, piuttosto imprevedibile, e, del pari, i persistenti pregiudizi nei suoi confronti. Non a caso la generazione di Feuerbach, Heine e Börne, di Bruno Bauer, Max Stirner e Julius Fröbel, di Marx, Engels e Kierkegaard Ăš entrata sulla scena negli anni antecedenti il 1848, quando si andavano formando il parlamentarismo e la stampa di massa sulle ali del protoliberalismo.
GiĂ durante questo periodo di incubazione, quando per tutta Europa si stavano diffondendo i germi della Rivoluzione francese, si delineĂČ la costellazione nella quale troverĂ posto il tipo dellâintellettuale moderno. Con i loro argomenti affinati dalla retorica, gli intellettuali possono influire sul formarsi delle opinioni soltanto quando sono ben collegati a una opinione pubblica vigile e informata, capace di farsi cassa di risonanza. Necessitano di un pubblico dallâorientamento piĂč o meno liberale, e giĂ per questo devono poter confidare su uno Stato di diritto abbastanza funzionante, dacchĂ© nella lotta per veritĂ represse o diritti negati devono potersi appellare a valori universalistici. Appartengono a un mondo dove la politica non si risolve nellâattivitĂ statale; il loro mondo Ăš una cultura politica della contraddizione, nella quale possono essere scatenate e mobilitate le libertĂ di comunicazione dei cittadini.
Ă semplice schizzare il tipo ideale di un intellettuale che scopre temi importanti, formula tesi fruttuose e amplia lo spettro dei relativi argomenti, sĂŹ da migliorare il deplorevole livello del dibattito pubblico. Dâaltro lato non dovrei sottacere lâoccupazione favorita degli intellettuali: essi indulgono sin troppo nel comune lamento di rito sul tramonto «dellâ» intellettuale. Confesso di non andarne del tutto esente neppure io.
Non sentiamo forse la mancanza dei diverbi e dei manifesti del Gruppo 47, degli interventi di Alexander Mitscherlich o di Helmuth Gollwitzer, delle prese di posizione politiche di Michel Foucault, Jacques Derrida e Pierre Bourdieu, degli incisivi testi di Erich Fried o di GĂŒnter Grass? Dipende realmente da Grass se la sua voce oggi non trovi quasi ascolto? O di nuovo si sta attuando nella nostra societĂ mediatica un mutamento strutturale della sfera pubblica, che fa male alla classica figura dellâintellettuale?
Dâaltro lato, la conversione della comunicazione dal libro stampato e dalla stampa di giornali e periodici alla televisione e a internet ha portato a un ampliamento inaudito della dimensione mediatica pubblica e a unâintensificazione senza eguali delle reti di comunicazione. La sfera pubblica nella quale gli intellettuali si sono mossi come pesci nellâacqua si Ăš fatta piĂč inclusiva, lo scambio Ăš divenuto intenso come non lo Ăš mai stato in precedenza. Per un altro verso gli intellettuali, di fronte allâesondazione di questo corroborante elemento, sembrano affogare come travolti da unâoverdose. Lâabbondanza pare trasformarsi in maledizione. I motivi sono a mio avviso da ricercare in una de-formalizzazione della sfera pubblica e in una de-differenziazione dei ruoli corrispondenti.
Lâimpiego di internet ...